L’argomento di questo 21° capitolo è la RIPRODUZIONE SEMPLICE.
Ogni società, dice Marx, per sopravvivere, e quindi per poter consumare, deve produrre, e produrre continuamente. Produzione e riproduzione sono dunque un processo unico. Ma per poter riprodurre è necessario che una parte della produzione annuale venga “destinata fin dal principio al consumo produttivo, essa esiste in gran parte in forme naturali che escludono di per sé il consumo individuale”.
Nel sistema capitalistico questa riproduzione si presenta come riproduzione del capitale, una somma di denaro che aumenta, si valorizza nella produzione grazie al plusvalore prodotto dall’operaio. Questo plusvalore che per il capitalista diventa il suo “guadagno, per dirla con Marx “assume la forma di un reddito che nasce dal capitale.”
Se il capitalista consumasse tutto questo reddito (il suo fondo di consumo) avremmo “eguali rimanendo le altre circostanze, la riproduzione semplice.” Ma, quel che si verifica in realtà è che “questa semplice ripetizione ossia questa continuità imprime al processo certi caratteri nuovi o, anzi, dissolve i caratteri apparenti che esso aveva come processo isolato.” Vediamo come, vediamo chi produce, che cosa produce e quando comincia questo processo. Vediamo tutto questo processo nel rapporto tra classe capitalista e classe operaia.
Come abbiamo visto nei primi capitoli “Il processo di produzione ha inizio con l’acquisto della forza- lavoro per un tempo determinato: e questo inizio si rinnova costantemente, appena viene a scadere il termine di vendita del lavoro, e con esso è trascorso un determinato periodo della produzione, settimana, mese, ecc. Ma l’operaio viene pagato soltanto dopo che la sua forza-lavoro ha operato e ha realizzato in merci tanto il proprio valore che il plusvalore. Quindi l’operaio ha prodotto tanto il plusvalore, che momentaneamente consideriamo solo come fondo di consumo del capitalista, quanto il fondo del proprio pagamento, cioè il capitale variabile, prima che questo gli riaffluisca in forma di salario; ed egli viene occupato soltanto finché lo riproduce costantemente.” Quindi, quello che l’operaio riceve sotto forma di salario “È una parte del prodotto costantemente riprodotto dall’operaio stesso, che gli ritorna costantemente in forma di salario. Certo, il capitalista gli paga in denaro il valore in merci. Ma questo denaro” dice Marx, è soltanto la forma trasmutata del prodotto del lavoro o, piuttosto, di una parte del prodotto del lavoro.” Perché Mentre l’operaio lavora e trasforma in prodotto una parte dei mezzi di produzione, “una parte della sua precedente produzione si riconverte in denaro”. Quindi “È col suo lavoro” sottolinea Marx “della settimana precedente o del l’ultimo semestre che gli viene pagato il suo lavoro di oggi o del semestre successivo.”
“L’illusione generata dalla forma di denaro scompare subito” se si considerano le classi nel loro complesso, cioè la classe capitalista e la classe operaia. Che cosa fa la classe capitalista? “La classe capitalista dà costantemente alla classe operaia, in forma di denaro, assegni su una parte dei prodotti che questa ha prodotto e che la classe capitalista si è appropriata.” E cosa fa la classe operaia con questo denaro? Restituisce anch’essa costantemente quegli assegni alla classe capitalista sottraendole così la parte del proprio prodotto che le spetta. In questa specie di “scambio” la classe operaia viene di fatto pagata con gli stessi soldi che le sono stati rubati, ma, dice Marx, “La forma di merce del prodotto e la forma di denaro della merce travestono la transazione.”
“Dunque il capitale variabile” cioè il salario dell’operaio, “è soltanto una forma fenomenica storica particolare nella quale si presenta il fondo dei mezzi di sussistenza ossia il fondo di lavoro del quale l’operaio abbisogna per il proprio mantenimento e la propria riproduzione, e che egli deve sempre produrre e riprodurre da sé in tutti i sistemi della produzione sociale.”
Per un ulteriore chiarimento Marx fa un esempio: “Prendiamo un contadino soggetto a servitù feudali: egli lavora coi propri mezzi di produzione sul proprio campo per esempio per 3 giorni alla settimana; negli altri 3 giorni della settimana compie il lavoro cui è soggetto nelle terre del signore. Egli riproduce costantemente il proprio fondo di lavoro, il quale nei suoi confronti non riceve mai la forma di mezzi di pagamento anticipati a compenso del suo lavoro da una terza persona. In cambio però il suo lavoro coatto non retribuito non riceve mai la forma di lavoro volontario e retribuito. Se domani il signore si appropria il campo, il bestiame da tiro, le sementi, in breve i mezzi di produzione del contadino, a costui non rimane d’ora in poi che vendere al signore la propria forza-lavoro. Eguali rimanendo le altre circostanze, egli lavorerà 6 giorni alla settimana, come prima, 3 per sé, 3 per quello che era il padrone feudale, ed ora è trasformato in padrone che gli paga un salario; continuerà a consumare come prima i mezzi di produzione come mezzi di produzione, e a trasferire nel prodotto il loro valore; una certa parte del prodotto passerà come prima nella riproduzione. Ma, come il lavoro servile assume la forma del lavoro salariato, così il fondo di lavoro che il contadino soggetto a prestazioni continua a produrre e riprodurre assume la forma di un capitale anticipatogli da quello che era il suo signore feudale.”
