mercoledì 27 ottobre 2021

Contro G20 - Cresce la povertà e il governo aumenta le spese militari!

Il governo italiano fa la sua di parte nella spartizione del mondo, nel rafforzare l'economia di guerra, nella difesa di un sistema economico che è letale per lo sviluppo e il progresso sociale. La ripresa economica, per il rappresentante della borghesia imperialista italiana e il suo ministro, Guerini, passa anche per un sistema integrato tra industria e Difesa. La soluzione alla crisi che l'imperialismo ha creato significa allargamento della povertà, attacco alle condizioni di vita e di lavoro, attacco ai diritti, fascismo e reazione. Nessuna riforma è possibile, l'unica soluzione per i proletari e le masse è il rovesciamento rivoluzionario di questo dis-ordine imperialista!

Da Antimafiaduemila

In Italia oggi, secondo i dati ISTAT, vivono in condizioni di povertà assoluta "poco più di due milioni di famiglie (7,7% del totale da 6,4% del 2019) e oltre 5,6 milioni di individui (9,4% da 7,7%)”. Ciò significa che quasi il 10% della popolazione italiana non ha le risorse sufficienti per condurre una vita che possa definirsi accettabile. Per non parlare poi del Meridione in cui il tasso di povertà supera il 42 %.

Il Presidente del consiglio, Draghi, nella conferenza stampa di presentazione della NADEF, ha dichiarato che “ci dobbiamo dotare di una Difesa molto più significativa e bisognerà spendere molto di più nella Difesa di quanto fatto finora, perché le coperture internazionali di cui eravamo certi si sono dimostrate meno interessate nei confronti dell’Europa”.

Nel Documento Programmatico Pluriennale 2020-22 (DPP 2020-22), rilasciato dal Ministero della Difesa, viene esplicitato che “il summit di Londra ha costituito un passaggio sostanziale per riaffermare la vitalità della NATO e l’essenzialità del legame transatlantico (…) La nostra

appartenenza alla NATO richiede, tuttavia, anche un più puntuale rispetto degli impegni assunti, in termini di contribuzione finanziaria, oltre che di capacità esprimibili e di contributi operativi. La quantità delle risorse investite dai Paesi membri dell’Alleanza, nelle rispettive Difese, è infatti oggetto di un costante e sempre più attento monitoraggio. Stiamo pertanto intraprendendo tutti gli sforzi necessari per avviare un percorso teso ad incrementare gradualmente gli investimenti, con l’obiettivo di allineare, progressivamente, il rapporto tra il Budget della Difesa e PIL nazionale, alla media degli altri Paesi europei”.

L’obiettivo rimane quello del raggiungimento dell’obiettivo NATO del 2% del Pil annuo. Per l’Italia si tratterebbe di una spesa di circa 40 miliardi all’anno, ben superiore ai 100 milioni di euro al giorno.

Ma questo è solo uno dei parametri previsti dal cosiddetto “Burden sharing”, ovvero dalla “condivisione del fardello” delle spese necessarie per sostenere l’Alleanza Atlantica. La NATO, infatti, richiede ai propri Paesi Alleati di tendere, entro il 2024, al raggiungimento dei seguenti obiettivi, le cosiddette “tre C”: 2% delle spese per la difesa rispetto al PIL (“cash”); 20% delle spese per la Difesa da destinare agli investimenti in “major equipments”; contribuire a missioni, operazioni e finanziare altre attività (“contributions”).

L’aumento spese militari in Italia e il Recovery Fund
Nel Documento Programmatico Pluriennale 2021-2023 (DPP 2021-2023) rilasciato dal Ministero della Difesa, viene evidenziato come la “rinnovata competizione militare fra gli Stati” si rifletta sulla spesa militare mondiale, “che nel 2020 ha continuato a salire, sfiorando i 2.ooo miliardi di dollari, a fronte di una diminuzione importante del PIL mondiale”. Ovviamente, questo ha fatto sì che anche la quota percentuale della spesa militare su PIL in molti Paesi sia aumentata, in media, di 0,2 punti in un anno in tutto il mondo, attestandosi al 2,4%.

