sabato 14 novembre 2020

pc 14 novembre - LA QUESTIONE ILVA/ARCELOR E' LA QUESTIONE DELL'IMPORTANZA DELLA GRANDE INDUSTRIA, DELLA CLASSE OPERAIA - Dall'intervento di una compagna di Taranto al Convegno sull'Autunno caldo di un anno fa

Gli atti di questo importante Convegno sono pubblicati nella rivista, in uscita, La Nuova Bandiera, di cui da dicembre faremo presentazioni, in presenza o per via telematica.

Dall'intervento - La questione Ilva/ArcelorMittal da un lato è una questione teorica: il problema capitale-salute, quale sviluppo, ecc., dall'altro è un problema politico del rapporto Stato-governo e capitale; dall'altro ancora pone il problema della condizione della classe operaia, che cos'è oggi e, soprattutto, cosa oggi della grande esperienza dell'autunno caldo serve a noi.

La prima questione ha che fare col discorso dello sviluppo. Perchè oggi a Taranto c'è una lotta espressione di forti contraddizioni: c'è chi dice chiusura dell'Ilva e altri, in primis noi che invece diciamo che la fabbrica deve restare aperta, perchè una riconversione, un altro sviluppo produttivo senza mettere in discussione il capitale, il sistema del capitale, senza il ruolo della classe operaia, non può dare una risposta al problema della salute e sicurezza.
Chi parla di industrializzazione del turismo, industrializzazione della stessa cultura, ecc, dice

praticamente che è lo stesso capitale che può risolvere il problema della salute e sicurezza: invece che produzione d'acciaio che produce inquinamento, facciamo un'altra produzione, facciamo il turismo, ma sia sempre il capitale a farla... Quindi ci sarebbe un capitale cattivo e un capitale buono. 

Ma queste sono sciocchezze! Perche sappiamo bene, almeno noi, ma lo dovrebbe sapere anche chi ragiona con la testa, che l'industria turistica nelle mani del capitale distrugge anch'essa l'ambiente, inquina i mari, la stessa aria, distrugge territori.

Quando noi diciamo di prendere nelle nostre mani in maniera forte e chiara le analisi marxiste non è perchè “ci piacciono” ma perchè veramente senza non si capisce niente. La distruzione di una grande industria non è roba da poco. Chiudere una grande industria, cacciare migliaia di operai è oggettivamente un tentativo di distruggere la classe operaia perchè nella lotta di classe per l'emancipazione degli operai, l'abolizione dello sfruttamento, del lavoro salariato, la grande fabbrica non è sostituibile da altre realtà.
L'autunno caldo su questo ha toccato punti nevralgici, per questo ne parliamo e vogliamo trarre lezioni per l'oggi. Esso è stato l'"avvisaglia" di una rivoluzione perchè ha posto il problema di rovesciare il potere capitalista, il problema del potere operaio, ha invaso tutti i campi, anche quelli sovrastrutturali della società. L'Autunno caldo, quindi, non è solo un problema di “combattività”, di lotte dure.
Il capitale, senza la grande produzione, non potrebbe vivere; nella grande industria si forgiano, come diceva Marx, “i becchini del capitale", gli operai delle fabbriche che producono profitto per il capitale. La grande fabbrica esprime da un lato la forza del capitale, ma nello stesso tempo costruisce questi veri "becchini del capitale".

Io sono di Taranto, è dal 68 che vado ai cancelli della fabbrica siderurgica, e oggi vedere che questa classe operaia che negli anni 60/70 era di 30.000 lavoratori, più quelli dell'appalto, quella grande forza via via ridotta, fino nell'ultimo piano di Mittal che ne vuole cacciare circa 5.000, per lasciare al lavoro più sfruttato poco più di 3000 operai diretti, oltre l'appalto; aver visto questa classe operaia passare da 30.000 a 6.000 attuali, è un “assassinio” della potenzialità delle forze che possono combattere la battaglia di classe.
Da qui, se permettete,“l'elogio” della grande fabbrica. Essa è stata la base materiale nell'autunno caldo. Perchè lì si sviluppava la maggiore lotta, ed esperienze nuove, queste incidevano sull’avanzata dell’intero movimento.

