Toh, guarda, i fascisti!
Pensieri in libertà dopo l’assalto neofascista alla sede nazionale della CGIL a Roma
E’ stato necessario, durante il corteo “No Green Pass”
del 9 ottobre scorso a Roma, l’assalto guidato da un gruppo di
neofascisti alla sede nazionale della CGIL. E quindi a una sede
sindacale.
Dodici persone arrestate tra cui Roberto Fiore, leader nazionale di Forza Nuova.
Un atto rivendicato come “fascista”.
In un paese dove è stata appena rieletta in Consiglio Comunale Rachele Mussolini e Fratelli d’Italia è in testa ai sondaggi è stato indispensabile arrivare a tanto per tirare fuori dai cassetti (e dargli una sana spolverata) l’antifascismo. Camere del Lavoro aperte il giorno dopo in tutta Italia, una manifestazione nazionale sabato 16, attestazioni di solidarietà a 360 gradi e immancabili dichiarazioni di condanna al “vile attacco alla democrazia e alla Costituzione”. Anche da parte di quelle forze del centrosinistra che sono al Governo insieme a Matteo Salvini e a una Lega che proprio antifascista non è.
“Mi sono stufata – ha detto Giorgia Meloni – il governo sciolga pure Forza Nuova”.
A parte che oggi non è sufficiente sciogliere ufficialmente una tale congerie per azzerarne automaticamente la possibilità di azione. Ma quante volte sono state applicate le norme transitorie della Costituzione più bella del mondo e le leggi successive che vietano la propaganda fascista e la ricostruzione di quel partito, sotto qualsiasi forma o nome? Forse bastano le dita di una mano per contarle, a fronte delle migliaia di casi in cui queste norme sono state e sono ancora oggi palesemente violate.
A 76 anni dalla fine della guerra ci si può presentare agli stadi con l’effigie del duce o una svastica disegnata sopra una bandiera, andare in giro con una maglietta che insulta Anna Frank, fare il saluto romano e altre nefandezze a cui la gente si è tranquillamente assuefatta.
Scioglierli? Ma perché abbiamo permesso che nascessero, crescessero di numero, seminassero omofobia, odio razziale, disprezzo delle donne, ovunque, dai social agli stadi?
Il problema vero è che il fascismo non è finito il 25 luglio del ’43 o il 25 aprile del ’45.
E che bisognerebbe ricominciare a studiare la Storia (e arrivare in quinta elementare “ai giorni nostri” e non agli antichi Romani). Che è una e una sola, la Storia, sempre quella. La memoria è soggettiva, ma la storia è obiettiva, non si può cercare di riscriverla.
Tornare a quel dopoguerra, allo spauracchio del bolscevismo (temuto dalle classi benestanti e dai piccoli e grandi imprenditori), alla guerra fredda.
Il Parlamento, a venti giorni dalla vittoria referendaria della repubblica del 2 giugno 1946, emanò un provvedimento detto amnistia Togliatti, dal nome del Ministro della Giustizia che lo firmò, guida storica del Partito Comunista Italiano. Quel provvedimento permise l’archiviazione di un numero enorme di processi e chi beneficiò delle scarcerazioni grazie a quel colpo di spugna furono magistrati, collaborazionisti, delatori, stragisti, cacciatori di ebrei e torturatori di partigiani. Sentenze significative della Corte di Cassazione ci mostrano con quali argomentazioni fu decretata l’impunità (a volte la riabilitazione giuridica) dell’intera classe dirigente del Ventennio.
E in Europa?
In Francia furono fucilati 10.500 collaborazionisti e celebrati 170mila processi contro circa 125mila imputati. In Norvegia, su soli tre milioni di abitanti, furono arrestate per filonazismo 90mila persone e reintrodotta la pena capitale per collaborazionismo aggravato.
In Danimarca circa 20mila arresti portarono a 14.500 condanne, da un anno all’ergastolo. In Belgio 87mila processi portarono a 1.000 pene capitali.
