sabato 7 dicembre 2013

pc 7 dicembre - Dichiarazione del Fronte Democratico Rivoluzionario (RDF India)



Non dimentichiamo il 6 Dicembre!
Uniamoci, organizziamoci e resistiamo al fascismo comunitarista!
Cancelliamo le caste!

Fronte Democratico Rivoluzionario (RDF)
Comunicato stampa,  6 dicembre 2013


Il tempo non ci farà dimenticare il 6 dicembre. Siamo oggi al termine di un altro anno, che ha mostrato ancora al mondo questa farsa che si definisce la più grande democrazia del mondo. Da oltre 67 anni il subcontinente indiano è testimone di questo esperienza di “democrazia”. Sono passato 57 dalla morte del dottor BR Ambedkar (mahaparinirvana) e 21 anni dalla demolizione della moschea di Babri. Due date storiche che rivelano la vera agenda delle classi dominanti dentro questo regime accuratamente confezionato e consegnato dallo stato coloniale alla grande borghesia indiana. Un’agenda di cui non fanno parte né il superamento delle caste né del tessuto millenario della società indiana.

Sono invece state fomentate, fin dal momento della partizione del territorio, le falangi fasciste della maggioranza indù mascherate da patriottismo, e ora si emarginano apertamente le comunità delle minoranze oppresse in nome della salvaguardia dell’Hindutva. Nel frattempo, il sistema delle caste si radica più profondamente nella nostra società, aprendo a poco a poco squarci sempre più ampi nel tessuto di una società intrinsecamente differenziata.

Non è un caso del destino che le date del Mahaparinirvana di Ambedkar e della demolizione della moschea di Babri coincidano. Dobbiamo ricordare i giorni di violenze che hanno preceduto la demolizione della moschea e tutti i giorni passati da allora, in cui si è perfezionata l’arma elettorale nelle mani del Sangh-giroh. Dopo la partizione, è subito iniziato il canto di Ram Mandir alla moschea di Babri. La destra ha preparato per sé l’immagine di protettrice della patria indù e di tutto ciò che essa rappresentava, come parte della sua lotta per Ramjanmabhoomi. Il governo del Congresso aveva già mostrato le sue credenziali fasciste con lo stato di emergenza dichiarato sotto il regime di Indira Gandhi e ancora nei moti anti-sikh del 1984 a Delhi.

Dunque, l'apertura dei cancelli della Babri Masjid da parte di Rajiv Gandhi nel 1990, seguiva il programma del Congresso di dividere la società per religioni per perseguire i propri interessi di classe e di casta e dare un impulso decisivo alle forze comunitariste. A ciò si e affiancato l'apertura dell'economia alle riforme neoliberiste, che approfittavano queste fratture nella società per creare un blocco sociale urbano fedele, l’emergente ceto medio indù. Se il piano d’attacco della violenza comunitarista negli ultimi mesi del 1989 a Bhagalpur, Uttar Pradesh, è stato scritto e sviluppato dai dirigenti del RSS-VHP e applicato dai quadri del Bjp, i beneficiari andavano ben oltre le file di questo partito e comprendevano le élite indù nazionali.

La violenza ha preso sistematicamente di mira i musulmani, distruggendone vite e mezzi di sussistenza, e con evacuazioni di massa che negli stati coinvolti hanno avuto come effetto uno drammatico riassetto demografico. Il coinvolgimento delle autorità statali nel fomentare la violenza e la successiva partecipazione della polizia e delle forze armate erano chiare agli occhi di tutti. Ad Ayodhya, nel dicembre 1991, sia il governo dello stato di Uttar Pradesh, del BJP, che il governo centrale, del Congresso, prepararono il terreno all’attacco aperto contro la minoranza. Il processo e piani di espansione del rath-yatra di LK Advani e la mano libera data ai karsevaks lo hanno confermato e nei due anni che hanno preceduto la demolizione hanno dimostrato in ogni modo che la violenza era premeditata.

Tutto mondo ha visto nell’attacco alla Babri Masjid dei karsevaks aizzati dal furore comunitarista e dalla certezza dell’impunità, nella frattura della società lungo i confini tra le religioni, anche le forze compratore che preparavano il terreno agli investimenti diretti esteri nel paese. Sarebbe davvero straordinario se qualcuno credesse ancora che la demolizione e le successive violenze erano spontanee o non pianificate. Nel 1992, col diffondersi della violenza in città note come i centri economiche nevralgici del paese, quali Bombay, Kanpur, Surat, Ahmedabad e Delhi, il suo impatto è cresciuto, distruggendo terreni, proprietà, mezzi di sussistenza e innumerevoli vite, e ha lasciato dietro di sé comunità divise e ghettizzate.

