Nell'articolo si analizza il dato tecnico, i tentativi di garantire, come la legge stessa prevede, nelle strutture pubbliche l'interruzione volontaria della gravidanza. Manca l'aspetto del ruolo e delle conseguenze dell'obiezione di coscienza, come spada di Damocle che incombe sulla vita delle donne, ad ammonire, a mettere in discussione la libertà di scelta delle donne e che, sempre, allude a mettere in discussione la libertà di scelta delle donne in ogni ambito della loro esistenza.
Questo elemento le compagne del mfpr di Milano l'hanno fortemente posto nelle mobilitazioni del 1° febbraio - in concomitanza e solidarietà e sostegno alla lotta delle donne spagnole contro il disegno di legge Gallardon che intende criminalizzare le donne che abortiscono e riportare indietro la condizione delle donne in Spagna - ma sopratutto il 12 aprile contrastando la macabra marcia dei 'NO 194'.
Nell'opuscolo S/catenate! abbiamo scritto: "...Per le donne ogni attacco alle condizioni di lavoro e di vita significa più oppressione, più subordinazione, più attacchi ideologici, più legittimazione di un clima generale da moderno medioevo - vera fonte delle violenze sessuali; ogni attacco aumenta la condizione di oppressione familiare, in una famiglia che diventa sempre più sia il più grande "ammortizzatore sociale" per il sistema capitalista soprattutto nella fase di crisi, ma anche strumento di controllo, normatività. Ogni peggioramento della condizione delle donne, quindi, non è solo materiale ma anche ideologico, mira a riaffermare costantemente la posizione di "debolezza" e subalternità delle donne in questa società capitalista...”.
Per questo nella piattaforma dello storico sciopero delle donne del 25 novembre abbiamo posto la necessità, tra l'altro, di un miglioramento della 194 con l'abolizione, in essa, dell'obiezione di coscienza. In distinzione e contro chi parla di "piena applicazione della 194".
Mfpr- Milano
(Da Repubblica) - Milano, è emergenza aborti: Niguarda deve chiedere aiuto ai colleghi del Sacco
I medici non obiettori sono rimasti soltanto in due. Collaborazione necessaria per evitare lunghe attese. Il dg Trivelli: "Il progetto sta andando in porto, così riusciremo a garantire l’applicazione della 194"
di
LAURA ASNAGHI
...È la prima vota che succede a Milano. I medici non obiettori scarseggiano e così Marco Trivelli, il direttore generale del Niguarda, ha deciso di fare appello ai colleghi. «Il progetto sta andando in porto — spiega Trivelli — e grazie alla collaborazione tra i due enti, riusciamo a garantire la corretta applicazione della 194».26 aprile 2014
Nell’ultimo anno al Niguarda la situazione si era fatta
molto critica per le donne che chiedevano di abortire. «Ci siamo
ridotti ad accettare una media di venti richieste alla settimana e
non di più — spiega Maurizio Bini, medico non obiettore del
Niguarda, sempre in prima linea in difesa dei diritti delle donne —
quando si è in pochi, far fronte a tutte le richieste è davvero
difficile». E visto che, nonostante l’aiuto di un medico
'gettonista' (il cui contratto è in scadenza) molte finivano in
lista d’attesa per l’aborto con interventi che venivano fatti a
ridosso della scadenza della dodicesima settimana (il tetto imposto
dalla legge), i medici hanno lanciato l’allarme e sollecitato i
vertici a prendere provvedimenti.
Niguarda è l’ospedale che più soffre per la carenza di medici non obiettori: sono due su 16, che garantiscono 780 interruzioni l’anno. Negli altri enti le cose vanno meglio. In Mangiagalli ci sono 20 medici su 60, che garantiscono 1.300 interventi l’anno. Al Fatebenefratelli, a cui fa capo anche la Macedonio Melloni, i medici non obiettori sono otto su 26, ed eseguono 1.200 aborti l’anno. Al Sacco, l’ospedale che darà una mano al Niguarda, il rapporto è sei medici non obiettori su 12 (con 420 interruzioni di gravidanza). Al Buzzi cinque camici bianchi su 20 fanno aborti (1.000 all’anno), al San Paolo, otto su 18 sono pro 194 e garantiscono 400 interventi, mentre al San Carlo sette medici su 13 sono abortisti, con circa 700 interruzioni l’anno.
A Milano, rispetto al resto della Lombardia, la legge sull’interruzione della gravidanza è abbastanza tutelata. Fuori dal capoluogo lombardo, gli obiettori sfiorano percentuali del 76 per cento, come è stato denunciato di recente da Sara Valmaggi, consigliera del Pd e vicepresidente del Consiglio regionale. Ma il caso Niguarda dimostra che qualche crepa si sta aprendo anche a Milano. «Certo la collaborazione non si nega mai — spiega Irene Cetin, il primario di ginecologia del Sacco — i medici che accetteranno di andare a fare interruzioni di gravidanza al Niguarda lo faranno su base volontaria e fuori dall’orario di servizio. Altrimenti si rischia di impoverire il nostro servizio». E Mario Meroni, il primario della ginecologia ostetricia del Niguarda, spiega: «Con due medici non obiettori e un 'gettonista' è complicato applicare la 194 e coprire ferie, malattie e i turni notturni in corsia. La convenzione con il Sacco è un’ancora di salvezza...».
Niguarda è l’ospedale che più soffre per la carenza di medici non obiettori: sono due su 16, che garantiscono 780 interruzioni l’anno. Negli altri enti le cose vanno meglio. In Mangiagalli ci sono 20 medici su 60, che garantiscono 1.300 interventi l’anno. Al Fatebenefratelli, a cui fa capo anche la Macedonio Melloni, i medici non obiettori sono otto su 26, ed eseguono 1.200 aborti l’anno. Al Sacco, l’ospedale che darà una mano al Niguarda, il rapporto è sei medici non obiettori su 12 (con 420 interruzioni di gravidanza). Al Buzzi cinque camici bianchi su 20 fanno aborti (1.000 all’anno), al San Paolo, otto su 18 sono pro 194 e garantiscono 400 interventi, mentre al San Carlo sette medici su 13 sono abortisti, con circa 700 interruzioni l’anno.
A Milano, rispetto al resto della Lombardia, la legge sull’interruzione della gravidanza è abbastanza tutelata. Fuori dal capoluogo lombardo, gli obiettori sfiorano percentuali del 76 per cento, come è stato denunciato di recente da Sara Valmaggi, consigliera del Pd e vicepresidente del Consiglio regionale. Ma il caso Niguarda dimostra che qualche crepa si sta aprendo anche a Milano. «Certo la collaborazione non si nega mai — spiega Irene Cetin, il primario di ginecologia del Sacco — i medici che accetteranno di andare a fare interruzioni di gravidanza al Niguarda lo faranno su base volontaria e fuori dall’orario di servizio. Altrimenti si rischia di impoverire il nostro servizio». E Mario Meroni, il primario della ginecologia ostetricia del Niguarda, spiega: «Con due medici non obiettori e un 'gettonista' è complicato applicare la 194 e coprire ferie, malattie e i turni notturni in corsia. La convenzione con il Sacco è un’ancora di salvezza...».
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