La Controinformazione rossoperaia mai come oggi (ieri 23/10) è una vera controinformazione dato che, se leggete tutta la stampa padronale, dai grandi giornali ai piccoli giornali locali, non saprete nulla del 20 ottobre e del 21 ottobre, due giornate di lotta che sono state oscurate dalla stampa borghese, dalla televisione, perché evidentemente vogliono nascondere che ci sono lavoratori, organizzazioni sindacali, sociali e politiche che stanno scendendo in lotta e che stanno protestando contro il governo e le sue misure economiche antioperaie e antipopolari, ma anche contro la guerra imperialista e il ruolo dell'Italia in questa guerra imperialista.
Si vuole far sembrare che in Italia non succeda niente e che sono d'accordo tutti col governo e col Parlamento che - tranne qualche voce - sostiene la politica economica del governo antioperaia e antipopolare e sostiene la guerra imperialista, e stanno dalla parte degli USA, della NATO, dei governi imperialisti europei e dalla parte del regime di Zelensky, che è sicuramente un corresponsabile della guerra in corso in Ucraina, a capo di un governo con i nazisti dentro, riempito con una quantità mai avvenuta di armi di ogni tipo dai paesi imperialisti e che vuole proseguire la guerra con un attacco sul territorio russo che, lungi da respingere l'invasione, serve a trasformare il conflitto in Ucraina in un conflitto mondiale.
Quindi nessuno deve sapere quello che realmente accade dall'altro lato della collina, la collina della
lotta sociale, dell'opposizione politica reale. In questo senso è importante informare gli operai, i lavoratori, i cittadini e tutti coloro che non sono allineati con il governo, con il Parlamento, con la stampa di regime, su quello che è avvenuto il 20 e 21 ottobre.Il 20 ottobre è avvenuto innanzitutto uno sciopero, una giornata di lotta di operai e lavoratori. Questa giornata di lotta ha ricevuto una buona adesione dei lavoratori laddove erano presenti effettivamente le organizzazioni sindacali di base che l'hanno proclamato. E' stato uno sciopero centrato contro guerra e carovita e per forti aumenti salariali.
Innanzitutto dobbiamo salutare e apprezzare quegli operai e lavoratori che in questa fase non semplice, e tra di essi tante lavoratrici, hanno deciso di scioperare, di perdere la retribuzione su una battaglia che non è solo legata alla loro condizione ma alla condizione generale, sociale, economica e materiale di tutti i lavoratori e le lavoratrici del nostro paese.
Vi sono state buone percentuali di sciopero nel trasporto, aereo, ferroviario, nel trasporto merci. E questo sicuramente ha fatto sentire la presenza dello sciopero in alcune città e in particolare nelle grandi città. È importante lo sciopero avvenuto nei settori dei lavoratori della logistica che sono prevalentemente immigrati, che da sempre stanno combattendo sui posti di lavoro a tutela di salario, diritti, condizioni di lavoro, contro il sistema schiavistico che viene attuato grazie ai padroni, al governo e alla collaborazione dei sindacati confederali nelle miriadi di cooperative. E’ uno sciopero organizzato essenzialmente dal Si Cobas, che è l’organizzazione più attiva su scala nazionale nel settore della logistica. Ma anche in altre città dove vi sono altre sigle sindacali di base questo sciopero è stato sentito.
È stato chiaramente uno sciopero soprattutto delle zone del nord, del Centro nord, però è importante che in alcune realtà di magazzini lo sciopero sia stato maggioritario e in certi casi totale.
Sono stati interessati in Emilia Romagna scuole, asili nido - anche a Taranto, con buona riuscita. Qualche influenza ha avuto questo sciopero in altri settori, dalla sanità, alle cooperative sociali, in particolare a Palermo.
Certamente vi è stato il grande buco delle fabbriche che il sindacalismo di base non riesce a riempire, perché è difficile organizzare le organizzazioni sindacali di base, soprattutto le organizzazioni di classe, all'interno delle fabbriche dove vige un regime di caserma a cui collaborano anche i sindacati confederali che non vogliono assolutamente la presenza degli operai agli scioperi non indetti da loro e non vogliono assolutamente che il contagio sociale della lotta e dell'opposizione al governo metta in moto il settore centrale del proletariato, che resta sempre il proletariato industriale, perché sanno che se si blocca la produzione nelle fabbriche lo sciopero assume un salto di qualità, mette realmente a disagio i padroni, il governo, il sistema capitalistico e diventa un focolaio, una scintilla significativa che può incendiare la prateria del proletariato e delle masse popolari.