Tornando all'Ilva. O si capisce che l'Ilva è una questione centrale oggi, nazionale, come ieri era la Fiat, o si capisce che se si vince all'Ilva vinciamo tutti, se si perde si perde tutti - e non perdono tutto solo gli operai ma anche i rivoluzionari, perchè qui si gioca una partita non solo sindacale ma politica - altrimenti non affrontiamo la vicenda da un punto di vista di classe.
Certo, oggi all'Ilva, a Melfi, ecc., pensare alle piattaforme e agli obiettivi dell'autunno caldo sembra velleitario, ma alcune cose avvenute nell'autunno caldo possono e devono essere lezioni per l'oggi. 

Nell'Autunno caldo il Cub (Comitato unitario di base) alla Pirelli era formato solo da 5/7 operai, tra cui operai comunisti maoisti, ma, pur pochi, erano riconosciuti dagli altri operai. Questa è una cosa che stiamo dicendo anche agli operai dell'Ilva che dicono "non si può fare più niente", "vorremmo, ma che cosa si può fare?" ecc. E noi gli diciamo: "guardate, che se comincia un reparto, se cominciamo a costruire un nucleo di operai più coscienti, indipendentemente se sono iscritti o meno a un sindacato, le cose cominciano a cambiare".

La frase più volte sentita e letta nell'autunno caldo: “Prendiamo nelle nostre mani la lotta” dice tanto. Quale sarebbe la risposta a un conflitto che sembra irrisolvibile tra lavoro e salute? Ce lo dice l'autunno caldo. Sono gli operai che prendono la lotta nelle loro mani - come fu nel 69/70 anche all'Italsider, con gli operai che uniscono i medici al loro fianco, che uniscono i tecnici, che costruiscono le loro piattaforme, con al centro obiettivi sulla sicurezza e salute, che le fanno passare nelle assemblee... Perchè questo non potrebbero esserci ora? Certo, allora c'erano i rivoluzionari nelle fabbriche, ora sono pochissimi in generale e ancora meno nelle fabbriche, ed è chiaro che questo pesa; però, perche mai non si potrebbe fare oggi? Questa è una lezione. Noi lo stiamo ripetendo sempre: che ti stai a lamentare? 

Nei processi agli operai denunciati per le lotte nel 69 andavano gli operai con le tute, a Taranto si sta celebrando il processo 'Ambiente svenduto', “madre di tutti i processi” di questo tipo, in cui sono sul banco degli imputati padroni, fiduciari dei padroni, rappresentanti istituzionali di Regione, Provincia, Comune, funzionari della Digos, la chiesa, ecc., mancano solo i dirigenti sindacali, ma purtroppo in questo processo gli operai non ci vanno, nessuno gli dice di andare.

Noi oggi non stiamo celebrando un “morto”: l'autunno caldo; né stiamo celebrando un “de profundis” di quella classe operaia per sostituirla con la logistica, i precari.
Io sono stata alle fabbriche di Milano. proprio alla Pirelli, all'Alfa, alla Siemens, alla Borletti, ecc. In una delle volte, in cui io ero andata col giornale e la bandiera, ad un certo punto arrivano dei sindacalisti a dirmi che dovevo andare via e dicono agli operai con cui stavo parlando ai cancelli della fabbrica di cacciarmi. Ma è successa una cosa emozionante, non solo gli operai si sono stretti attorno a me per difendermi da quei sindacalisti, ma poi tutto finisce con il canto dell'Internazionale.
Gli operai nel 69 invadevano la città e ottenevano riconoscimento, solidarietà.
All'Ilva/ArcelorMittal di Taranto c'è oggi invece chi dice che non bisogna bloccare la città. A Taranto c'è una situazione importante, dura: la prospettiva di altre migliaia di tagli ai posti di lavoro, dopo i 2600 operai non assunti da ArcelorMittal, attacchi pesantissimi alla salute, alla sicurezza, all'ambiente, ecc. Ma la piccola borghesia, gli ambientalisti, ma anche quegli operai dell'Ilva prima d'avanguardia che ormai sono fuori dalla fabbrica o a fare i consiglieri comunali o ad aprirsi pub, esercizi commerciali coi soldi dati dall'Ilva come incentivo a dimettersi, dicono agli operai "No, non dovete bloccare il ponte, la città, perchè la popolazione soffre già per l'inquinamento". Questo mette in difesa gli operai, li fa sentire in colpa. Invece nell'autunno caldo si è visto quanto è possibile e che quando sono gli operai a farlo non sono affatto isolati.
Questa è un’altra grande esperienza/lezione che dobbiamo portare e far vivere oggi.

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