Il governo italiano fa la sua di parte nella spartizione del mondo, nel rafforzare l'economia di guerra, nella difesa di un sistema economico che è letale per lo sviluppo e il progresso sociale. La ripresa economica, per il rappresentante della borghesia imperialista italiana e il suo ministro, Guerini, passa anche per un sistema integrato tra industria e Difesa. La soluzione alla crisi che l'imperialismo ha creato significa allargamento della povertà, attacco alle condizioni di vita e di lavoro, attacco ai diritti, fascismo e reazione. Nessuna riforma è possibile, l'unica soluzione per i proletari e le masse è il rovesciamento rivoluzionario di questo dis-ordine imperialista!
Da Antimafiaduemila
In Italia oggi, secondo i
dati ISTAT, vivono in condizioni di povertà assoluta "poco più di
due milioni di famiglie (7,7% del totale da 6,4% del 2019) e oltre 5,6 milioni
di individui (9,4% da 7,7%)”. Ciò significa che quasi il 10% della
popolazione italiana non ha le risorse sufficienti per condurre una vita che
possa definirsi accettabile. Per non parlare poi del Meridione in cui il tasso
di povertà supera il 42 %.
Il Presidente del consiglio,
Draghi, nella conferenza stampa di presentazione della NADEF, ha dichiarato che
“ci dobbiamo dotare di una Difesa
molto più significativa e bisognerà spendere molto di più nella Difesa di
quanto fatto finora, perché le coperture internazionali di cui eravamo certi si
sono dimostrate meno interessate nei confronti dell’Europa”.
Nel Documento Programmatico Pluriennale 2020-22 (DPP 2020-22), rilasciato dal Ministero della Difesa, viene esplicitato che “il summit di Londra ha costituito un passaggio sostanziale per riaffermare la vitalità della NATO e l’essenzialità del legame transatlantico (…) La nostra
appartenenza alla NATO richiede, tuttavia, anche un più puntuale rispetto degli impegni assunti, in termini di contribuzione finanziaria, oltre che di capacità esprimibili e di contributi operativi. La quantità delle risorse investite dai Paesi membri dell’Alleanza, nelle rispettive Difese, è infatti oggetto di un costante e sempre più attento monitoraggio. Stiamo pertanto intraprendendo tutti gli sforzi necessari per avviare un percorso teso ad incrementare gradualmente gli investimenti, con l’obiettivo di allineare, progressivamente, il rapporto tra il Budget della Difesa e PIL nazionale, alla media degli altri Paesi europei”.L’obiettivo rimane quello del
raggiungimento dell’obiettivo NATO del 2% del Pil annuo. Per l’Italia si tratterebbe di una spesa di circa 40 miliardi
all’anno, ben superiore ai 100 milioni di euro al giorno.
Ma questo è solo uno dei
parametri previsti dal cosiddetto “Burden sharing”, ovvero dalla “condivisione
del fardello” delle spese necessarie per sostenere l’Alleanza Atlantica. La
NATO, infatti, richiede ai propri Paesi Alleati di tendere, entro il 2024, al
raggiungimento dei seguenti obiettivi, le cosiddette “tre C”: 2% delle spese
per la difesa rispetto al PIL (“cash”); 20% delle spese per la Difesa da
destinare agli investimenti in “major equipments”; contribuire a missioni,
operazioni e finanziare altre attività (“contributions”).
L’aumento spese militari in Italia e il
Recovery Fund
Nel Documento Programmatico Pluriennale 2021-2023 (DPP 2021-2023) rilasciato
dal Ministero della Difesa, viene evidenziato come la “rinnovata
competizione militare fra gli Stati” si rifletta sulla spesa militare mondiale,
“che nel 2020 ha continuato a salire, sfiorando i 2.ooo miliardi di dollari, a
fronte di una diminuzione importante del PIL mondiale”. Ovviamente, questo
ha fatto sì che anche la quota percentuale della spesa militare su PIL in molti
Paesi sia aumentata, in media, di 0,2 punti in un anno in tutto il mondo,
attestandosi al 2,4%.
