Con un altro sciopero “a sorpresa” i 5 mila lavoratori United Auto Workers International hanno chiuso martedì mattina il più importante stabilimento statunitense della General Motors, alla Arlington Assembly Plant, in Texas.
In questa fabbrica vengono assemblati i Suv di punta della casa automobilistica, come il Tahoe e l’Escalade. È il sito più redditizio per la GM, circa un terzo dei suoi guadagni derivano proprio da questo stabilimento, nei dintorni di Dallas.
L’azienda aveva appena annunciato i suoi profitti record, ed il sindacato non ha perso tempo per ribadire che a ultra-guadagni devono corrispondere super-contratti per i lavoratori – “record profits, record contracts” – ed ha incrociato le braccia.
Da settimane i lavoratori texani del Local 276 si rifiutavano di fare straordinari, vista la scadenza del
contratto dal 15 settembre, e si esercitavano nella pratica dei picchetti, trovando soluzioni creative per non assecondare i desiderata della direzione.Gli elettricisti, per esempio, non si muovevano più in bicicletta tra i reparti del gigantesco stabilimento, ma a piedi.
Lunedì mattina era stato il turno dello SHAP della Stellantis, dove lavorano 6800 lavoratori e vengono prodotti 300mila trucks l’anno, con un prezzo base di circa 40 mila dollari l’uno.
Ancora prima ancora “a sorpresa” avevano incrociato le braccia i 8700 lavoratori dello Kentucky Truck Plant di Ford, fiore all’occhiello della compagnia.
È probabilmente il rush finale di questa battaglia contrattuale storica condotta dalla nuova dirigenza della UAW con a capo il carismatico Shawn Fain, ex elettricista di uno stabilimento di Kokomo.
Un “bifolco dell’Indiana” che sta piegando le Big 3 con una strategia di lotta inedita, lo Stand Up Strike, che deriva dal nome ed ispirazione dai sit-down strikes della seconda metà degli Anni Trenta che hanno scritto la storia del sindacalismo nel settore automobilistico, e non solo, trasformando i lavoratori di quel settore nell’avanguardia del movimento operaio nord-americano, almeno fino alla direzione di Walter Reuthner.
Attaccando tutte e tre le case automobilistiche – senza però dissanguare le casse del sindacato che servono a coprire la mancanza di stipendio degli scioperanti e di coloro che vengono lasciati a casa per le ripercussioni create dall’azione dei lavoratori – la UAW ha chiuso per la prima volta nella storia tutto il “cuore” del sistema automobilistico statunitense, le 3 catene di montaggio in cui lavorano circa 20 mila lavoratori in cui si assemblano i mezzi più redditizi.
All’oggi stanno scioperando in tutto 46 mila lavoratori, circa un terzo del totale degli iscritti alla UAW, in 8 fabbriche – tra cui le maggiori tre di Ford, Stellantis e GM – e 38 siti di ricambi.
Nonostante i notevoli avanzamenti nelle trattative su una serie di questioni, vi è ancora un gap tra le richieste formulate dal sindacato e le offerte delle case automobilistiche, che incominciano ad avvertire i danni al portafoglio causati dallo sciopero e la notevole riduzione dei prodotti da offrire ai propri clienti.
Gli aumenti proposti dalle Big 3 in media si aggirano su un 23% per un contratto della durata di 4 anni, contro il 40% chiesti all’inizio dal sindacato, mentre su altre questioni il gap è minore (lavoratori a tempo, sistema di stratificazione salariale, meccanismi di recupero del potere d’acquisto et cetera).
I lavoratori della UAW godono di un consenso maggioritario e trans-partitico tra i cittadini statunitensi, perché pongono questioni attinenti non solo alla propria categoria ma a tutta la working class, e lo fanno con una dimostrazione di forza e disciplina impeccabile, quasi “para-militare”.
Si addestrano a fare i picchetti, sono tutti consci degli obiettivi, si tengono pronti ed in un breve lasso di tempo escono ordinatamente dai tornelli, chiudendo i maggiori stabilimenti industriale del paese.
Allo stesso tempo comunicano al resto del paese quello che un tempo di chiamava il blue collar blues, cioè l’insofferenza della propria condizione, peggiorata alquanto negli ultimi anni a differenza dai guadagni macinati dal management e dagli azionisti.
Prima di quest’ultima tappa dello sciopero le perdite stimate erano di 200 milioni di dollari la settimana per GM, Ford e Stellantis, mentre il costo complessivo era il doppio del precedente ciclo di scioperi per il rinnovo contrattuale, nel 2019, che aveva investito però solo la GM.
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