In Olanda 135mila arresti e decine di migliaia di condanne. Fu ripristinata per l’occasione la pena di morte. Seimila traditori vennero privati per sempre della cittadinanza olandese e i loro beni confiscati allo Stato.
E da noi?
I processi per collaborazionismo riguardarono circa 43mila persone, di cui 23mila amnistiate in fase istruttoria, 14mila liberate con formule varie e 6.000 condannate in via definitiva. Di amnistia, grazie e indulto beneficiarono 5.328 persone.
Sugli effetti di quell’amnistia, che mirava a riappacificare il paese, Sandro Pertini, all’epoca senatore socialista, si espresse così in un dibattito a Palazzo Madama: “L’epurazione è mancata. S’era detto che doveva colpire in alto e non in basso, ma nella pratica non si è colpito né in alto né in basso. E allora vediamo ora che questa amnistia raggiunge lo scopo contrario a quello per cui era stata emanata. Pensiamo, quindi, che verrà un giorno in cui dovremo vergognarci di aver combattuto il fascismo. E costituirà colpa essere stato in carcere e al confino per questo”.
La composizione della magistratura era rimasta la stessa del ventennio. Fu quindi in quel periodo, a colpi di sentenze, che iniziò la riscrittura della storia. Due esempi per tutti (ma sarebbero davvero tanti).
Giorgio Almirante, futuro segretario missino, dato che a quel tempo sul suo conto non risultava alcunché, non fu mai neppure amnistiato. Eppure aveva firmato il Manifesto della razza nel ’38. Nel dicembre del ’46 fu uno dei fondatori del Msi, ma solo nel ’71 fu ritrovato un documento a sua firma, nell’archivio comunale di Massa Marittima, dove minacciava di morte gli sbandati (partigiani) che non si fossero immediatamente arruolati con i repubblichini. In base a quell’editto tra il 13 e il 14 giugno del ’44 furono fucilati 83 antifascisti. Un’autorizzazione a procedere, richiesta nei suoi confronti all’inizio degli anni ’70 per ricostruzione del disciolto partito fascista, fu concessa dalla Camera dei Deputati, ma diventò eseguibile solo alcuni mesi dopo la sua morte, nel 1998.
Junio Valerio Borghese, durante la Seconda guerra mondiale ufficiale della Regia marina, entrò a far parte della X Flottiglia MAS e ne divenne comandante. Dopo l’armistizio aderì alla Repubblica Sociale Italiana. La flottiglia diventò di fatto una divisione di fanteria e nella seconda metà del ’44 venne impiegata in rastrellamenti, rappresaglie, torture e attività antipartigiane. Dopo la guerra fu arrestato e condannato a una pena di due ergastoli, poi ridotti a dodici anni. In seguito all’amnistia Togliatti fu scarcerato. Tra il 7 e l’8 dicembre 1970 tentò addirittura un colpo di stato, fallito, per il quale venne emesso un mandato d cattura, revocato nel ’73 e dal quale fu poi prosciolto.
Insomma, la maggioranza dei funzionari fascisti furono perdonati, sdoganati, riciclati.
I comunisti, la Russia, loro sì costituivano un pericolo, contro cui i neofascisti erano un bastione forte; quindi occorreva permettere loro di rientrare nella vita politica. Inoltre Palmiro Togliatti era convinto che “attraverso la politica della mano tesa si potessero conquistare ampi strati altrimenti esposti a suggestioni monarchiche, qualunquiste”.
Nello specifico, per quanto riguarda i 695 eccidi commessi dai nazifascisti dal ’43 al ’45, e nonostante molti responsabili fossero stati individuati, il Governo De Gasperi archiviò ben 2.264 fascicoli, dimenticati nei famigerati “armadi della vergogna”.
Il primo presidente della Corte Costituzionale a non avere alcun precedente con il fascismo fu eletto agli inizi degli anni ’70, a poco dalle campagne contro le toghe rosse.