Nel documento, per quanto concerne la programmazione
di spesa in ambito militare, si precisa che
“la dotazione complessiva per il 2021
ammonta a 24.583,2 milioni di Euro, pari all’1,41% del PIL previsionale
(1.738.106,0 milioni di Euro). Le assegnazioni per il 2022 e per il 2023,
invece, ammontano rispettivamente a 25.164,7 milioni di Euro e 23.493,0 milioni
di Euro e, riferite ai corrispondenti valori di Pil previsionale (1.835.755,0
milioni di Euro e 1.904.638,0 milioni di Euro), denotano un rapporto pari a
1,37% nel 2022 e 1,23% nel 2023”. Più in generale, “con riferimento al periodo
2008-2023, il bilancio della Difesa a valori correnti registra un incremento
del 16,3% passando da uno stanziamento di 21.132,3 milioni di Euro del 2008 a
quello di 24.583,2 milioni di Euro del 2021; il rapporto Bilancio Ordinario
Difesa/PIL passa dall’1,35% del 2008 al valore di 1,41% nel 2021; tale
incremento percentuale per il 2021, sebbene imputabile ad un aumento degli
stanziamenti, è altresì condizionato dal valore del PIL previsionale che
risente degli effetti indotti dalla crisi economica in atto a seguito
dell’epidemia di COVID-19”.
Inoltre, come si può constatare leggendo l’”Elenco
progetti del Recovery Fund”, il Ministero della Difesa e dello Sviluppo
Economico hanno presentato un elenco di progetti di carattere militare per
l’ammontare di circa 30 miliardi di Euro. Il Ministero della Difesa prevede di
spendere 5 Miliardi di Euro per applicazioni militari nei settori della
cibernetica, delle comunicazioni, dello spazio e dell’intelligenza artificiale.
Rilevanti i progetti relativi all’uso militare del 5G. Invece, i progetti del
Ministero dello Sviluppo Economico, relativi soprattutto al settore militare
aerospaziale, prevedono una spesa di 25 miliardi di Euro del Recovery Fund.
Ad aprire alla possibilità di veder aumentare le spese
militari in maniera significativa è stato il Parlamento italiano, a quanto risulta dalle Relazioni definite e
votate in questi giorni dalle Commissioni competenti. Nel testo licenziato
dalla Camera si raccomanda di “incrementare,
considerata la centralità del quadrante mediterraneo, la capacità militare
dando piena attuazione ai programmi di specifico interesse volti a sostenere
l’ammodernamento ed il rinnovamento dello strumento militare, promuovendo
l’attività di ricerca e di sviluppo delle nuove tecnologie e dei materiali,
anche in favore degli obiettivi che favoriscano la transizione ecologica,
contribuendo al necessario sostegno dello strategico settore industriale e al
mantenimento di adeguati livelli occupazionali nel comparto”. Per il
Senato “occorre, inoltre, promuovere una visione organica del settore
della Difesa, in grado di dialogare con la filiera industriale coinvolta, in
un’ottica di collaborazione con le realtà industriali nazionali, think tank e
centri di ricerca”. Il comparto militare riceverà almeno il
18% (quasi 27 miliardi) dei Fondi pluriennali di investimento attivi dal 2017
al 2034. Le indicazioni inviate al Governo derivano da dibattiti nelle
Commissioni Difesa della Camera e del Senato che hanno approvato all’unanimità
i pareri consultivi relativi. Ciò evidenzia un sostegno trasversale all’ipotesi
di destinare i fondi del PNRR anche al rafforzamento dello strumento militare.
Addirittura alla Camera i Commissari hanno concentrato il loro dibattito sulla
“opportunità” di accrescere ulteriormente i fondi a favore della spesa militare
fornita dal Piano. Da notare come il rappresentante del Governo abbia
sottolineato il fatto che i pareri votati “corrispondano alla visione
organica del PNRR” dello stesso esecutivo Draghi. Quest’ultimo dunque,
ritiene che la ripresa del nostro Paese
si possa realizzare anche favorendo la corsa agli armamenti. Nel corso
della discussione sono stati uditi rappresentanti dell’industria militare
(AIAD, Anpam, Leonardo spa) mentre non sono state prese in considerazione le “12
Proposte di pace e disarmo per il PNRR” elaborate dalla Rete Italiana
Pace e Disarmo e inviate a tutte le Commissioni competenti.
Ma, ovviamente, tutto questo è per il nostro bene.
