sabato 26 aprile 2014

pc 26 aprile - TORINO: A NOI PIACE IL "ROSPO" DELLE CITTA' FABBRICA

Giorni fa nelle pagine di "inchiesta" de Il Manifesto è uscito un paginone su Torino, con vari articoli sulla trasformazione della città negli ultimi 20 anni: da "'rospo' della città fabbrica a 'principe' dell'innovazione".
Si tratta di articoli utili - di cui riportiamo larghi stralci - che dimostrano (indipendentemente anche dalla volontà degli autori) come nel dominio del capitale, con istituzioni agenti inevitabilmente da "comitati di affari" della classe borghese dominante, non ci sono innovazioni, economie alternative secondo i bisogni delle masse popolari, che tengano. Ogni trasformazione delle "brutte e inumane città industriali" che "sconvolgono" tanto la piccola e media borghesia, lasciano il posto a città peggiori, dove sempre e inevitabilmente in questo sistema l'unico criterio è il profitto, gli utili per la classe borghese, presi, in questi casi, da operazioni neanche produttive ma di pura speculazione, di affarismo a mani basse, di sfruttamento fondiario, ecc. Città in cui viene strappata l'"anima". Ma soprattutto fatti "scomparire" i proletari, gli operai, le masse popolari, gli immigrati - considerati fuori e "fastidiosi", parte della "città da cambiare", "alieni" all'immagine "innovativa", e spesso frivola delle nuove città. 
Città in cui ai giovani si danno realtà virtuali, quartieri e centri della città escludenti anche ai giovani dei ceti popolari e impoveriti, falsi per i ragazzi e ragazze della piccola borghesia. 
Quanto succede a Torino, come in altre città, vedi anche Milano, mostra come il capitale tutto ciò che tocca fa diventare sporco, brutale; lì dove riesce a mettere le sue luride e rapaci mani, porta, contro i bisogni dei proletari e delle masse popolari, un moderno imbarbarimento, una violenza strutturale accompagnata da una violenza culturale, ideologica per far passare quel cambiamento come buono e desiderabile. 
Al posto delle "brutte" fabbriche, dei quartieri industriali - che fanno tanto orrore ai 'liberi e pensanti' - vi sono zone e quartieri luccicanti da fuori ma neri e vuoti dentro, in cui i lavoratori, le masse popolari, i ragazzi e le ragazze proletarie quasi devono fare un ticket per entrarvi; al posto di quelle fabbriche e quartieri vivi di lotta di classe, il capitale ci mette la "morte" del "divertificio".  
Compagne di strada di tutto questo e che si pongono a fastidioso ostacolo della lotta necessaria contro questo "cambiamento", sono sia le posizioni di chi guarda nostalgicamente al passato, addirittura preindustriale, come periodo "umano" e vorrebbe tanto rinnovarlo (vedi alcune espressioni in voga a Taranto sul problema Ilva - posizioni che sono portatrici anche di una visione totalmente falsata della realtà, perchè quando non c'erano le fabbriche c'era la miseria più nera e niente affatto bella); sia le posizioni che guardano a città "alternative", basate su un economia ecosostenibile, su "innovative produzioni industriali" ("innovative" ma sempre "vecchie" per il capitale nella difesa dei suoi profitti nella crisi: della serie: cambiare per non cambiare la sostanza di fondo), sul turismo, il culturificio, ecc. 
Queste due posizioni, espressione della media e anche piccola borghesia, spesso si intrecciano e sono entrambe, o romanticamente o spudoratamente, reazionarie, e soprattutto profondamente, e spesso anche umoralmente, antioperaie, antiproletarie.

Ma il capitale non fa sconti! Non ci sono "cambiamenti" che non siano decisi e al servizio del profitto del capitale!
L'unico cambiamento è la rivoluzione contro il sistema del capitale, per rovesciarlo, per poter fare sì le trasformazioni, ma al servizio dei bi/sogni veri delle masse. 