Nel documento, per quanto concerne la programmazione di spesa in ambito militare, si precisa che

“la dotazione complessiva per il 2021 ammonta a 24.583,2 milioni di Euro, pari all’1,41% del PIL previsionale (1.738.106,0 milioni di Euro). Le assegnazioni per il 2022 e per il 2023, invece, ammontano rispettivamente a 25.164,7 milioni di Euro e 23.493,0 milioni di Euro e, riferite ai corrispondenti valori di Pil previsionale (1.835.755,0 milioni di Euro e 1.904.638,0 milioni di Euro), denotano un rapporto pari a 1,37% nel 2022 e 1,23% nel 2023”. Più in generale, “con riferimento al periodo 2008-2023, il bilancio della Difesa a valori correnti registra un incremento del 16,3% passando da uno stanziamento di 21.132,3 milioni di Euro del 2008 a quello di 24.583,2 milioni di Euro del 2021; il rapporto Bilancio Ordinario Difesa/PIL passa dall’1,35% del 2008 al valore di 1,41% nel 2021; tale incremento percentuale per il 2021, sebbene imputabile ad un aumento degli stanziamenti, è altresì condizionato dal valore del PIL previsionale che risente degli effetti indotti dalla crisi economica in atto a seguito dell’epidemia di COVID-19”.

Inoltre, come si può constatare leggendo l’”Elenco progetti del Recovery Fund”, il Ministero della Difesa e dello Sviluppo Economico hanno presentato un elenco di progetti di carattere militare per l’ammontare di circa 30 miliardi di Euro. Il Ministero della Difesa prevede di spendere 5 Miliardi di Euro per applicazioni militari nei settori della cibernetica, delle comunicazioni, dello spazio e dell’intelligenza artificiale. Rilevanti i progetti relativi all’uso militare del 5G. Invece, i progetti del Ministero dello Sviluppo Economico, relativi soprattutto al settore militare aerospaziale, prevedono una spesa di 25 miliardi di Euro del Recovery Fund.

Ad aprire alla possibilità di veder aumentare le spese militari in maniera significativa è stato il Parlamento italiano, a quanto risulta dalle Relazioni definite e votate in questi giorni dalle Commissioni competenti. Nel testo licenziato dalla Camera si raccomanda di “incrementare, considerata la centralità del quadrante mediterraneo, la capacità militare dando piena attuazione ai programmi di specifico interesse volti a sostenere l’ammodernamento ed il rinnovamento dello strumento militare, promuovendo l’attività di ricerca e di sviluppo delle nuove tecnologie e dei materiali, anche in favore degli obiettivi che favoriscano la transizione ecologica, contribuendo al necessario sostegno dello strategico settore industriale e al mantenimento di adeguati livelli occupazionali nel comparto”. Per il Senato “occorre, inoltre, promuovere una visione organica del settore della Difesa, in grado di dialogare con la filiera industriale coinvolta, in un’ottica di collaborazione con le realtà industriali nazionali, think tank e centri di ricerca. Il comparto militare riceverà almeno il 18% (quasi 27 miliardi) dei Fondi pluriennali di investimento attivi dal 2017 al 2034. Le indicazioni inviate al Governo derivano da dibattiti nelle Commissioni Difesa della Camera e del Senato che hanno approvato all’unanimità i pareri consultivi relativi. Ciò evidenzia un sostegno trasversale all’ipotesi di destinare i fondi del PNRR anche al rafforzamento dello strumento militare. Addirittura alla Camera i Commissari hanno concentrato il loro dibattito sulla “opportunità” di accrescere ulteriormente i fondi a favore della spesa militare fornita dal Piano. Da notare come il rappresentante del Governo abbia sottolineato il fatto che i pareri votati “corrispondano alla visione organica del PNRR” dello stesso esecutivo Draghi. Quest’ultimo dunque, ritiene che la ripresa del nostro Paese si possa realizzare anche favorendo la corsa agli armamenti. Nel corso della discussione sono stati uditi rappresentanti dell’industria militare (AIAD, Anpam, Leonardo spa) mentre non sono state prese in considerazione le “12 Proposte di pace e disarmo per il PNRR” elaborate dalla Rete Italiana Pace e Disarmo e inviate a tutte le Commissioni competenti.