Questo fondo del capitalista anticipato come capitale variabile, continua Marx, una volta innescato il meccanismo della produzione, perde di significato se si considera il processo nel suo costante fluire. Un processo però che “deve pur cominciare a un certo momento e in qualche punto.” E qui Marx fa una ipotesi dal punto di vista della riproduzione semplice come è stata trattata fino a questo punto e che verrà approfondita in seguito: “Quindi dal punto di vista che abbiamo tenuto finora è verosimile che il capitalista, una qualche volta, sia diventato possessore di denaro mediante una qualche accumulazione originaria non dipendente da lavoro altrui non retribuito, e che quindi abbia potuto entrare nel mercato come acquirente di forza-lavoro.” (Cos’è questa “accumulazione originaria” lo vedremo in uno dei prossimi capitoli). Ma già “la semplice continuità del processo di produzione capitalistico ossia la riproduzione semplice opera anche altre strane variazioni che non agiscono soltanto sulla parte variabile del capitale, ma anche sul capitale complessivo.”
L’esempio che segue spiega bene quanto può “durare” un capitale. Dice Marx: “Se il plusvalore generato periodicamente, per esempio annualmente, con un capitale di mille sterline ammonta a duecento sterline, e se questo plusvalore viene consumato di anno in anno” è chiaro che dopo una ripetizione di cinque anni dello stesso processo “la somma del plusvalore consumato è eguale a duecento per cinque, cioè è eguale al valore capitale di mille sterline originariamente anticipato. Se il plusvalore annuo venisse consumato solo parzialmente, per esempio solo per metà, lo stesso risultato si avrebbe dopo una ripetizione decennale del processo di produzione, poiché cento per dieci è uguale a mille.” Quindi: “In generale: il valore capitale che viene anticipato, diviso per il plusvalore annualmente consumato, dà il numero degli anni ossia il numero dei periodi di riproduzione, trascorsi i quali il capitale originariamente anticipato è stato consumato dal capitalista e quindi è scomparso.” Ma il capitalista si “immagina” qualcosa di diverso!
“Che il capitalista s’immagini di consumare il prodotto del lavoro altrui non retribuito, il plusvalore, e di conservare il valore capitale originario, non può cambiar nulla a questo stato di fatto.” Dice Marx, perché: “Decorso un certo numero d’anni, il valore capitale del quale egli è proprietario, è eguale al totale del plusvalore che egli si è appropriato senza equivalente durante lo stesso numero d’anni, e la somma di valore da lui consumata è eguale al valore capitale originario. Certo, egli conserva un capitale la cui grandezza non si è cambiata, una parte del quale, edifici, macchine, ecc. esisteva già quando egli mise in moto la sua impresa. Ma qui si tratta del valore del capitale e non delle sue parti costitutive materiali. Se qualcuno consuma tutto quel che possiede facendo debiti che ammontano a una somma eguale al valore di quel che possiede, tutto il suo possesso rappresenta per l’appunto solo la somma totale dei suoi debiti. E così pure, se il capitalista ha consumato l’equivalente del suo capitale anticipato, il valore di questo capitale rappresenta ormai soltanto la somma totale del plusvalore che egli si è appropriato senza alcuna spesa. Non continua più ad esistere neppure un atomo del valore del suo vecchio capitale.”
Ci si ricorderà, per fare alcuni esempi, che anche alcuni antichi nobili decaduti erano ancora proprietari del castello e delle terre, solo che avevano fatto tanti debiti che superavano il valore stesse delle proprietà, e quindi nella sostanza non avevano più niente, erano proprietari solo del “titolo”, per cui trovavano conveniente sposarsi con membri della borghesia ricca pieni di soldi freschi. E ancora, l’attenzione verso i debiti di un’azienda è una pratica normale di chi, nel mondo capitalistico, deve valutarne la “salute”, deve fare il “rating” come si dice oggi.
E qui torniamo al “punto di partenza”: chi produce cosa? A chi “appartiene” la produzione?
