Non dimentichiamo il 6 Dicembre!
Uniamoci, organizziamoci e resistiamo al fascismo comunitarista!
Cancelliamo le caste!
Fronte Democratico Rivoluzionario (RDF)
Comunicato stampa, 6 dicembre 2013
Il tempo non ci farà dimenticare il 6 dicembre. Siamo oggi al
termine di un altro anno, che ha mostrato ancora al mondo questa farsa che si
definisce la più grande democrazia del mondo. Da oltre 67 anni il subcontinente
indiano è testimone di questo esperienza di “democrazia”. Sono passato 57 dalla
morte del dottor BR Ambedkar (mahaparinirvana) e 21 anni dalla demolizione
della moschea di Babri. Due date storiche che rivelano la vera agenda delle
classi dominanti dentro questo regime accuratamente confezionato e consegnato
dallo stato coloniale alla grande borghesia indiana. Un’agenda di cui non fanno
parte né il superamento delle caste né del tessuto millenario della società
indiana.
Sono invece state fomentate, fin dal momento della
partizione del territorio, le falangi fasciste della maggioranza indù
mascherate da patriottismo, e ora si emarginano apertamente le comunità delle
minoranze oppresse in nome della salvaguardia dell’Hindutva. Nel frattempo, il
sistema delle caste si radica più profondamente nella nostra società, aprendo a
poco a poco squarci sempre più ampi nel tessuto di una società intrinsecamente
differenziata.
Non è un caso del destino che le date del Mahaparinirvana di
Ambedkar e della demolizione della moschea di Babri coincidano. Dobbiamo
ricordare i giorni di violenze che hanno preceduto la demolizione della moschea
e tutti i giorni passati da allora, in cui si è perfezionata l’arma elettorale
nelle mani del Sangh-giroh. Dopo la partizione, è subito iniziato il canto di
Ram Mandir alla moschea di Babri. La destra ha preparato per sé l’immagine di
protettrice della patria indù e di tutto ciò che essa rappresentava, come parte
della sua lotta per Ramjanmabhoomi. Il governo del Congresso aveva già mostrato
le sue credenziali fasciste con lo stato di emergenza dichiarato sotto il
regime di Indira Gandhi e ancora nei moti anti-sikh del 1984 a Delhi.
Dunque, l'apertura dei cancelli della Babri Masjid da parte
di Rajiv Gandhi nel 1990, seguiva il programma del Congresso di dividere la
società per religioni per perseguire i propri interessi di classe e di casta e dare
un impulso decisivo alle forze comunitariste. A ciò si e affiancato l'apertura
dell'economia alle riforme neoliberiste, che approfittavano queste fratture
nella società per creare un blocco sociale urbano fedele, l’emergente ceto
medio indù. Se il piano d’attacco della violenza comunitarista negli ultimi
mesi del 1989 a Bhagalpur, Uttar Pradesh, è stato scritto e sviluppato dai dirigenti
del RSS-VHP e applicato dai quadri del Bjp, i beneficiari andavano ben oltre le
file di questo partito e comprendevano le élite indù nazionali.
La violenza ha preso sistematicamente di mira i musulmani,
distruggendone vite e mezzi di sussistenza, e con evacuazioni di massa che negli
stati coinvolti hanno avuto come effetto uno drammatico riassetto demografico. Il
coinvolgimento delle autorità statali nel fomentare la violenza e la successiva
partecipazione della polizia e delle forze armate erano chiare agli occhi di
tutti. Ad Ayodhya, nel dicembre 1991, sia il governo dello stato di Uttar
Pradesh, del BJP, che il governo centrale, del Congresso, prepararono il
terreno all’attacco aperto contro la minoranza. Il processo e piani di
espansione del rath-yatra di LK Advani e la mano libera data ai karsevaks lo
hanno confermato e nei due anni che hanno preceduto la demolizione hanno dimostrato
in ogni modo che la violenza era premeditata.
Tutto mondo ha visto nell’attacco alla Babri Masjid dei karsevaks
aizzati dal furore comunitarista e dalla certezza dell’impunità, nella frattura
della società lungo i confini tra le religioni, anche le forze compratore che
preparavano il terreno agli investimenti diretti esteri nel paese. Sarebbe davvero
straordinario se qualcuno credesse ancora che la demolizione e le successive violenze
erano spontanee o non pianificate. Nel 1992, col diffondersi della violenza in città
note come i centri economiche nevralgici del paese, quali Bombay, Kanpur,
Surat, Ahmedabad e Delhi, il suo impatto è cresciuto, distruggendo terreni, proprietà,
mezzi di sussistenza e innumerevoli vite, e ha lasciato dietro di sé comunità
divise e ghettizzate.