Alle fabbriche segnali di sciopero con partecipazione vi sono stati principalmente alla Ducati, alla Marcegaglia, nelle aziende d'appalto. Ma su questo grande è stato il lavoro che, pur non potendo tradursi in scioperi significativi ancora, ha fatto lo Slai Cobas per il sindacato di classe, che ha puntato proprio sulle grandi fabbriche, dalla Stellantis di Melfi e Mirafiori alle fabbriche siderurgiche e non solo, di Bergamo e ex Ilva Taranto, dove esiste la più grande concentrazione operaia industriale del paese in questo momento.
E chiaramente anche altrove, dove siamo riusciti ad arrivare. Qui abbiamo detto chiaro agli operai che questo sciopero era un'indicazione, un messaggio, una sollecitazione, ed era giusto nelle rivendicazioni, a differenza di quelli indetti dai sindacati confederali, e anche nella forma di lotta scelta dai lavoratori: uno sciopero che vuole essere vero, incisivo, senza sconti verso padroni e governo. Questo ciò che serve innanzitutto agli operai industriali per rialzare la testa, per prendere nelle loro mani la strada della lotta di classe, della lotta generale, della lotta proletaria che mette in discussione le condizioni sul posto di lavoro, ma sia in grado di accendere l'intero fronte proletario e popolare che deve avere come aspirazione la caduta di questo governo e di tutti i governi dei padroni e la messa in discussione del sistema sociale in cui viviamo, un sistema capitalistico fondato sui profitti e lo sfruttamento.
Questo tipo di sciopero, quindi, è un messaggio di indicazione, una scesa in campo, un nuovo appello che viene da settori abituati a lottare in forma distinta dai sindacati confederali, perché contagi la grande massa dei lavoratori e lavoratrici che sono ancora sotto il controllo dei sindacati confederali.
Per quanto riguarda l'Ilva, questo sciopero c'è stato, anche se è stato legato alla grande vertenza che attraversa in questo momento l'arcipelago ex Ilva nelle varie città italiane, principalmente a Taranto e a Genova. sciopero generale che ha portato a una manifestazione consistente a Roma indetta da fim-fiom-uilm, in cui tutti gli operai dei vari stabilimenti hanno trovato un loro momento di unità. (Sulla manifestazione a Roma e la situazione all'ex Ilva e negli stabilimenti siderurgici leggi il report della telematica del 23 ottobre).
Detto questo, sul lato positivo dello sciopero del 20 dobbiamo anche dire che non serve ai sindacati di base pompare la riuscita di questo sciopero perché è un atteggiamento, oltre che inutilmente trionfalistico, che dà per risolti problemi che ancora il sindacalismo di base e di classe non ha risolto. E non rende quindi onore e forza all'avanguardia dei lavoratori che è scesa in sciopero, e che si deve assumere la responsabilità più generale di una lotta prolungata che porti a un vero sciopero generale, che non può fare a meno soprattutto in questa fase sociale e politica che ampi settori di operai, lavoratori e lavoratrici, organizzati o iscritti ai sindacati confederali, partecipino allo sciopero generale.
Quindi dare già per scontato che questo sciopero generale abbia avuto un'eccellente riuscita è sbagliato, dimostra da parte dei gruppi dirigenti del sindacalismo di base una volontà di mettersi in mostra, di vendere fumo, rispetto invece a ciò che è necessario, soprattutto oggi: una lotta, tenace, organizzata, prolungata, tappa dopo tappa, verso lo sciopero generale effettivo che ha lo scopo di segnare il tempo della lotta di classe in una fase in cui fronteggiamo un governo non solo dei padroni ma di natura moderno fascista, che costituisce il comitato d'affari attuale dei padroni e della grande borghesia capitalistica e imperialistica; un governo che oggi non trova neanche in Parlamento un'opposizione che possa mettere un freno alla sua linea antioperaia e antiproletaria.