Abbiamo visto già “che per trasformare denaro in capitale non bastava che ci fossero la produzione e la circolazione delle merci.” Bisognava trovare sul mercato una merce particolare e cioè l’operaio che vende la sua forza-lavoro. “Dunque il fondamento realmente dato, il punto di partenza del processo di produzione capitalistico è stato il distacco fra il prodotto del lavoro e il lavoro stesso, fra le condizioni oggettive del lavoro e la forza lavorativa soggettiva.” Cioè la separazione dello strumento del lavoro dal suo proprietario, l’operaio.
Nel processo della produzione questo fenomeno si ripete costantemente, da una parte si riproduce il capitale, cioè la ricchezza del capitalista, e “Dall’altra parte l’operaio esce costantemente dal processo come vi era entrato: fonte personale di ricchezza, ma spoglio di tutti i mezzi per realizzare per sé questa ricchezza. … Quindi l’operaio stesso produce costantemente la ricchezza oggettiva in forma di capitale, potenza a lui estranea, che lo domina e lo sfrutta, e il capitalista produce con altrettanta costanza … l’operaio come operaio salariato.” Perciò, dice Marx: “Questa costante riproduzione ossia perpetuazione dell’operaio è il sine qua non della produzione capitalistica.” E nessuna “riforma” può cambiare questo stato di cose!
L’operaio è condannato a produrre e a consumare, dunque, e Marx ci spiega di che tipo è questo consumo e cosa ne pensa il capitalista: “Il consumo dell’operaio è di duplice specie. Nella produzione, l’operaio consuma col suo lavoro mezzi di produzione e li trasforma in prodotti di un valore superiore a quello del capitale anticipato. Questo è il consumo produttivo dell’operaio, che è insieme consumo della sua forza-lavoro da parte del capitalista che l’ha comprata. Dall’altra parte l’operaio trasforma in mezzi di sussistenza il denaro pagatogli per l’acquisto della sua forza-lavoro: questo è il suo consumo individuale.” Da questo punto di vista “Dunque il consumo produttivo e il consumo individuale dell’operaio sono totalmente differenti. Nel primo egli agisce come forza motrice del capitale e appartiene al capitalista; nel secondo appartiene a se stesso e compie funzioni vitali estranee al processo di produzione.”
“Il risultato del primo è la vita del capitalista, il risultato del secondo è la vita dell’operaio stesso.”
Ma per il modo in cui l’operaio è costretto a produrre, il suo “consumo individuale” il suo modo di nutrirsi assomiglia a quello della macchina cui si dà “acqua e carbone, come alla ruota si dà l’olio. E allora i mezzi di consumo dell’operaio sono puri e semplici mezzi di consumo di un mezzo di produzione e di consumo individuale dell’operaio e consumo direttamente produttivo. Eppure questo fatto appare come un abuso, non essenziale per il processo di produzione capitalistico.”
Ancora una volta allora per comprendere meglio bisogna mettere a confronto le due parti come classi: “la classe capitalista e la classe operaia.” Dunque “il consumo individuale della classe operaia è riconversione dei mezzi di sussistenza … in forza-lavoro di nuovo sfruttabile dal capitale. Esso è produzione e riproduzione del mezzo di produzione più indispensabile per il capitalista, cioè dell’operaio stesso. Il consumo individuale dell’operaio continua dunque ad essere sempre un momento della produzione e della riproduzione del capitale, tanto che avvenga dentro o fuori dell’officina, fabbrica, ecc., dentro o fuori del processo lavorativo, proprio come la pulizia della macchina, tanto che avvenga durante il processo lavorativo o durante determinate pause di questo.”
E non cambia la sostanza di ciò, dice Marx, per il fatto che “l’operaio compia il proprio consumo individuale per amore di se stesso e non per amore del capitalista. Neppure il consumo delle bestie da soma cessa di essere un momento del processo di produzione per il fatto che il bestiame stesso gusta quello che mangia.”
Ma per il capitalista, afferma Marx, e per “il suo ideologo, l’economista politico,” è produttivo solo quel che l’operaio fa “per la perpetuazione della classe operaia, cioè quella parte che di fatto deve essere consumata affinché il capitale possa consumare la forza-lavoro; ma quel che l’operaio può aver voglia di consumare in più per proprio piacere, è consumo improduttivo.” E considera quindi consumo improduttivo un capitale addizionale, se questo non “consuma” più forza-lavoro.” E Marx qui aggiunge il punto di vista della classe operaia, di fatto, dice “il consumo individuale dell’operaio è improduttivo per l’operaio stesso, perché riproduce soltanto l’individuo pieno di bisogni; è produttivo per il capitalista e per lo Stato, perché è produzione di quella forza che produce la ricchezza degli altri.”