La distruzione dell'economia della comunità minoritaria, nello
specifico l’incendio dei mulini di proprietà di commercianti musulmani, non
lascia spazio a speculazioni sul vero obiettivo delle violenze. La successiva
ristrutturazione della società ha confermato che ciò forniva un terreno fertile
per le riforme economiche che promettevano un fiume di capitali per le nuove
élite urbane che occupano posizioni di potere all'interno dell'economia
neoliberista. Così, la marcia verso uno stato fascista è continuata di pari
passo con l’ascesa di un blocco urbano che invoca il patriottismo a difesa
delle politiche economiche dello Stato. Nelle campagne, in stati come il Bihar,
questo fascismo comunitarista ha trovato i suoi più convinti sostenitori tra le
élite terriere feudali. Qui, i Bhumihar hanno formato milizie per imporre il
loro sfruttamento feudale su terre e risorse e hanno attaccato brutalmente i
dalit che osavano resistere.
Oltre i massacri di Bathani Tola nel 1996, di Ranveer Sena a
Laxmanpur Bathe nel 1997, grazie al sostegno attivo delle forze dello Stato,
queste milizie castali si sono diffuse ai distretti di Jehanabad, Nawada e
Aurangabad, accanendosi particolarmente contro donne e bambini dalit, per assicurarsi
la piena sottomissione delle comunità oppresse. La natura della violenza ha
cambiato forma e dimensione e raggiunto la massima espressione nel febbraio
2002 nello stato del Gujarat. La dimensione di quel pogrom porta alla luce le
radici del fascismo nel subcontinente. In passato, era prassi comune per lo
stato stare dalla parte delle folle indù. Ma a Gujarat nel 2002 si è avuta
prova della partecipazione aperta e impunita della copertura e giustificazione
delle rivolte da parte di apparati statali, dell'amministrazione, dell'esecutivo
del governo dello Stato, con al timone Narendra Modi del BJP, giù fino alle
forze di polizia.
La mobilitazione attiva dei più ampi settori di classi e
caste nella violenza, l’attacco e isolamento sistematico della comunità di
minoranza e la preparazione della scena della violenza attraverso spazi comunitarizzati,
hanno segnato il distaccarsi dal modello generale dei disordini cui si era assistito
fino ad allora nel subcontinente. L'esperienza del Gujarat è diventata per lo
Stato comunitarista-fascista il nuovo modello di riordino della società secondo
le sue esigenze. La minaccia della violenza è bastata a garantire la vittoria
elettorale. Il successivo decennio ci ha mostrato come l'apparato statale
continua a difendere e giustificare la sua deliberata (in)azione durante i moti
comunitaristi.
Questo nuovo modello di violenza è stato adottato dai vari
governi per blandire l’elettorato dominante. Nonostante il suo dichiararsi un
partito laico, il Congresso, in concorrenza con l’opposizione della del BJP, ha
supervisionato alcuni dei peggiori scontri comunitaristi degli ultimi anni. Dal
2011, a Gopalgarh e Bhilwara in Rajasthan, all'inizio del 2013 a Dhule in
Maharashtra, come forza di governo statale, fino alle più recenti rivolte in
Muzaffarnagar, come muto spettatore. Quale partito al governo centrale, il
Congresso ha chiaramente proclamato i suoi interessi di classe e di casta. Così,
mentre in alcuni stati il governo del Congresso coinvolge con l’inganno le
comunità minoritarie, in altri brucia vivi i Dalit, oppressi ed emarginati, e
gli Adivasi.
Così il governo del Gujarat ha difeso l’assassinio in uno
“scontro” di Ishrat Jahan nel 2004 e il Partito Samajwadi dell’Uttar Pradesh ha
assicurato l'assassinio di Shaheed Khalid Mujahid nel 2013. Così, di fronte alle
lotte per difendere la terra e le risorse naturali contro le razzie delle
grandi aziende, che continuano da oltre due decenni in India centrale, in
particolare contro il regime di Naveen Patnaik in Orissa, nel 2007 il governo
di sinistra a parole di quello stato, capeggiato dal PCM, ha orchestrato i sanguinosi
attacchi contro i manifestanti di Singur e Nandigram, per imporre la zona
economia speciale per la Tata. Così, mentre a Delhi e in tutto il paese si
tengono manifestazioni per leggi che proteggano le donne da violenze e stupri, donne
come Soni Sori combattono il sistema da dentro una prigione del Chhattisgarh, essendo
stata ripetutamente violentata mentre era in custodia della polizia e del
sistema giudiziario di quello stato.
Così mentre la frequenza degli scontri in Uttar Pradesh è
aumentata e si è manifestata a Pratapgarh, Faizabad, Bareggio, Lucknow,
Allahabad, Kosi Kalan e, da ultimo, a Muzaffarnagar nel 2013, la violenza si estende
a forme che includono le espulsioni di massa dalle terre e l’impossessamento da
parte delle élites dominanti, la perdita dei mezzi di sussistenza e ripetuti attacchi
a donne e bambini per demoralizzare le già devastate minoranze e le altre
comunità oppresse. Oggi, questo modello di stato fascista ha trovato
simpatizzanti tra quella classe stessa che trae vantaggi da un elettorato polarizzato
e una società fratturata, la cerchia di compradori che ha messo gli occhi sulle
immense risorse del paese. Gli stretti rapporti tra lo Stato e gradi aziende e
il totale disinteresse per la stragrande maggioranza del popolo nel loro
processo di “sviluppo” si esprimono ogni volta che si firma un protocollo di
intesa per sfruttare i minerali ricche colline dell'India centrale.