L’emergenza causata dal Covid-19 ha comportato pesanti ricadute sul tessuto
socio-economico, anche e soprattutto a causa di un quantomeno inefficiente intervento
dell’attore pubblico. E, come in
occasione di ogni crisi economica, invece che provare a rivedere il nostro
sistema di sviluppo, il nostro modo della produzione, ed il nostro paradigma
dell’accumulo di capitale, si propone la soluzione facile, che però è, al
contempo, anche la più dannosa: la guerra. Nel DPP 2020-22, infatti,
leggiamo come “recenti studi affermano che, complessivamente, le
imprese del settore Aerospazio, Sicurezza e Difesa generano in Italia lo 0,8%
del PIL, con un ritorno occupazionale stimabile in circa 159.000 unità, indotto
incluso. Il settore assicura un gettito fiscale di oltre 4,8 miliardi di euro;
emerge inoltre che il moltiplicatore totale del valore aggiunto è stimato in
2,6, quindi 1 euro di valore aggiunto delle imprese del settore genera 1,6 euro
addizionali di valore aggiunto nel resto dell’economia”. C’è crisi? Non
preoccupiamoci. Basta investire ancora più risorse nel comparto
militare-industriale, e il gioco è fatto: “In conclusione, le
conseguenze economiche negative attese dell’emergenza legata al COVID-19
rinforzano la necessità di orientare risorse economiche importanti verso un
settore, come quello della Difesa, che fornisce ampie garanzie in termini di
ricadute occupazionali ed indotto, oltre a rappresentare un fondamentale
investimento per la sicurezza dei nostri concittadini”, recita ancora
il documento.
Secondo le indiscrezioni rilasciate al mensile Rid dall’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, l’Italia si doterà
di nuovi missili cruise dalla gittata di oltre 1000 Km per armare i sottomarini
della classe U-212 e le fregate Fremm posizionate nel Mediterraneo. Si
tratterebbe di una riorganizzazione delle nostre forze armate in chiave
offensiva, che era già stata anticipata dall’annuncio sulla fornitura dei primi
droni armati per l’Italia, esplicitato nel DPP 2021-23. Con un programma di
spesa pari a 168 milioni di euro, il ministero della Difesa ha dato conferma
per armare i droni classe Male Reaper italiani. Questi ultimi sono stati i
primi velivoli ad essere utilizzati dall’aviazione militare statunitense nella
guerra in Afghanistan che, stando ai report stilati da Airwars, dal 2001 ad
oggi avrebbero provocato la morte di almeno 22.000 civili, con un margine fino
a 48.000. Un fatto gravissimo, che pone seri interrogativi su quali realmente
siano le intenzioni e gli obiettivi militari del nostro Paese. Secondo lo
stesso Giuseppe Cavo Dragone, i nuovi sistemi di armi, oltre che a garantire un
maggior peso strategico in questioni come quella dei giacimenti contesi con la
Turchia a largo di Cipro, saranno “fondamentali per affrontare le nuove
fortezze elettroniche realizzate soprattutto dai russi”, cioè aree
protette da schermi radar e da batterie missilistiche anti-nave caratterizzate
da una elevata potenza nucleare. L’Italia, dunque, si sta posizionando per uno
scontro diretto con la Russia col benestare della NATO e, mentre a parole viene
paventata una logica difensiva rispetto all’espansione di una ipotetica
minaccia esterna, si continua a provocare Mosca con imponenti manovre militari
ai suoi confini. Dal 22 settembre in effetti, nelle acque del Mar Nero e del
mare d’Azov, si stanno tenendo le esercitazioni internazionali “Joint Efforts
2021" a cui prendono parte delegazioni di 15 paesi alleati del blocco
NATO, tra cui non poteva mancare il nostro Paese. Vi partecipano ben 12.500
militari, 85 carri armati, 420 corazzati, 50 pezzi d’artiglieria, 20 navi da
guerra e 30 elicotteri. Abbiamo dunque scelto di stare nella prima fila delle
cannoniere euro-atlantiche contro il resto del mondo. Non si tratta di
un’iniziativa del nostro Paese a difesa dei suoi interessi, ma del solito
vecchio iter: seguire le orme guerrafondaie del padrone d’oltreoceano. Gli oltre
1000 km di proiezione del nostro potenziale offensivo ora consentono di alzare
la posta in gioco, anche contro l’Iran. Fatti alla mano, l’eventualità di una
guerra si fa sempre più vicina.
