Gli atti di questo importante Convegno sono pubblicati nella rivista, in uscita, La Nuova Bandiera, di cui da dicembre faremo presentazioni, in presenza o per via telematica.
Dall'intervento
- La questione Ilva/ArcelorMittal da un lato è una questione teorica:
il problema capitale-salute, quale sviluppo, ecc., dall'altro è un
problema politico del rapporto Stato-governo e capitale; dall'altro
ancora pone il problema della condizione della classe operaia, che cos'è
oggi e, soprattutto, cosa oggi della grande esperienza dell'autunno
caldo serve a noi.
La prima questione ha che fare col discorso
dello sviluppo. Perchè oggi a Taranto c'è una lotta espressione di forti
contraddizioni: c'è chi dice chiusura dell'Ilva e altri, in primis noi
che invece diciamo che la fabbrica deve restare aperta, perchè una
riconversione, un altro sviluppo produttivo senza mettere in discussione
il capitale, il sistema del capitale, senza il ruolo della classe
operaia, non può dare una risposta al problema della salute e sicurezza.
Chi
parla di industrializzazione del turismo, industrializzazione della
stessa cultura, ecc, dice
Ma queste sono sciocchezze!
Perche sappiamo bene, almeno noi, ma lo dovrebbe sapere anche chi
ragiona con la testa, che l'industria turistica nelle mani del capitale
distrugge anch'essa l'ambiente, inquina i mari, la stessa aria,
distrugge territori.
Quando noi diciamo di prendere nelle
nostre mani in maniera forte e chiara le analisi marxiste non è perchè
“ci piacciono” ma perchè veramente senza non si capisce niente. La
distruzione di una grande industria non è roba da poco. Chiudere una
grande industria, cacciare migliaia di operai è oggettivamente un
tentativo di distruggere la classe operaia perchè nella lotta di classe
per l'emancipazione degli operai, l'abolizione dello sfruttamento, del
lavoro salariato, la grande fabbrica non è sostituibile da altre realtà.
L'autunno
caldo su questo ha toccato punti nevralgici, per questo ne parliamo e
vogliamo trarre lezioni per l'oggi. Esso è stato l'"avvisaglia" di una
rivoluzione perchè ha posto il problema di rovesciare il potere
capitalista, il problema del potere operaio, ha invaso tutti i campi,
anche quelli sovrastrutturali della società. L'Autunno caldo, quindi,
non è solo un problema di “combattività”, di lotte dure.
Il capitale,
senza la grande produzione, non potrebbe vivere; nella grande industria
si forgiano, come diceva Marx, “i becchini del capitale", gli operai
delle fabbriche che producono profitto per il capitale. La grande
fabbrica esprime da un lato la forza del capitale, ma nello stesso tempo
costruisce questi veri "becchini del capitale".
Io sono di
Taranto, è dal 68 che vado ai cancelli della fabbrica siderurgica, e
oggi vedere che questa classe operaia che negli anni 60/70 era di 30.000
lavoratori, più quelli dell'appalto, quella grande forza via via
ridotta, fino nell'ultimo piano di Mittal che ne vuole cacciare circa
5.000, per lasciare al lavoro più sfruttato poco più di 3000 operai
diretti, oltre l'appalto; aver visto questa classe operaia passare da
30.000 a 6.000 attuali, è un “assassinio” della potenzialità delle forze che possono combattere la battaglia di classe.
Da
qui, se permettete,“l'elogio” della grande fabbrica. Essa è stata la
base materiale nell'autunno caldo. Perchè lì si sviluppava la maggiore
lotta, ed esperienze nuove, queste incidevano sull’avanzata dell’intero
movimento.
Tornando all'Ilva. O si capisce che l'Ilva è una
questione centrale oggi, nazionale, come ieri era la Fiat, o si capisce
che se si vince all'Ilva vinciamo tutti, se si perde si perde tutti - e
non perdono tutto solo gli operai ma anche i rivoluzionari, perchè qui
si gioca una partita non solo sindacale ma politica - altrimenti non
affrontiamo la vicenda da un punto di vista di classe.
Certo, oggi
all'Ilva, a Melfi, ecc., pensare alle piattaforme e agli obiettivi
dell'autunno caldo sembra velleitario, ma alcune cose avvenute
nell'autunno caldo possono e devono essere lezioni per l'oggi.