Quindi questo sciopero è un segnale, è un messaggio. La sua riuscita, minoritaria ma combattiva, è una indicazione, un esempio sulla strada da percorrere. Cercare invece di farlo diventare lo sciopero generale che si è già fatto, che ha avuto "un eccellente risultato" - come scrive in forma autoreferenziale il comunicato dei sindacati di base che l'hanno organizzato - è ancora una volta una forma di sindacalismo, di burocratismo dei dirigenti dei sindacati di base che, per quanto sicuramente distinti dai sindacalismo confederale, finiscono per ragionare alla stessa maniera. Invece di dare voce ai lavoratori d'avanguardia che scendono in lotta, si sceglie la stessa logica trionfalistica autoreferenziale che non aiuta i lavoratori e non dà la coscienza necessaria del tipo di continuità di cui abbiamo bisogno.
Diversa è la situazione delle manifestazioni del 21 ottobre. Queste manifestazioni sono state manifestazioni politiche però indirizzate correttamente contro la guerra imperialista, contro i padroni imperialisti del mondo, le grandi potenze che ci stanno trascinando, col focolaio dell'Ucraina, verso una terza guerra mondiale che potrebbe essere di carattere nucleare; una guerra per la spartizione dei mercati che tocca ogni angolo del mondo e viene scaricata, con lutti e morti, sulle popolazioni povere proletarie di tutto il mondo.
“Le guerre sono vostre” si è detto - “vostre” nel senso dei padroni dell'imperialismo, dei governi imperialisti, degli Stati imperialisti -, “i morti sono nostri”, perché effettivamente chi muore nelle guerre sono i proletari, sia quelli armati come soldati, sia le popolazioni civili che pagano un costo altissimo di vita umana e di distruzione, di orrore che attraversano.
Queste manifestazioni del 21 hanno avuto come obiettivo le Basi militari. La grande base di Ghedi, una delle principali impegnate sul fronte della guerra, la base di Coltano, Pisa, dove si vuole fare una grande base, trasformando anche questo territorio in un territorio di guerra e tutta l'economia che la circonda in un'economia di guerra, e la mobilitazione in Sicilia, intorno all'impianto Muos, che è un sistema di controllo generale per conto degli USA, che ha lo scopo di fornire un sussidio all'azione di guerra nel Mediterraneo e nel mondo; a Palermo, oltre che contro l'esistenza di basi militari, si è manifestato anche contro le industrie della guerra che vogliono trasformare la Sicilia, come anche la Puglia, in una piattaforma militare a servizio della guerra, guidata dalle grandi potenze imperialiste, in primo luogo gli Stati Uniti.
Queste manifestazioni sono state importanti perché in qualche maniera sono uscite dal pacifismo generico e dalla denuncia delle guerre, della guerra in generale, e si sono mosse con l'intenzione di fare appunto guerra alla guerra.
Queste manifestazioni hanno avuto una buona riuscita e una presenza di organizzazioni di diverso orientamento, di comitati, oltre che, anche qui, di nuclei di lavoratori che, come avevano portato il tema della guerra nello sciopero del 20, come la grande solidarietà alla Palestina, così, nella giornata del 21, hanno fatto sentire forte e chiaro l'opposizione reale alla guerra, all'economia di guerra e la solidarietà al popolo palestinese.
I lavoratori, gli operai, i militanti, i compagni e compagne che fanno riferimento a proletari comunisti in queste manifestazioni hanno avuto un ruolo significativo, anche se numericamente, come si sa, né proletari comunisti né i lavoratori organizzati nello Slai Cobas per il sindacato di classe o le compagne organizzate nel Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario sono in numero alto - perché se fossero in numero alto ne "vedremmo delle belle"; ciononostante, come sempre, con coraggio, determinazione, chiarezza di idee, in queste manifestazioni ci sono stati, hanno portato una linea netta e chiara.
Alla manifestazione di Ghedi in particolare, la delegazione di proletari comunisti e una rappresentanza di operai, sia dei magazzini della logistica sia nostri rappresentanti in altri settori, hanno voluto portare con chiarezza che attualmente la lotta contro la guerra deve concentrarsi nel nostro paese; non basta condannare la guerra su scala internazionale, ma occorre considerare che il nemico è in casa nostra, che questo governo che abbiamo è guerrafondaio al servizio dei padroni, si propone come primo alleato dell'imperialismo americano, ed è un governo attivamente impegnato nel fornire armi, nel disporre soldati in tutti gli scacchieri di guerra, oltre che mettere a disposizione le basi militari e il territorio. Nello stesso tempo fa pagare il costo di tutto questo ai lavoratori con un gigantesco aumento di spese militari, quando si dice che non ci sono soldi per il lavoro, per la sanità, per la scuola, per i servizi sociali, per sostenere il reddito dei più poveri attraverso il reddito di cittadinanza, il salario minimo garantito.