Ma, ovviamente, tutto questo è per il nostro bene. L’emergenza causata dal Covid-19 ha comportato pesanti ricadute sul tessuto socio-economico, anche e soprattutto a causa di un quantomeno inefficiente intervento dell’attore pubblico. E, come in occasione di ogni crisi economica, invece che provare a rivedere il nostro sistema di sviluppo, il nostro modo della produzione, ed il nostro paradigma dell’accumulo di capitale, si propone la soluzione facile, che però è, al contempo, anche la più dannosa: la guerra. Nel DPP 2020-22, infatti, leggiamo come “recenti studi affermano che, complessivamente, le imprese del settore Aerospazio, Sicurezza e Difesa generano in Italia lo 0,8% del PIL, con un ritorno occupazionale stimabile in circa 159.000 unità, indotto incluso. Il settore assicura un gettito fiscale di oltre 4,8 miliardi di euro; emerge inoltre che il moltiplicatore totale del valore aggiunto è stimato in 2,6, quindi 1 euro di valore aggiunto delle imprese del settore genera 1,6 euro addizionali di valore aggiunto nel resto dell’economia”. C’è crisi? Non preoccupiamoci. Basta investire ancora più risorse nel comparto militare-industriale, e il gioco è fatto: “In conclusione, le conseguenze economiche negative attese dell’emergenza legata al COVID-19 rinforzano la necessità di orientare risorse economiche importanti verso un settore, come quello della Difesa, che fornisce ampie garanzie in termini di ricadute occupazionali ed indotto, oltre a rappresentare un fondamentale investimento per la sicurezza dei nostri concittadini”, recita ancora il documento.

 La “difesa” missilistica italiana ed i recenti sviluppi

Secondo le indiscrezioni rilasciate al mensile Rid dall’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, l’Italia si doterà di nuovi missili cruise dalla gittata di oltre 1000 Km per armare i sottomarini della classe U-212 e le fregate Fremm posizionate nel Mediterraneo. Si tratterebbe di una riorganizzazione delle nostre forze armate in chiave offensiva, che era già stata anticipata dall’annuncio sulla fornitura dei primi droni armati per l’Italia, esplicitato nel DPP 2021-23. Con un programma di spesa pari a 168 milioni di euro, il ministero della Difesa ha dato conferma per armare i droni classe Male Reaper italiani. Questi ultimi sono stati i primi velivoli ad essere utilizzati dall’aviazione militare statunitense nella guerra in Afghanistan che, stando ai report stilati da Airwars, dal 2001 ad oggi avrebbero provocato la morte di almeno 22.000 civili, con un margine fino a 48.000. Un fatto gravissimo, che pone seri interrogativi su quali realmente siano le intenzioni e gli obiettivi militari del nostro Paese. Secondo lo stesso Giuseppe Cavo Dragone, i nuovi sistemi di armi, oltre che a garantire un maggior peso strategico in questioni come quella dei giacimenti contesi con la Turchia a largo di Cipro, saranno “fondamentali per affrontare le nuove fortezze elettroniche realizzate soprattutto dai russi”, cioè aree protette da schermi radar e da batterie missilistiche anti-nave caratterizzate da una elevata potenza nucleare. L’Italia, dunque, si sta posizionando per uno scontro diretto con la Russia col benestare della NATO e, mentre a parole viene paventata una logica difensiva rispetto all’espansione di una ipotetica minaccia esterna, si continua a provocare Mosca con imponenti manovre militari ai suoi confini. Dal 22 settembre in effetti, nelle acque del Mar Nero e del mare d’Azov, si stanno tenendo le esercitazioni internazionali “Joint Efforts 2021" a cui prendono parte delegazioni di 15 paesi alleati del blocco NATO, tra cui non poteva mancare il nostro Paese. Vi partecipano ben 12.500 militari, 85 carri armati, 420 corazzati, 50 pezzi d’artiglieria, 20 navi da guerra e 30 elicotteri. Abbiamo dunque scelto di stare nella prima fila delle cannoniere euro-atlantiche contro il resto del mondo. Non si tratta di un’iniziativa del nostro Paese a difesa dei suoi interessi, ma del solito vecchio iter: seguire le orme guerrafondaie del padrone d’oltreoceano. Gli oltre 1000 km di proiezione del nostro potenziale offensivo ora consentono di alzare la posta in gioco, anche contro l’Iran. Fatti alla mano, l’eventualità di una guerra si fa sempre più vicina.

