Non c'è bisogno di andare
troppo indietro nel tempo per avere prove dell'esistenza e
dell'efficacia di questo rapporto, basta ricordare le parole del primo
ministro Netanyahu il quale nel 2010 ha affermato di essere soddisfatto
del rapporto tra le due nazioni e di non pensare di poter avere amico
migliore di Silvio Berlusconi. Adesso che alla guida del paese non
troviamo più il “vecchio amico” di Netanyahu, non sarà comunque
difficile comprendere che, anche con questo governo, il rapporto con
Israele non è cambiato e anzi, il tentativo è quello di renderlo il più
saldo possibile.
Proprio il 2 dicembre i due Premier si incontreranno a Roma con
un obiettivo ben preciso, quello di rafforzare le relazioni in campo
economico e culturale e di costruire forme di ferrea cooperazione negli
ambiti del trasferimento tecnologico, della formazione e degli
investimenti.
Letta afferma come proprio in questo vertice si avrà la possibilità di analizzare e riflettere sulla creazione di una vera e propria “start-up nation”.
Fondamentale è a questo punto comprendere perché Letta abbia scelto di emulare proprio Israele.
All'inizio degli anni '90 il governo israeliano decise di puntare sul modello “start up” investendo un enorme quantitativo di dollari nel settore dell'high-tech. Tra gli intenti vi era anche quello di attirare investimenti internazionali, se consideriamo il peso politico ed economico che attualmente Israele riveste, capiamo che l'obiettivo è stato raggiunto in pieno.
La retorica di “attrarre investimenti esteri” e rendere appetibile il mercato italiano negli ultimi anni ci è difatti sempre più familiare, vi è necessità di aggirare la crisi ricorrendo a tutti gli escamotage possibili e di certo questo è uno dei centrali. Allora quale miglior modello di quello israeliano che nel giro di pochi decenni è riuscito ad avere un economia potentissima per un Paese di pochi milioni di abitanti?
Ma la sintonia tra i due stati si mostra sotto ogni aspetto possibile. Viviamo un momento storico dove per i nostri governi la prima necessità è quella di abbassare il costo del lavoro, da un lato con la detassazione e dall'altro con la diminuzione dello stesso costo dei lavoratori e l'abolizione dei diritti fondamentali di questi ultimi. Basti pensare solo allo stravolgimento dell'articolo 18 o alla volontà di costituire dei sindacati concertativi che prevengano a tutti i costi la possibilità di riscatto.
Dall'altro lato vediamo Israele fondare la propria potenza economica sullo sfruttamento di una mano d'opera a bassissimo costo, costituita dal popolo palestinese, che si vede negato anche i diritti più basilari che un uomo posso avere, allora capiamo come l'Italia ed Israele siano in perfetta sintonia e cooperino benissimo avendo come unico obiettivo quello di aumentare i propri profitti ad ogni costo.
Facciamo però un passo indietro, l'investimento israeliano nel settore dell'high-tech è d'importanza soprattutto militare, ed è qui, proprio sul piano militare e sul commercio di materiale bellico, che gli interessi con l'Italia divengono palesi.
Proprio nel 2012 Israele, con 473 milioni di euro, si è aggiudicato il primo posto fra gli acquirenti di armi italiane, acquistando caccia da addestramento proprio da Alenia Aermacchi, gruppo Finmeccanica. L'acquisto non è stato però unilaterale, difatti negli accordi l'Italia si è impegnata ad acquistare attrezzatura militare e di sorveglianza per una cifra pari ad un miliardo!
Quindi se l'alta tecnologia israeliana serve a perfezionare alcuni meccanismi di “sicurezza” volti a migliorare la gestione del conflitto sociale, le fabbriche italiane forniscono materiale da guerra pronto ad essere scagliato contro quel che rimane della popolazione e dei territori palestinesi.
E proprio la condivisione di tali esperienze sul piano scientifico-tecnologico, nonché dal punto di vista ideologico, anche con le numerose cooperazioni che si hanno tra università italiane e israeliane e viceversa che contribuisce a legittimare le politiche sioniste di segregazione ed esclusione a danno dei palestinesi fornendo ancora una volta l’immagine falsata di un Israele democratico e all’avanguardia. E mentre le istituzioni e i governi continuano ad alimentare e supportare le politiche di Israele, c’è chi continua a non essere d’accordo e a non restare indifferente di fronte alle politiche sioniste.
Oggi, 30 novembre, è infatti l’International Day of the Naqab, giorno in cui sono in corso numerose manifestazioni contro il Prawer plan, piano razzista di conquista attraverso il quale lo Stato israeliano sta tentando di appropriarsi di un altro spazio di territorio che non gli appartiene cacciando con la forza i beduini che quel territorio lo vivono da prima del ’48.