Ma la delegazione nostra ha portato qualcosa in più. Ha detto che alla guerra imperialista bisogna rispondere con l'unità tra i lavoratori dei paesi imperialisti e capitalisti e le grandi masse sfruttate, proletarie e popolari, del resto del mondo, di tre quarti dell'umanità dominata dal sistema capitalista imperialista dove vi sono rivolte, ribellioni e vi sono lotte armate e lotte antimperialiste che coinvolgono ampissimi settori delle masse più sfruttate, dei contadini, e di tutti coloro che in questi paesi combattono contro i regimi asserviti all'imperialismo.
In questo senso lo slogan “la guerra imperialista si può fermare solo se avanza la guerra popolare” dice chiaro a tutti i manifestanti innanzitutto, ma all'intero mondo dei lavoratori, cittadini, lavoratrici, giovani, che la guerra si può fermare se rovesciamo i governi imperialisti, se opponiamo ai governi imperialisti non il semplice desiderio di pace, di fine della guerra, ma la lotta perché vengano rovesciati i governi, perché senza rovesciare i governi imperialisti, dentro la battaglia generale per rovesciare il sistema imperialista, la guerra andrà avanti e il suo carico di morti, di orrori, e il suo scarico sulle masse popolari non avrà limiti.
In questo senso gli appelli d'avanguardia di proletari comunisti e dello Slai Cobas e del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario, in particolare nelle manifestazioni di Ghedi e di Palermo, hanno portato una voce che non è solo coerente con gli interessi degli operai e dei lavoratori, ma anche una voce differente dell'arcipelago del movimento contro la guerra sceso in piazza in queste giornate.
Questo movimento, in una forma o nell'altra, mentre sviluppa la mobilitazione contro la guerra e le Basi, elude che il carattere politico è dato dal portarle sul terreno dello scontro con l'attuale governo Meloni, così come elude che a livello di prospettiva, di strategie e tattica non è possibile con le manifestazioni pacifiche fermare la guerra imperialista e la marcia della guerra imperialista.
E su questo bisogna fare chiarezza tra i lavoratori se vogliamo realmente essere coerenti con le cose che diciamo.
Importante nella manifestazione di Palermo che si siano attraversati i quartieri popolari, fiancheggiato la Leonardo. Rispetto a Ghedi non è stata una marcia, purtroppo in territori isolati per arrivare alle basi, ma è entrata chiaramente nel tessuto sociale dei quartieri riuscendo in questa maniera a svolgere non solo una funzione di mobilitazione, ma anche di indicazione, accensione, semina che sicuramente ritroveremo nelle prossime iniziative contro la guerra.
Da parte nostra abbiamo cercato anche di mobilitarci a Taranto, perché a Taranto, una città in cui non manca niente e non manca neanche la più grande base militare della Marina USA/NATO/Italia, un punto d'appoggio e d'approdo delle manovre militari nel Mediterraneo e della partecipazione dell’imperialismo e del nostro imperialismo alla guerra in corso o in quella futura che si avvicina. In questa città occorreva opporre chiara una proposta di mobilitazione. L'abbiamo fatta, ma obiettivamente non è stata raccolta. Siamo rimasti soli a condurre questa battaglia il 21, perché in questa città non solo non esiste ancora un forte movimento per la pace, ma coloro che si definiscono pacifisti e antagonisti sono persone del “bla bla bla” ma non ci mettono mai la faccia, coloro che di notte fanno le scritte e poi basta, "di notte leoni/di giorno coglioni". È chiaro quindi che questo rende difficile la battaglia a Taranto, ma è una ragione in più per elogiare i compagni che la stanno facendo.
Il 20 e 21 ci danno l'opportunità di dire che la lotta è possibile, che l'opposizione operaia e proletaria dei lavoratori ai governi contro la loro politica antioperaia e antipopolare è possibile, che la lotta contro la guerra può e deve mobilitare progressivamente i lavoratori, le masse, perché sono loro che fanno la storia e rendono forte un movimento, un'organizzazione. Così pure diciamo che alla guerra bisogna opporre non l'appello alla pace, ma la lotta per una pace vera, per una giustizia vera, senza giustizia non ci può essere pace e la vera pace è la guerra a coloro che fanno la guerra.
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