Tale decisione non è sicuramente frutto del caso, ma nasce da influenze e da documenti ben precisi, ideati e redatti da importanti centri di ricerca, think-tank, gruppi di interesse, che sempre influenzano le decisioni dei governi e dei principali attori pubblici, soprattutto occidentali. Uno di questi è lo IAI, l’Istituto Affari Internazionali fondato nel 1965 su iniziativa di Altiero Spinelli. Un documento rilasciato proprio dallo IAI il 5 aprile 2021, e dal titolo “Europe’s Missile Defence and Italy: Capabilities and Cooperation” (“La difesa missilistica europea e l’Italia: capacità e cooperazione”), è chiarificatore in tal senso. In questo documento viene esplicitato come, a causa del mutamento repentino dello scenario internazionale, l’Italia debba necessariamente dotarsi di un proprio arsenale missilistico in grado di stare al passo con i tempi. Inoltre, l’esposizione dell’Italia nel contesto geopolitico, militare e della guerra è massima: “La protezione del suolo nazionale per l’Italia è particolarmente difficoltosa, a causa della sua prossimità con il Nord Africa e con il Medio Oriente, considerando anche il fatto che Roma è gradualmente entrata nel raggio d’azione dei missili iraniani e che gli arsenali libici sono stati oggetto di contrabbando dopo il 2011. L’Italia è inoltre una delle poche nazioni europee che ospitano armi nucleari tattiche statunitensi, e questo rende automaticamente il Paese un possibile bersaglio di potenziali attacchi missilistici russi contro bombardieri americani a doppia capacità convenzionale e nucleare”.

Più in generale, nel documento vengono esplicitati dieci punti ai quali l’approccio italiano alla difesa dovrebbe ispirarsi: “In primo luogo, la Nato rimane la chiave di volta strategica ed operativa delle difesa missilistica dell’Europa (…) Il secondo punto concerne la cooperazione europea che, portata avanti principalmente ma non soltanto tramite le iniziative Ue, è diventata il principale canale per lo sviluppo efficace e sostenibile di robuste capacità di difesa missilistica”. Dunque, NATO e UE rimangono punti cardine della politica italiana, proprio come ribadito da Mario Draghi nei primi giorni del suo mandato presidenziale iniziato a febbraio di quest’anno. Il documento continua, evidenziando che, “in terzo luogo, al fine di affrontare le minacce missilistiche attuali e future, è necessario disporre di una serie di sensori in grado di trovare, identificare e tracciare i missili avversari”. Ci si sta dunque preparando a chiari ed inequivocabili scenari di guerra, in cui missili e testate ipersoniche, sicuramente termonucleari, sarebbero al centro di tali eventi. E ancora, il documento procede con l’elenco dei “punti chiave”, individuando la “dimensione spaziale della difesa missilistica” come fondamentale, ma anche mettendo l’Italia in guardia circa i recenti sviluppi delle armi ipersoniche. Ovviamente, “la continuità degli investimenti italiani è una priorità che influenza profondamente la posizione del Paese”; inoltre, occorre mettere in campo “un dialogo tempestivo, sistematico e costante tra le Forze Armate e l’industria, affinché possano lavorare insieme alla valutazione delle minacce, alla determinazione dei In requisiti, ai rischi e alle opportunità presentate dallo sviluppo di nuove capacità”. Gli ultimi due punti citati nel documento consistono nel fatto che, “quanto a difesa missilistica, le forze armate italiane necessitano di un salto di qualità in termini interforze”, e che, per l’Italia è fondamentale “sfruttare i vantaggi offerti dalla sua posizione geografica al fine di mitigarne gli svantaggi”. In generale, “soltanto adottando un approccio alla difesa missilistica più integrato, ad ampio spettro e a lungo termine, l’Italia potrà affrontare in modo efficace i dieci punti appena descritti. Tale approccio dovrà partire dal riconoscere la rilevanza della difesa missilistica per la sicurezza nazionale, la difesa collettiva della NATO e la cooperazione in ambito UE, nonché per le capacità industriali e tecnologiche del Paese”.

L’Italia si trova in prima linea in un possibile nuovo conflitto mondiale
In questo momento quindi, l’Italia si trova in prima linea nello scontro contro Russia e Cina. Ed è preoccupante quanto emerso anche da numerosi test e simulazioni i quali mostrano come il nostro Paese sarà probabilmente uno dei primi bersagli ad essere colpiti nell’eventualità di una guerra. Per questo motivo la corsa agli armamenti intrapresa dal governo Draghi sotto direttiva della Nato e quindi degli Stati Uniti d’America, provoca grande inquietudine per le sorti future di ognuno di noi.

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