Ma la Storia è ancora lunga (1 – continua)
Dodici persone arrestate tra cui Roberto Fiore, leader nazionale di Forza Nuova.
Un atto rivendicato come “fascista”.
In un paese dove è stata appena rieletta in Consiglio Comunale Rachele Mussolini e Fratelli d’Italia è in testa ai sondaggi è stato indispensabile arrivare a tanto per tirare fuori dai cassetti (e dargli una sana spolverata) l’antifascismo. Camere del Lavoro aperte il giorno dopo in tutta Italia, una manifestazione nazionale sabato 16, attestazioni di solidarietà a 360 gradi e immancabili dichiarazioni di condanna al “vile attacco alla democrazia e alla Costituzione”. Anche da parte di quelle forze del centrosinistra che sono al Governo insieme a Matteo Salvini e a una Lega che proprio antifascista non è.
“Mi sono stufata – ha detto Giorgia Meloni – il governo sciolga pure Forza Nuova”.
A parte che oggi non è sufficiente sciogliere ufficialmente una tale congerie per azzerarne automaticamente la possibilità di azione. Ma quante volte sono state applicate le norme transitorie della Costituzione più bella del mondo e le leggi successive che vietano la propaganda fascista e la ricostruzione di quel partito, sotto qualsiasi forma o nome? Forse bastano le dita di una mano per contarle, a fronte delle migliaia di casi in cui queste norme sono state e sono ancora oggi palesemente violate.
A 76 anni dalla fine della guerra ci si può presentare agli stadi con l’effigie del duce o una svastica disegnata sopra una bandiera, andare in giro con una maglietta che insulta Anna Frank, fare il saluto romano e altre nefandezze a cui la gente si è tranquillamente assuefatta.
Scioglierli? Ma perché abbiamo permesso che nascessero, crescessero di numero, seminassero omofobia, odio razziale, disprezzo delle donne, ovunque, dai social agli stadi?
Il problema vero è che il fascismo non è finito il 25 luglio del ’43 o il 25 aprile del ’45.
E che bisognerebbe ricominciare a studiare la Storia (e arrivare in quinta elementare “ai giorni nostri” e non agli antichi Romani). Che è una e una sola, la Storia, sempre quella. La memoria è soggettiva, ma la storia è obiettiva, non si può cercare di riscriverla.
Tornare a quel dopoguerra, allo spauracchio del bolscevismo (temuto dalle classi benestanti e dai piccoli e grandi imprenditori), alla guerra fredda.
Il Parlamento, a venti giorni dalla vittoria referendaria della repubblica del 2 giugno 1946, emanò un provvedimento detto amnistia Togliatti, dal nome del Ministro della Giustizia che lo firmò, guida storica del Partito Comunista Italiano. Quel provvedimento permise l’archiviazione di un numero enorme di processi e chi beneficiò delle scarcerazioni grazie a quel colpo di spugna furono magistrati, collaborazionisti, delatori, stragisti, cacciatori di ebrei e torturatori di partigiani. Sentenze significative della Corte di Cassazione ci mostrano con quali argomentazioni fu decretata l’impunità (a volte la riabilitazione giuridica) dell’intera classe dirigente del Ventennio.
E in Europa?
In Francia furono fucilati 10.500 collaborazionisti e celebrati 170mila processi contro circa 125mila imputati. In Norvegia, su soli tre milioni di abitanti, furono arrestate per filonazismo 90mila persone e reintrodotta la pena capitale per collaborazionismo aggravato.
In Danimarca circa 20mila arresti portarono a 14.500 condanne, da un anno all’ergastolo. In Belgio 87mila processi portarono a 1.000 pene capitali.
In Olanda 135mila arresti e decine di migliaia di condanne. Fu ripristinata per l’occasione la pena di morte. Seimila traditori vennero privati per sempre della cittadinanza olandese e i loro beni confiscati allo Stato.
E da noi?
