Assolti definitivamente Aldo, Arafat, Carlo e Bruno
Con la sentenza n. 21400 del 18.05.2023, la Cassazione penale afferma che l’attività sindacale, seppur svolta in modo violento, non sfocia nel reato di associazione per delinquere, ogniqualvolta la finalità perseguita sia quella dell’ottenimento di migliori condizioni lavorative.
Il fatto affrontato
I rappresentanti di una sigla sindacale vengono imputati per il delitto di associazione a delinquere, perché, nel tentativo di fare proseliti tra i lavoratori del settore della logistica, avevano dato inizio ad un conflitto con un diverso sindacato, provocando scontri con la parte datoriale, avviando attività di picchettaggio illegale, occupando la sede stradale, ponendo in essere una sistematica attività di sabotaggio ed istigando i dipendenti a forme illecite di lotta.
La sentenza
La Cassazione rileva, preliminarmente, che in astratto è configurabile un’associazione a delinquere tra
soggetti che svolgono attività sindacale, qualora la stessa sia posta in essere esorbitando il limite dell’esercizio dell’attività scriminata a livello costituzionale.Tuttavia – continua la sentenza – in tali casi, il raggiungimento della prova circa l’integrazione del predetto reato risulta molto difficoltoso, dal momento che il programma criminoso tende a confondersi con le specifiche finalità del sindacato, senza lasciar comprendere quando la condotta di ciascuno dei sindacalisti accusati sia finalizzata a interessi individuali di profitto e di potere e quando, invece, costituisca lotta, anche dura, per ottenere migliori condizioni di lavoro.
Secondo i Giudici di legittimità, nel caso di specie, non vi è stato il raggiungimento di una prova certa di colpevolezza, dal momento che, nell’imputazione, le finalità riconducibili all’associazione per delinquere sarebbero le stesse finalità proprie di una qualsiasi sigla sindacale.
Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso del Pubblico Ministero, confermando la non colpevolezza dei rappresentanti sindacali imputati per i reati ascrittigli.
Estratti dal comunicato del Sicobas
Nelle scorse ore sono state rese pubbliche le motivazioni con le quali il Tribunale del riesame di Bologna ha deciso, agli inizi di agosto, la revoca degli arresti domiciliari per Aldo, Arafat, Carlo e Bruno del SI Cobas e due sindacalisti di Usb.
In quasi 40 pagine i giudici di Bologna hanno letteralmente fatto a pezzi, fin quasi ridicolizzandolo, il teorema della procura di Piacenza e del PM Grazia Pradella, e con esso la farneticante accusa di associazione a delinquere a carico dei nostri compagni.
Al netto degli aspetti più tecnico-legali, che non è nostra competenza valutate, il giudizio del riesame assesta un colpo durissimo al tentativo di equiparare il sindacalismo conflittuale e soprattutto la pratica dei picchetti opera, ad un vero e proprio sodalizio criminale, e ribadisce più volte come il sindacato (quello vero, non asservito ai padroni) ha ne conflitto e nelle lotte rivendicative la sua ragion d’essere.
Degna di nota anche la sottolineatura della notevole differenza, anche sotto il punto di vista del diritto penale, tra “reato-mezzo” e “reato-fine”, laddove la condotta del SI Cobas viene annoverata nella prima fattispecie (reato di violenza privata che però ha come fine il conseguimento di obbiettivi e rivendicazioni del tutto lecite) mentre nel caso dell’associazione a delinquere il reato non è un mezzo, bensì il fine stesso di una determinata attività ritenuta illecita.
Non è un caso se nelle pagine dell’ordinanza, il caso di Piacenza venga esplicitamente equiparato alle inchieste che hanno colpito altri movimenti di lotta, su tutti i movimenti per il diritto all’abitare, anch’essi vittime di un teorema finalizzato ad equipararli ad un’associazione sovversiva e i cui presunti reati sono stati anch’essi successivamente riclassificati dal Tribunale come “reati-mezzo”.
In sostanza, sembra che i giudici di Bologna si siano fermati a metà del guado, riconoscendo l’enormità dell’accusa di associazione ma senza tirarne le somme fino in fondo, anzi nei fatti legittimando il ricorso a misure cautelari per il solo reato di “violenza privata”, ovvero di semplice blocco delle merci durante uno sciopero.
Esprimiamo dunque viva soddisfazione per il colpo assestato ai disegni repressivi della Questura e della Procura di Piacenza, e ringraziamo i nostri avvocati per l’eccellente lavoro svolto sul terreno, quello della legge borghese, a noi meno congeniale.
Portiamo a casa questo importante (per quanto parziale) risultato: un risultato che non riguarda i singoli individui sotto processo, ma l’insieme della classe lavoratrice.
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