La distruzione dell'economia della comunità minoritaria, nello specifico l’incendio dei mulini di proprietà di commercianti musulmani, non lascia spazio a speculazioni sul vero obiettivo delle violenze. La successiva ristrutturazione della società ha confermato che ciò forniva un terreno fertile per le riforme economiche che promettevano un fiume di capitali per le nuove élite urbane che occupano posizioni di potere all'interno dell'economia neoliberista. Così, la marcia verso uno stato fascista è continuata di pari passo con l’ascesa di un blocco urbano che invoca il patriottismo a difesa delle politiche economiche dello Stato. Nelle campagne, in stati come il Bihar, questo fascismo comunitarista ha trovato i suoi più convinti sostenitori tra le élite terriere feudali. Qui, i Bhumihar hanno formato milizie per imporre il loro sfruttamento feudale su terre e risorse e hanno attaccato brutalmente i dalit che osavano resistere.

Oltre i massacri di Bathani Tola nel 1996, di Ranveer Sena a Laxmanpur Bathe nel 1997, grazie al sostegno attivo delle forze dello Stato, queste milizie castali si sono diffuse ai distretti di Jehanabad, Nawada e Aurangabad, accanendosi particolarmente contro donne e bambini dalit, per assicurarsi la piena sottomissione delle comunità oppresse. La natura della violenza ha cambiato forma e dimensione e raggiunto la massima espressione nel febbraio 2002 nello stato del Gujarat. La dimensione di quel pogrom porta alla luce le radici del fascismo nel subcontinente. In passato, era prassi comune per lo stato stare dalla parte delle folle indù. Ma a Gujarat nel 2002 si è avuta prova della partecipazione aperta e impunita della copertura e giustificazione delle rivolte da parte di apparati statali, dell'amministrazione, dell'esecutivo del governo dello Stato, con al timone Narendra Modi del BJP, giù fino alle forze di polizia.

La mobilitazione attiva dei più ampi settori di classi e caste nella violenza, l’attacco e isolamento sistematico della comunità di minoranza e la preparazione della scena della violenza attraverso spazi comunitarizzati, hanno segnato il distaccarsi dal modello generale dei disordini cui si era assistito fino ad allora nel subcontinente. L'esperienza del Gujarat è diventata per lo Stato comunitarista-fascista il nuovo modello di riordino della società secondo le sue esigenze. La minaccia della violenza è bastata a garantire la vittoria elettorale. Il successivo decennio ci ha mostrato come l'apparato statale continua a difendere e giustificare la sua deliberata (in)azione durante i moti comunitaristi.

Questo nuovo modello di violenza è stato adottato dai vari governi per blandire l’elettorato dominante. Nonostante il suo dichiararsi un partito laico, il Congresso, in concorrenza con l’opposizione della del BJP, ha supervisionato alcuni dei peggiori scontri comunitaristi degli ultimi anni. Dal 2011, a Gopalgarh e Bhilwara in Rajasthan, all'inizio del 2013 a Dhule in Maharashtra, come forza di governo statale, fino alle più recenti rivolte in Muzaffarnagar, come muto spettatore. Quale partito al governo centrale, il Congresso ha chiaramente proclamato i suoi interessi di classe e di casta. Così, mentre in alcuni stati il governo del Congresso coinvolge con l’inganno le comunità minoritarie, in altri brucia vivi i Dalit, oppressi ed emarginati, e gli Adivasi.

Così il governo del Gujarat ha difeso l’assassinio in uno “scontro” di Ishrat Jahan nel 2004 e il Partito Samajwadi dell’Uttar Pradesh ha assicurato l'assassinio di Shaheed Khalid Mujahid nel 2013. Così, di fronte alle lotte per difendere la terra e le risorse naturali contro le razzie delle grandi aziende, che continuano da oltre due decenni in India centrale, in particolare contro il regime di Naveen Patnaik in Orissa, nel 2007 il governo di sinistra a parole di quello stato, capeggiato dal PCM, ha orchestrato i sanguinosi attacchi contro i manifestanti di Singur e Nandigram, per imporre la zona economia speciale per la Tata. Così, mentre a Delhi e in tutto il paese si tengono manifestazioni per leggi che proteggano le donne da violenze e stupri, donne come Soni Sori combattono il sistema da dentro una prigione del Chhattisgarh, essendo stata ripetutamente violentata mentre era in custodia della polizia e del sistema giudiziario di quello stato.

Così mentre la frequenza degli scontri in Uttar Pradesh è aumentata e si è manifestata a Pratapgarh, Faizabad, Bareggio, Lucknow, Allahabad, Kosi Kalan e, da ultimo, a Muzaffarnagar nel 2013, la violenza si estende a forme che includono le espulsioni di massa dalle terre e l’impossessamento da parte delle élites dominanti, la perdita dei mezzi di sussistenza e ripetuti attacchi a donne e bambini per demoralizzare le già devastate minoranze e le altre comunità oppresse. Oggi, questo modello di stato fascista ha trovato simpatizzanti tra quella classe stessa che trae vantaggi da un elettorato polarizzato e una società fratturata, la cerchia di compradori che ha messo gli occhi sulle immense risorse del paese. Gli stretti rapporti tra lo Stato e gradi aziende e il totale disinteresse per la stragrande maggioranza del popolo nel loro processo di “sviluppo” si esprimono ogni volta che si firma un protocollo di intesa per sfruttare i minerali ricche colline dell'India centrale.

