Dipendente veneta della Civis con contratto Servizi fiduciari vince la causa contro l’azienda. Per il giudice lo stipendio non è dignitoso. In arrivo centinaia di ricorsi analoghi
CRISTIANO CADONI
06 Aprile 2023 alle 10:58
3 minuti di lettura
LA STAMPA
Povero, anzi poverissimo. E pure contrario ai princìpi della Costituzione. Quello dei lavoratori con contratto Vigilanza privata e Servizi fiduciari - addetti alle portinerie ma con tante altre mansioni, anche qualificate - è uno stipendio da fame, irrispettoso della dignità delle persone.
Sentenza storica
Lo ha stabilito, con una sentenza storica, un giudice del lavoro di Milano che ha accolto il ricorso di una lavoratrice padovana, sostenuta nella sua causa da Adl Cobas Padova e dagli avvocati, anch’essi padovani, Giorgia D’Andrea e Giacomo Gianolla.
La paga di 3,96 euro orari che veniva corrisposta alla lavoratrice - quella prevista dal contratto nazionale - per il giudice viola l’articolo 36 della Costituzione, laddove è sancito che «il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza
libera e dignitosa».
Dunque uno stipendio di 930 euro lordi al mese - poco più di 640 netti - è illegittimo, anche perché inferiore al reddito di cittadinanza o a una mensilità di cassa integrazione.
Per questo la causa è stata accolta e la Civis, società di vigilanza per la quale lavora la donna, è stata condannata a pagare un risarcimento di 372 euro lordi in più per ogni mese (6,756,04 in totale), cioè la differenza tra la paga versata e quella prevista per un servizio di portierato, che pure sarebbe il lavoro povero per eccellenza.
Le conseguenze
La sentenza spalanca scenari tutti da esplorare per almeno tre motivi.
Il primo: dietro questa causa ce ne sono tante altre avviate da lavoratori che hanno lo stesso contratto.
Il secondo: i lavoratori dei servizi fiduciari sono impiegati soprattutto da enti pubblici. A Padova, Venezia, Treviso, Belluno si trovano all’università, all’Esu, all’Agenzia delle Entrate, in Provincia, in ospedale. Fanno funzionare servizi essenziali ma sono sfruttati, nel silenzio complice degli enti.
Il terzo motivo: ora quel contratto nazionale - sottoscritto da Cgil e Cisl - teoricamente non può più essere applicato, a meno che le società non adeguino il trattamento, che era comunque - nel caso della Civis - inadeguato anche per altri aspetti.
Ma anche gli altri contratti di settore (l’Aiss e il Safi, sottoscritti da altri sindacati) nella sentenza sono stati certificati come inadeguati, perché prevedono retribuzioni mensili che variano dai 642,34 euro (Aiss) ai 711,29 (Safi).
La causa e le condizioni di lavoro
La vicenda prende avvio a novembre del 2022 quando una lavoratrice padovana, assistita da Adl Cobas, ricorre contro il trattamento economico che le spetta in base al contratto nazionale, chiedendo che si adeguato quantomeno a quello dei servizi di portierato.
La donna porta a casa poco più di mille euro al mese ma solo perché fa oltre 160 ore di straordinario al mese, condizione anche questa oggetto di contestazione.
Oltretutto Civis non le paga la malattia (e la sentenza la condanna a risarcire 345,45 euro per questa voce).
Gli avvocati D’Andrea e Gianolla sottolineano i tre punti chiave: la paga è del 40% inferiore a quella dei portieri (che in più hanno la 14a mensilità) ed è inadeguata a garantire condizioni di vita dignitose.
«Il fatto che sia lo stipendio previsto dal contratto nazionale approvato da Cgil e Cisl - punto sul quale si è basata la difesa di Civis - non può essere una giustificazione», sottolineano i legali, «perché i sindacati possono anche conoscere bene la realtà lavorativa ma non stabilire cosa è dignitoso e cosa no».
Sulla malattia non pagata la causa non ha avuto opposizione: «Civis ha ammesso che è stata una dimenticanza», spiegano ancora gli avvocati. «Nel periodo del Covid», sottolinea Aurelio Bocchi, sindacalista interno di Civis, «bisognava stare a casa 15 giorni e la busta paga era dimezzata».
Terzo aspetto, gli straordinari. Tra i lavoratori c’è chi ne fa più di 80 ore al mese, da aggiungere a orari già massacranti. «Civis ha sostenuto che il lavoro non è pesante perché discontinuo», spiega Marco Zanotto di Adl Cobas, «ma questi lavoratori non si limitano ad aprire una porta. Controllano gli accessi, sbrigano la corrispondenza, danno informazioni, gli è richiesta formazione antincendio, sono impegnati di continuo. Nel periodo del Covid gestivano anche gli accessi ai punti tampone».
E adesso?
Per Adl Cobas, la sentenza impone una presa di posizione forte, sia ai sindacati che agli enti pubblici. «Cgil e Cisl che hanno firmato quegli accordi, ma anche chi ne ha firmato altri, dovrebbe disdire i contratti», sostiene Zanotto, «perché non si possono più imporre retribuzioni così clamorosamente inadeguate.
Ma sono soprattutto gli enti pubblici che non possono più far finta di niente di fronte a una condizione di lavoro così penalizzante», insiste il sindacalista.
«Chiediamo l’apertura di un tavolo che coinvolga università, Esu, Regione, Provincia e tutti gli altri enti coinvolti perché si metta fine a questa logica di sfruttamento. È inaccettabile che i servizi pubblici funzionino con lavoratori pagati con stipendi sotto la soglia di povertà».
La sentenza è una vittoria importante, ma lo sarà ancora di più se ci sarà un seguito. «Per noi la conseguenza deve essere l’istituzione del salario minimo a dieci euro l’ora», conclude Zanotto. «Non si può delegare ogni decisione alla contrattazione collettiva. Oggi nessuno può vivere con meno di dieci euro all’ora».
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