“Dunque dal punto di vista sociale la classe operaia, anche al di fuori dell’immediato processo lavorativo, è un accessorio del capitale quanto il morto strumento di lavoro.” E il capitalista fa sì che questi “strumenti”, soprattutto quando sono molto abili, non scappino. Il tentativo dei nostri tempi di evitare la “fuga dei cervelli” è uno di questi fenomeni, come per esempio la lamentela continua dei capitalisti che non riescono a trovare “figure” adatte alla produzione moderna sul “mercato del lavoro”!
“Lo schiavo romano era legato da catene al suo proprietario, il salariato è legato al suo da fila invisibili.” Dice Marx, “L’apparenza della sua autonomia viene mantenuta dal costante variare del padrone individuale e dalla fictio juris [finzione giuridica] del contratto.”
In passato, dice Marx, il capitale ha fatto ricorso anche a delle leggi per tenere legati a sé gli operai, soprattutto quelli considerati più abili, impendendo per esempio l’emigrazione! Su questo punto le implicazioni sono tantissime e importantissime anche oggi!
Marx riporta l’esempio di un “manifesto dei fabbricanti” del 1863 che rivendica esplicitamente tutto questo. La cosa risultò così sfacciata che anche il quotidiano Times di allora rispose criticando tra l’altro che questi fabbricanti consideravano “due specie di «macchinario», ognuna delle quali appartiene al capitalista; una che sta nella sua fabbrica, l’altra che abita la notte e la domenica fuori della fabbrica... Una è morta, l’altra è vivente. Il macchinario morto non solo peggiora e si svaluta ogni giorno, ma una gran parte della sua massa, così com’è, invecchia tanto, continuamente, per il continuo progresso tecnico, da render vantaggioso sostituirla anche in pochi mesi con macchinario nuovo. Il macchinario vivente, invece, più invecchia, più migliora, cioè più accumula in sé l’abilità di generazioni.” E sul “divieto di emigrazione” accusava il manifesto di voler “confinare mezzo milione della classe operaia contro la sua volontà in una grande w o r k h o u s e morale.” E ancora, non è “possibile tenere in ordine il macchinario umano, cioè rinchiuderlo e tenerlo oliato fino al momento del bisogno. Il macchinario umano, oliatelo pure e strofinatelo come volete, arrugginisce lo stesso nell’inazione.” Non ci ricorda i nostri operai in cassa integrazione, tutto questo? E la cosa più importante: “Inoltre, il macchinario umano, come abbiamo visto proprio ora con i nostri occhi, è capace di far entrar sotto pressione il vapore per conto proprio e di scoppiare o di fare il ballo di San Vito nelle nostre grandi città.” Non si può tenere chiuso “mezzo milione di operai assieme alle 700.000 persone che ne dipendono; e, come conseguenza necessaria, deve naturalmente ritenere che la nazione debba reprimere con la forza il loro malcontento e mantenerli con l’elemosina: e tutto questo per la possibilità che i padroni cotonieri possano aver ancora bisogno di loro un giorno o l’altro... È giunta l’ora in cui la grande opinione pubblica di queste isole deve far qualcosa per salvare “questa forza-lavoro” da coloro che la tratterebbero come trattano carbone, ferro e cotone.”
Purtroppo, dice Marx, “La « grande opinione pubblica» era infatti dell’opinione del signor Potter, che gli operai delle fabbriche sono accessori mobili delle fabbriche. La loro emigrazione fu impedita. Essi furono chiusi nella «workhouse morale» dei distretti cotonieri, e continuano ancora a costituire «la forza (the strength) dei padroni dell’industria del cotone del Lancashire ».
Chiudiamo il capitolo così come ne riassume il contenuto lo stesso Marx: “Dunque il processo di produzione capitalistico riproduce col suo stesso andamento la separazione fra forza-lavoro e condizioni di lavoro. E così riproduce e perpetua le condizioni per lo sfruttamento dell’operaio. Esso costringe costantemente l’operaio a vendere la sua forza-lavoro, per vivere, e costantemente mette il capitalista in grado di acquistarla, per arricchirsi. Non è più il caso che pone capitalista e operaio l’uno di fronte all’altro sul mercato delle merci come compratore e venditore. È il doppio mulinello del processo stesso che torna sempre a gettare l’operaio sul mercato delle merci come venditore della propria forza-lavoro e a trasformare il suo prodotto in mezzo d’acquisto del capitalista. In realtà, l’operaio appartiene al capitale anche prima di essersi venduto al capitalista. La sua servitù economica è mediata e insieme dissimulata dal rinnovamento periodico della sua vendita di se stesso, dal variare del suo padrone salariale individuale e dall’oscillazione nel prezzo di mercato del lavoro.”
“Il processo di produzione capitalistico, considerato nel suo nesso complessivo, cioè considerato come processo di riproduzione, non produce dunque solo merce, non produce dunque solo plusvalore, ma produce e riproduce il rapporto capitalistico stesso: da una parte il capitalista, dall’altra l’operaio salariato.”
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