Tale decisione non è sicuramente frutto del caso, ma
nasce da influenze e da documenti ben precisi, ideati e redatti da importanti
centri di ricerca, think-tank, gruppi di interesse, che sempre influenzano le
decisioni dei governi e dei principali attori pubblici, soprattutto
occidentali. Uno di questi è lo IAI, l’Istituto Affari Internazionali fondato
nel 1965 su iniziativa di Altiero Spinelli. Un documento
rilasciato proprio dallo IAI il 5 aprile 2021, e dal titolo “Europe’s
Missile Defence and Italy: Capabilities and Cooperation” (“La difesa
missilistica europea e l’Italia: capacità e cooperazione”), è chiarificatore in
tal senso. In questo documento viene esplicitato come, a causa del mutamento
repentino dello scenario internazionale, l’Italia debba necessariamente dotarsi
di un proprio arsenale missilistico in grado di stare al passo con i tempi.
Inoltre, l’esposizione dell’Italia nel contesto geopolitico, militare e della
guerra è massima: “La protezione del suolo nazionale per l’Italia è
particolarmente difficoltosa, a causa della sua prossimità con il Nord Africa e
con il Medio Oriente, considerando anche il fatto che Roma è gradualmente
entrata nel raggio d’azione dei missili iraniani e che gli arsenali libici sono
stati oggetto di contrabbando dopo il 2011. L’Italia è inoltre una delle poche
nazioni europee che ospitano armi nucleari tattiche statunitensi, e questo
rende automaticamente il Paese un possibile bersaglio di potenziali attacchi
missilistici russi contro bombardieri americani a doppia capacità convenzionale
e nucleare”.
Più in generale, nel documento vengono esplicitati
dieci punti ai quali l’approccio italiano alla difesa dovrebbe ispirarsi: “In
primo luogo, la Nato rimane la chiave di volta strategica ed operativa delle
difesa missilistica dell’Europa (…) Il secondo punto concerne la cooperazione
europea che, portata avanti principalmente ma non soltanto tramite le
iniziative Ue, è diventata il principale canale per lo sviluppo efficace e
sostenibile di robuste capacità di difesa missilistica”. Dunque, NATO
e UE rimangono punti cardine della politica italiana, proprio come ribadito
da Mario Draghi nei primi giorni del suo mandato presidenziale iniziato a febbraio di
quest’anno. Il documento continua, evidenziando che, “in terzo luogo,
al fine di affrontare le minacce missilistiche attuali e future, è necessario
disporre di una serie di sensori in grado di trovare, identificare e tracciare
i missili avversari”. Ci si sta dunque preparando a chiari ed
inequivocabili scenari di guerra, in cui missili e testate ipersoniche,
sicuramente termonucleari, sarebbero al centro di tali eventi. E ancora, il
documento procede con l’elenco dei “punti chiave”, individuando
la “dimensione spaziale della difesa missilistica” come
fondamentale, ma anche mettendo l’Italia in guardia circa i recenti sviluppi
delle armi ipersoniche. Ovviamente, “la continuità degli investimenti
italiani è una priorità che influenza profondamente la posizione del Paese”;
inoltre, occorre mettere in campo “un dialogo tempestivo, sistematico e
costante tra le Forze Armate e l’industria, affinché possano lavorare insieme
alla valutazione delle minacce, alla determinazione dei In requisiti, ai rischi
e alle opportunità presentate dallo sviluppo di nuove capacità”. Gli ultimi
due punti citati nel documento consistono nel fatto che, “quanto a difesa missilistica,
le forze armate italiane necessitano di un salto di qualità in termini
interforze”, e che, per l’Italia è fondamentale “sfruttare i
vantaggi offerti dalla sua posizione geografica al fine di mitigarne gli
svantaggi”. In generale, “soltanto adottando un approccio alla
difesa missilistica più integrato, ad ampio spettro e a lungo termine, l’Italia
potrà affrontare in modo efficace i dieci punti appena descritti. Tale
approccio dovrà partire dal riconoscere la rilevanza della difesa missilistica per
la sicurezza nazionale, la difesa collettiva della NATO e la cooperazione in
ambito UE, nonché per le capacità industriali e tecnologiche del Paese”.
L’Italia si trova in prima linea in un possibile nuovo conflitto mondiale
In questo momento quindi, l’Italia si trova in prima linea nello scontro contro
Russia e Cina. Ed è preoccupante quanto emerso anche da numerosi test e
simulazioni i quali mostrano come il nostro Paese sarà probabilmente uno dei
primi bersagli ad essere colpiti nell’eventualità di una guerra. Per questo
motivo la corsa agli armamenti intrapresa dal governo Draghi sotto direttiva
della Nato e quindi degli Stati Uniti d’America, provoca grande inquietudine
per le sorti future di ognuno di noi.
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