Dato che gli squadroni di vigilantes illegali al soldo dello Stato come i Salwa Judum non sono riusciti a scacciare gli adivasi, è lo Stato indiano retto dall’ attuale governo del Congresso che si è assunto il compito di sgombrare il campo alle aziende, con una guerra al popolo dal nome in codice di “Operazione Green Hunt”. In nome della religione e delle caste, l'elite al potere nazionale ha inflitto a dalit e adivasi orrori indescrivibili, come a Laxmanpur Bathe o Jehanabad nel 1997 in Bihar, a Ramabai Colony nel 1997, a hairlanji in Maharashtra nel 2006, a Kandhamal nel 2008, o a Bolangir in Orissa nel 2012, a Paramakudi nel 2011 o a Laxmanpur in Andhra Pradesh e Dharmapuri in Tamil Nadu nel 2012.

La brutalità con cui le lotte delle nazionalità nel Nordest in e Kashmir sono state schiacciate dalle forze armate va vista accanto all’uso da parte dello Stato indiano di quelle stesse leggi coloniali, come AFSPA, legiferate dagli inglesi per la colonizzazione del subcontinente. In nome della difesa della sovranità, queste leggi hanno garantito l’impunità alle forze armate che hanno assassinato e stuprato centinaia di donne a Kunan Poshpora nel 1991, a Manorama Devi in Manipur nel 2004, a Asiya e Nilofer in Shopian, Kashmir, nel 2009. Nonostante questi passi verso uno stato comunitarista fascista, ogni tanto lo Stato indiano continua flebilmente a sciorinare le sue credenziali di stato laico, con più insistenza prima delle elezioni. Non deve sorprendere nessuno che con tutti questi atti di violenza le élite al potere, sotto la bandiera del RSS-VHP, del Bajrang Dal, o di partiti parlamentari come BJP, il Congresso, SP, BJD, AIADMK, o PCM, o in forma di milizie feudali come Ranvir Sena in Bihar, si sono disputate le posizioni elettorali e hanno vinto. Con la creazione di un regime di paura, queste forze fasciste si creano spazi all'interno della gigantesca struttura che si finge una democrazia.

Oggi la natura dello stato è ben evidente di fronte a noi. In vista delle elezioni Lok Sabha il prossimo anno, il paese viene affettato, aperto, diviso su base comunitaria e di casta, e offerto al più alto e più sanguinoso offerente. Gli architetti dello scontro tra comunità usano le fratture socio-economiche non solo per rompere l'unità concreta nelle comunità, ma per spezzare la spina dorsale sociale, economica e culturale della minoranza e delle comunità emarginate e tutti i simboli del loro progresso. Questi simboli sono visti come minacce e ragioni principali per l’ascesa del Rashtra indù. Fascisti come Narendra Modi si dichiarano apertamente eredi del capo del Congresso Sardar Patel Vallabhai.

Questa eredità storica del fascismo comunitarsita che spinge la globalizzazione neoliberista è ben accetto e condiviso dai partiti parlamentari. Le recenti violenze in Uttar Pradesh hanno definito nettamente l'agenda della classe dirigente per i prossimi tempi. Il ruolo della propaganda e della retorica demagogica durante i disordini e quelli dei media di amplificare le posizioni comunitariste, la sottile distorsione e l’abile disinformazione nelle situazioni di tensione, mostrano che il governo al potere è colluso con le forze neofasciste, coccolate dai media maggiori, che spettacolarizzano e caricaturizzano la tragedia umana.

I poveri, gli emarginati, i senza terra, i dalit, le donne e le comunità di minoranza soffrono nella stretta delle classi dominanti. Spetta a noi denunciare questi agenti di morte e i loro solidi interessi elettorali che alimentano le aspirazioni imperialiste in questo stato semi- feudale, semi -coloniale. Oggi, in questo giorno, di fronte alla memoria di Ambedkar e alla faccia brutale del comunitarismo, dobbiamo decidere da quale parte stare. Dobbiamo farci la stessa domanda che Ambedkar rivolse una volta - occorre avere il coraggio di dire agli indù, che ciò che è sbagliato in loro è la loro religione, la religione che ha prodotto in loro questo concetto della sacralità della Casta, mostrerete questo coraggio? Il RDF è solidale con le lotte rivoluzionarie del paese, chiede l'eliminazione delle caste, ed esige la ricostruzione della Babri Masjid nello stesso sito!

Varavara Rao
G N Saibaba

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