Nell'Autunno
caldo il Cub (Comitato unitario di base) alla Pirelli era formato solo
da 5/7 operai, tra cui operai comunisti maoisti, ma, pur pochi, erano
riconosciuti dagli altri operai. Questa è una cosa che stiamo dicendo
anche agli operai dell'Ilva che dicono "non si può fare più niente",
"vorremmo, ma che cosa si può fare?" ecc. E noi gli diciamo: "guardate,
che se comincia un reparto, se cominciamo a costruire un nucleo di
operai più coscienti, indipendentemente se sono iscritti o meno a un
sindacato, le cose cominciano a cambiare".
La frase più volte sentita e letta nell'autunno caldo: “Prendiamo nelle nostre mani la lotta” dice tanto. Quale
sarebbe la risposta a un conflitto che sembra irrisolvibile tra lavoro e
salute? Ce lo dice l'autunno caldo. Sono gli operai che prendono la
lotta nelle loro mani - come fu nel 69/70 anche all'Italsider, con gli
operai che uniscono i medici al loro fianco, che uniscono i tecnici, che
costruiscono le loro piattaforme, con al centro obiettivi sulla
sicurezza e salute, che le fanno passare nelle assemblee... Perchè
questo non potrebbero esserci ora? Certo, allora c'erano i rivoluzionari
nelle fabbriche, ora sono pochissimi in generale e ancora meno nelle
fabbriche, ed è chiaro che questo pesa; però, perche mai non si potrebbe
fare oggi? Questa è una lezione. Noi lo stiamo ripetendo sempre: che ti stai a lamentare?
Nei
processi agli operai denunciati per le lotte nel 69 andavano gli operai
con le tute, a Taranto si sta celebrando il processo 'Ambiente
svenduto', “madre di tutti i processi” di questo tipo, in cui sono sul
banco degli imputati padroni, fiduciari dei padroni, rappresentanti
istituzionali di Regione, Provincia, Comune, funzionari della Digos, la
chiesa, ecc., mancano solo i dirigenti sindacali, ma purtroppo in questo
processo gli operai non ci vanno, nessuno gli dice di andare.
Noi
oggi non stiamo celebrando un “morto”: l'autunno caldo; né stiamo
celebrando un “de profundis” di quella classe operaia per sostituirla
con la logistica, i precari.
Io sono stata alle fabbriche di Milano.
proprio alla Pirelli, all'Alfa, alla Siemens, alla Borletti, ecc. In
una delle volte, in cui io ero andata col giornale e la bandiera, ad un
certo punto arrivano dei sindacalisti a dirmi che dovevo andare via e
dicono agli operai con cui stavo parlando ai cancelli della fabbrica di
cacciarmi. Ma è successa una cosa emozionante, non solo gli operai si
sono stretti attorno a me per difendermi da quei sindacalisti, ma poi
tutto finisce con il canto dell'Internazionale.
Gli operai nel 69 invadevano la città e ottenevano riconoscimento, solidarietà.
All'Ilva/ArcelorMittal
di Taranto c'è oggi invece chi dice che non bisogna bloccare la città. A
Taranto c'è una situazione importante, dura: la prospettiva di altre
migliaia di tagli ai posti di lavoro, dopo i 2600 operai non assunti da
ArcelorMittal, attacchi pesantissimi alla salute, alla sicurezza,
all'ambiente, ecc. Ma la piccola borghesia, gli ambientalisti, ma
anche quegli operai dell'Ilva prima d'avanguardia che ormai sono fuori
dalla fabbrica o a fare i consiglieri comunali o ad aprirsi pub,
esercizi commerciali coi soldi dati dall'Ilva come incentivo a
dimettersi, dicono agli operai "No, non dovete bloccare il ponte, la
città, perchè la popolazione soffre già per l'inquinamento". Questo
mette in difesa gli operai, li fa sentire in colpa. Invece nell'autunno caldo si è visto quanto è possibile e che quando sono gli operai a farlo non sono affatto isolati.
Questa è un’altra grande esperienza/lezione che dobbiamo portare e far vivere oggi.
Nessun commento:
Posta un commento