(da Il Manifesto)
Torino a motore spento - "...Torino ha cercato di trasformarsi da “rospo” della città fabbrica a “principe” dell'innovazione... Le classi dirigenti e le maggioranze di centrosinistra... hanno tentato di sostituire il motore industriale con nuove attività. Di qui l'utilizzo a piene mani della rendita urbana, considerata al pari di un giacimento naturale, nel tempo accumulato dalle proprietà dei vuoti (valutati in nove milioni di metri quadrati), aperti dalle fabbriche disattivate, ubicate a ridosso degli scali e dei tracciati ferroviari, che solcano da nord a sud settori centrali della città. E' parso altresì decisivo potenziare la tradizionale cultura politecnica, la ricerca scientifica torinese, a favore di “innovative” produzioni industriali, senza dimenticare il turismo e le attività del tempo libero, offrendo, nel cuore della città, spazi per il divertimento, per l'incontro anche chiassoso...
Le scelte, gelate dall'attuale crisi economica, nell'insieme non hanno conseguito gli obiettivi attesi di rilancio occupazionale...
Incentrate sul riciclo delle aree già industriali e sull'incremento di densità di tutte le aree trasformabili, il piano è costruito per offrire agli investitori (il marketing urbano) in primo luogo la possibilità dello sfruttamento fondiario; questo non per soddisfare le esigenze di spazio... quanto per favorire operazioni immobiliari, cui non di rado tende a partecipare anche il Comune... Fiore all'occhiello del piano è l'insieme delle aree (la Spina Centrale), dell'estensione di circa 3 milioni di metri quadrati già occupati da industrie (tra cui Fiat, Michelin, Savigliano)... Nella Spina il piano prevedeva di insediare ventitremila abitanti e trentaduemila addetti al terziario, sostituiti in sede di attuazione, da abitanti per circa due terzi, a causa della carenza in Torino di attività di servizio. A parte la scelta contraddittoria di concentrare quelle quantità nel luogo più congestionato, il centro, la violenza maggiore inferta alla città dalla Spina è data dal fatto che quel disegno, reclamizzato e ingannevole (illustrava una città immersa nel verde...) è totalmente avulso dalle condizioni esistenti nel territorio limitrofo... il piano ha demolito ormai e prevede di demolire ulteriormente le fabbriche... molte delle quali prestigiose e di grandi dimensioni. Quasi la cultura torinese dominante, servendosi delle nuove architetture, per altro di forme spesso assai discutibili, volesse dimenticare e far dimenticare la tradizione industriale della città... Così Torino prosegue nella politica di concentrazione sul proprio territorio degli investimenti in infrastrutture e dello sfruttamento immobiliare...
San Salvario: il quartiere multietnico è diventato chic - "...Per una sorta di “dialettica della riqualificazione”, San Salvario ha conosciuto negli anni più recenti la sua gentrificazione. Case che si rivalutano, prezzi che aumentano, capitali che affluiscono... e la speculazione c'è e si vede: hanno chiuso moltissimi negozi per fare posto a pizzerie e ristoranti per ogni portafoglio. Difficilmente gli immigrati poveri potranno restare ancora a lungo: il vecchio quartiere “pericoloso” e alternativo è diventato di moda. E ora, a turbare – letteralmente - i sonni degli abitanti, italiani emigranti, ci sono la movida e il traffico serale e notturno fuori controllo. Il problema di convivenza, ora, ha caratteri e protagonisti nuovi”.  
Torino Il ventennio di cambiamento senza metamorfosi - "...Una rozza classificazione tripartita contrappone le città «che ce l’hanno fatta» a quelle che hanno imboccato un cammino di stagnazione e di declino, incapaci di ridefinire la propria vocazione produttiva e i propri assetti urbani... due sono le tendenze generali che sembrano emergere dalla trasformazione in corso. La prima è la crescente disuguaglianza tra i vincitori e i vinti della «modernizzazione urbana»: da una parte le città che hanno compiuto con successo la transizione trasformandosi in poli della ricerca e dell’innovazione, capaci di attirare capitali, talenti, opportunità, servizi di eccellenza, alti salari; dall’altra, le città che sono rimaste al palo, depauperate di centri produttivi, di capitale umano, di opportunità di invertire la tendenza e risalire la china. Alla disuguaglianza tra le città è andata accompagnandosi una crescente disuguaglianza nelle città, fatta di polarizzazione sociale e territoriale, tra zone gentrificate, ricche di servizi, vocate al buon vivere e al loisir, e zone lasciate alla marginalità e al degrado...
Torino, dal ciclo ventennale la città è uscita strutturalmente più debole di come vi era entrata, depauperata di quegli anticorpi economici, sociali, e anche politici, che avrebbero potuto contrastarne la decadenza.
Sin dall’inizio di questa fase, il gruppo dirigente locale individua nelle politiche di crescita competitiva (nella forma di politiche dell’offerta) la via obbligata per superare il modello di sviluppo industrialista, centrato sull’automotive e sulla produzione manifatturiera di serie... In questa chiave, il compito del potere pubblico è di creare, attraverso incentivi e infrastrutture, «un buon clima per gli affari», in modo da mantenere e attirare nuove imprese, risorse finanziarie e capitale umano sul territorio. Questo obiettivo strategico viene perseguito attraverso tre cluster di politiche pubbliche: politiche rivolte a promuovere la rigenerazione urbanistica della città sulle linee del nuovo piano regolatore; politiche indirizzate a favorire e promuovere l’innovazione tecnologica e la differenziazione dell’apparato produttivo locale, potenziando gli aspetti (le nuove tecnologie dell’informazione) e le strutture (l’Università, il Politecnico, i centri di ricerca) legati all’economia della conoscenza; politiche, rivolte a sviluppare il settore dell’intrattenimento (complessivamente e spesso disinvoltamente rubricate come «cultura»), riqualificando il settore dei musei, del cinema, del teatro, promuovendo lo svolgimento di grandi eventi periodici (i saloni ecc.) e non (le Olimpiadi) in grado di attirare turisti...
Ma oggi Torino è drammaticamente più incerta sul suo futuro di quanto non fosse vent’anni fa..."

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