I processi per collaborazionismo riguardarono circa 43mila persone, di cui 23mila amnistiate in fase istruttoria, 14mila liberate con formule varie e 6.000 condannate in via definitiva. Di amnistia, grazie e indulto beneficiarono 5.328 persone.
Sugli effetti di quell’amnistia, che mirava a riappacificare il paese, Sandro Pertini, all’epoca senatore socialista, si espresse così in un dibattito a Palazzo Madama: “L’epurazione è mancata. S’era detto che doveva colpire in alto e non in basso, ma nella pratica non si è colpito né in alto né in basso. E allora vediamo ora che questa amnistia raggiunge lo scopo contrario a quello per cui era stata emanata. Pensiamo, quindi, che verrà un giorno in cui dovremo vergognarci di aver combattuto il fascismo. E costituirà colpa essere stato in carcere e al confino per questo”.
La composizione della magistratura era rimasta la stessa del ventennio. Fu quindi in quel periodo, a colpi di sentenze, che iniziò la riscrittura della storia. Due esempi per tutti (ma sarebbero davvero tanti).
Giorgio Almirante, futuro segretario missino, dato che a quel tempo sul suo conto non risultava alcunché, non fu mai neppure amnistiato. Eppure aveva firmato il Manifesto della razza nel ’38. Nel dicembre del ’46 fu uno dei fondatori del Msi, ma solo nel ’71 fu ritrovato un documento a sua firma, nell’archivio comunale di Massa Marittima, dove minacciava di morte gli sbandati (partigiani) che non si fossero immediatamente arruolati con i repubblichini. In base a quell’editto tra il 13 e il 14 giugno del ’44 furono fucilati 83 antifascisti. Un’autorizzazione a procedere, richiesta nei suoi confronti all’inizio degli anni ’70 per ricostruzione del disciolto partito fascista, fu concessa dalla Camera dei Deputati, ma diventò eseguibile solo alcuni mesi dopo la sua morte, nel 1998.
Junio Valerio Borghese, durante la Seconda guerra mondiale ufficiale della Regia marina, entrò a far parte della X Flottiglia MAS e ne divenne comandante. Dopo l’armistizio aderì alla Repubblica Sociale Italiana. La flottiglia diventò di fatto una divisione di fanteria e nella seconda metà del ’44 venne impiegata in rastrellamenti, rappresaglie, torture e attività antipartigiane. Dopo la guerra fu arrestato e condannato a una pena di due ergastoli, poi ridotti a dodici anni. In seguito all’amnistia Togliatti fu scarcerato. Tra il 7 e l’8 dicembre 1970 tentò addirittura un colpo di stato, fallito, per il quale venne emesso un mandato d cattura, revocato nel ’73 e dal quale fu poi prosciolto.
Insomma, la maggioranza dei funzionari fascisti furono perdonati, sdoganati, riciclati.
I comunisti, la Russia, loro sì costituivano un pericolo, contro cui i neofascisti erano un bastione forte; quindi occorreva permettere loro di rientrare nella vita politica. Inoltre Palmiro Togliatti era convinto che “attraverso la politica della mano tesa si potessero conquistare ampi strati altrimenti esposti a suggestioni monarchiche, qualunquiste”.
Nello specifico, per quanto riguarda i 695 eccidi commessi dai nazifascisti dal ’43 al ’45, e nonostante molti responsabili fossero stati individuati, il Governo De Gasperi archiviò ben 2.264 fascicoli, dimenticati nei famigerati “armadi della vergogna”.
Il primo presidente della Corte Costituzionale a non avere alcun precedente con il fascismo fu eletto agli inizi degli anni ’70, a poco dalle campagne contro le toghe rosse.
Ma la Storia è ancora lunga (1 – continua)
Bibliografia: Massimo Recchioni, Francesco Moranino, il comandante “Gemisto”. La criminalizzazione della Resistenza, ed. DeriveApprodi 2021
Simonetta Valenti
Nessun commento:
Posta un commento