È per questo che invitiamo a partecipare alle numerose iniziative che si terranno in questi giorni in solidarietà con il popolo palestinese, come quella di oggi a Torino, e che culmineranno il 2 dicembre, in occasione del vertice, con la manifestazione nazionale di Roma.
CONTRO IL VERTICE ITALIA ISRAELE!
CONTRO IL PRAWER PLAN!
Boicottiamo Israele, Contestiamo i complici!
Per una Palestina libera!
Letta afferma come proprio in questo vertice si avrà la possibilità di analizzare e riflettere sulla creazione di una vera e propria “start-up nation”.
Fondamentale è a questo punto comprendere perché Letta abbia scelto di emulare proprio Israele.
All'inizio degli anni '90 il governo israeliano decise di puntare sul modello “start up” investendo un enorme quantitativo di dollari nel settore dell'high-tech. Tra gli intenti vi era anche quello di attirare investimenti internazionali, se consideriamo il peso politico ed economico che attualmente Israele riveste, capiamo che l'obiettivo è stato raggiunto in pieno.
La retorica di “attrarre investimenti esteri” e rendere appetibile il mercato italiano negli ultimi anni ci è difatti sempre più familiare, vi è necessità di aggirare la crisi ricorrendo a tutti gli escamotage possibili e di certo questo è uno dei centrali. Allora quale miglior modello di quello israeliano che nel giro di pochi decenni è riuscito ad avere un economia potentissima per un Paese di pochi milioni di abitanti?
Ma la sintonia tra i due stati si mostra sotto ogni aspetto possibile. Viviamo un momento storico dove per i nostri governi la prima necessità è quella di abbassare il costo del lavoro, da un lato con la detassazione e dall'altro con la diminuzione dello stesso costo dei lavoratori e l'abolizione dei diritti fondamentali di questi ultimi. Basti pensare solo allo stravolgimento dell'articolo 18 o alla volontà di costituire dei sindacati concertativi che prevengano a tutti i costi la possibilità di riscatto.
Dall'altro lato vediamo Israele fondare la propria potenza economica sullo sfruttamento di una mano d'opera a bassissimo costo, costituita dal popolo palestinese, che si vede negato anche i diritti più basilari che un uomo posso avere, allora capiamo come l'Italia ed Israele siano in perfetta sintonia e cooperino benissimo avendo come unico obiettivo quello di aumentare i propri profitti ad ogni costo.
Facciamo però un passo indietro, l'investimento israeliano nel settore dell'high-tech è d'importanza soprattutto militare, ed è qui, proprio sul piano militare e sul commercio di materiale bellico, che gli interessi con l'Italia divengono palesi.
Proprio nel 2012 Israele, con 473 milioni di euro, si è aggiudicato il primo posto fra gli acquirenti di armi italiane, acquistando caccia da addestramento proprio da Alenia Aermacchi, gruppo Finmeccanica. L'acquisto non è stato però unilaterale, difatti negli accordi l'Italia si è impegnata ad acquistare attrezzatura militare e di sorveglianza per una cifra pari ad un miliardo!
Quindi se l'alta tecnologia israeliana serve a perfezionare alcuni meccanismi di “sicurezza” volti a migliorare la gestione del conflitto sociale, le fabbriche italiane forniscono materiale da guerra pronto ad essere scagliato contro quel che rimane della popolazione e dei territori palestinesi.
E proprio la condivisione di tali esperienze sul piano scientifico-tecnologico, nonché dal punto di vista ideologico, anche con le numerose cooperazioni che si hanno tra università italiane e israeliane e viceversa che contribuisce a legittimare le politiche sioniste di segregazione ed esclusione a danno dei palestinesi fornendo ancora una volta l’immagine falsata di un Israele democratico e all’avanguardia. E mentre le istituzioni e i governi continuano ad alimentare e supportare le politiche di Israele, c’è chi continua a non essere d’accordo e a non restare indifferente di fronte alle politiche sioniste.
Oggi, 30 novembre, è infatti l’International Day of the Naqab, giorno in cui sono in corso numerose manifestazioni contro il Prawer plan, piano razzista di conquista attraverso il quale lo Stato israeliano sta tentando di appropriarsi di un altro spazio di territorio che non gli appartiene cacciando con la forza i beduini che quel territorio lo vivono da prima del ’48.
È per questo che invitiamo a partecipare alle numerose iniziative che si terranno in questi giorni in solidarietà con il popolo palestinese, come quella di oggi a Torino, e che culmineranno il 2 dicembre, in occasione del vertice, con la manifestazione nazionale di Roma.
CONTRO IL VERTICE ITALIA ISRAELE!
CONTRO IL PRAWER PLAN!
Boicottiamo Israele, Contestiamo i complici!
Per una Palestina libera!
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