Dato che gli squadroni di vigilantes illegali al soldo dello
Stato come i Salwa Judum non sono riusciti a scacciare gli adivasi, è lo Stato
indiano retto dall’ attuale governo del Congresso che si è assunto il compito
di sgombrare il campo alle aziende, con una guerra al popolo dal nome in codice
di “Operazione Green Hunt”. In nome della religione e delle caste, l'elite al
potere nazionale ha inflitto a dalit e adivasi orrori indescrivibili, come a Laxmanpur
Bathe o Jehanabad nel 1997 in Bihar, a Ramabai Colony nel 1997, a hairlanji in
Maharashtra nel 2006, a Kandhamal nel 2008, o a Bolangir in Orissa nel 2012, a Paramakudi
nel 2011 o a Laxmanpur in Andhra Pradesh e Dharmapuri in Tamil Nadu nel 2012.
La brutalità con cui le lotte delle nazionalità nel Nordest in
e Kashmir sono state schiacciate dalle forze armate va vista accanto all’uso da
parte dello Stato indiano di quelle stesse leggi coloniali, come AFSPA,
legiferate dagli inglesi per la colonizzazione del subcontinente. In nome della
difesa della sovranità, queste leggi hanno garantito l’impunità alle forze
armate che hanno assassinato e stuprato centinaia di donne a Kunan Poshpora nel
1991, a Manorama Devi in Manipur nel 2004, a Asiya e Nilofer in Shopian,
Kashmir, nel 2009. Nonostante questi passi verso uno stato comunitarista
fascista, ogni tanto lo Stato indiano continua flebilmente a sciorinare le sue
credenziali di stato laico, con più insistenza prima delle elezioni. Non deve
sorprendere nessuno che con tutti questi atti di violenza le élite al potere,
sotto la bandiera del RSS-VHP, del Bajrang Dal, o di partiti parlamentari come
BJP, il Congresso, SP, BJD, AIADMK, o PCM, o in forma di milizie feudali come
Ranvir Sena in Bihar, si sono disputate le posizioni elettorali e hanno vinto.
Con la creazione di un regime di paura, queste forze fasciste si creano spazi
all'interno della gigantesca struttura che si finge una democrazia.
Oggi la natura dello stato è ben evidente di fronte a noi. In
vista delle elezioni Lok Sabha il prossimo anno, il paese viene affettato, aperto,
diviso su base comunitaria e di casta, e offerto al più alto e più sanguinoso
offerente. Gli architetti dello scontro tra comunità usano le fratture socio-economiche
non solo per rompere l'unità concreta nelle comunità, ma per spezzare la spina
dorsale sociale, economica e culturale della minoranza e delle comunità
emarginate e tutti i simboli del loro progresso. Questi simboli sono visti come
minacce e ragioni principali per l’ascesa del Rashtra indù. Fascisti come
Narendra Modi si dichiarano apertamente eredi del capo del Congresso Sardar
Patel Vallabhai.
Questa eredità storica del fascismo comunitarsita che spinge
la globalizzazione neoliberista è ben accetto e condiviso dai partiti
parlamentari. Le recenti violenze in Uttar Pradesh hanno definito nettamente l'agenda
della classe dirigente per i prossimi tempi. Il ruolo della propaganda e della
retorica demagogica durante i disordini e quelli dei media di amplificare le posizioni
comunitariste, la sottile distorsione e l’abile disinformazione nelle situazioni
di tensione, mostrano che il governo al potere è colluso con le forze
neofasciste, coccolate dai media maggiori, che spettacolarizzano e
caricaturizzano la tragedia umana.
I poveri, gli emarginati, i senza terra, i dalit, le donne e
le comunità di minoranza soffrono nella stretta delle classi dominanti. Spetta
a noi denunciare questi agenti di morte e i loro solidi interessi elettorali che
alimentano le aspirazioni imperialiste in questo stato semi- feudale, semi
-coloniale. Oggi, in questo giorno, di fronte alla memoria di Ambedkar e alla
faccia brutale del comunitarismo, dobbiamo decidere da quale parte stare.
Dobbiamo farci la stessa domanda che Ambedkar rivolse una volta - occorre avere
il coraggio di dire agli indù, che ciò che è sbagliato in loro è la loro
religione, la religione che ha prodotto in loro questo concetto della sacralità
della Casta, mostrerete questo coraggio? Il RDF è solidale con le lotte
rivoluzionarie del paese, chiede l'eliminazione delle caste, ed esige la
ricostruzione della Babri Masjid nello stesso sito!
Varavara Rao
G N Saibaba
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