La Nato: a Kabul anche dopo il 2014
Gli stranieri, in effetti, da anni non pensano ad altro. Il 2014 doveva essere la data limite, il tempo della riconsegna della terra ai suoi legittimi proprietari, l’Afghanistan agli afghani, col vantaggio non indifferente di risparmiare denari importanti in tempi di bilanci vessati dalla crisi. Poi le cose sono andate diversamente. Ora è chiaro che non si vuole un pieno ritiro. Si pensa di lasciare un massimo di 12 mila uomini (oggi sono 58mila, compresi 3300 italiani) per aiutare a mantenere la sicurezza e a formare le forze dell’ordine della giovane repubblica.
Il nuovo accordo è in discussione da mesi. Ha ottenuto l’approvazione l’assemblea tribale degli anziani, il Gran Consiglio o Loya Jirga. Karzai lo ha inizialmente appoggiato, salvo poi prendere le distanze su pressione taleban. Gli Stati Uniti hanno allora avvisato Kabul che, in mancanza di una firma, potrebbero procedere anche con l’opzione zero, ovvero il ritiro di tutte le unità dal paese. La Nato, da parte sua, ha conseguentemente rilevato che senza Washington, anche lei non sarebbe in grado di proseguire con quel che resterebbe della missione Isaf (International Security Assistance Force) decisa dopo l’attacco alle Torri gemelle.
«In tal caso - è stato l’ammonimento del segretario dell’Alleanza, Anders Fogh Rasmussen -, non ci sarà una opportuna cornice giuridica e non sarà possibile attuare la missione “Forma, consiglia, assisti” dopo il 2014». Bisognerebbe firmare subito, hanno detto ieri i capi delle diplomazie del patto atlantico. Invece Karzai vuole passare il testimone al successore, all’uomo che prenderà le redini dell’Afghanistan nel prossimo aprile. Ha anche detto che non può condividere un’intesa che consenta raid aerei contro i civili, questione foriera di gravi tensioni. Ancora la scorsa settimana un drone Usa ha un ucciso un bambino.
C’è un problema di organizzazione che la Germania pone chiaramente - «Dobbiamo prendere delle decisioni logistiche», dice il ministro degli esteri Guido Westerwelle, 3.400 soldati con Isaf -, perché mantenere gli impegni impone di sapere quanto e sino a quando.
Karzai, in effetti, gioca con il fuoco. È comune convinzione che Al Qaeda possa aver spostato il suo centro operativo verso lo Yemen, l’Africa del Nord o l’Iraq. Anche per motivi di costi, «è caro restare in Afghanistan» ha detto all’«Associated Press» Anthony Cordesman, esperto di questioni medio orientali al Center for Strategic Studies di Washington.
Rasmussen è preoccupato per la sicurezza: «Temo che se non riusciremo a a mettere in piedi il progetto di formazione ci sarà un impatto negativo per la sicurezza», ha spiegato il segretario Nato. Potrebbe anche avere conseguenze negative sul finanziamento occidentale a Kabul. «Gli aiuti potrebbero non esserci», ha minacciato il danese. «Abbiamo fatto pressioni perché si firmi al più presto», ha riassunto il ministro degli Esteri Emma Bonino. Karzai ha ragioni per farlo. Ma prende tempo in cerca di un’ispirazione che sarà davvero difficile da trovare.
Nessun commento:
Posta un commento