Oggi
all’Ilva vi è una guerra iniziata da padron Riva, già nel mese di
marzo, quando tramite i suoi capi e settori di lavoratori
privilegiati ha mobilitato la fabbrica al suo fianco a difesa dei
suoi interessi di continuare a fare profitti sulla pelle e la salute
degli operai e della città.
Questa
“guerra” vede da un lato un fronte formato da Riva, tutta la
direzione Ilva, Stato e governo sempre difensori degli interessi
capitalistici, nonché Istituzioni, a cominciare dalla Regione di
Vendola, che non hanno voluto risolvere prima i problemi e continuano
anche ora a fare prevalentemente parole; a questo fronte antioperaio
hanno dato negli anni e danno sostegno con linee, e soprattutto
azioni, accordi svendita, i sindacati confederali, tutti, facendosi
così corresponsabili dello sfruttamento, dell’attacco ai diritti
in Ilva e dell’”inferno dell’Ilva” che ha portato a morti in
fabbrica e fuori – senza questa azione complice di collaborazione
attiva e continua non saremmo arrivati a questa situazione.
Dall’altro
lato di questa guerra vi sono gli operai.
Questa
in corso, quindi, è un lotta di classe, con nemici del lavoro e
della salute degli operai e degli abitanti di Taranto; in questa
lotta di classe gli operai non hanno amici nel primo fronte.
La
vera devastazione è quella portata avanti da Riva, e prima dai
padroni “pubblici”, fatta di massima intensificazione del lavoro,
massimo utilizzo degli impianti, taglio dei costi “inutili”
quelli per la sicurezza e la difesa dell’ambiente, livelli record
di produzione, realizzati con super sfruttamento, mancanza di
diritti, morti per infortuni e malattie e attacco alla salute della
popolazione e all’ambiente.
QUESTA
DEVASTAZIONE CAPITALISTA, PER IL PROFITTO E' ALLA BASE DELLA
DEVASTAZIONE AMBIENTALE.
Quindi
è la fabbrica il cuore della partita di questa guerra, se non si
lotta contro la vera ragione della devastazione ambientale: il
profitto capitalista e là dove si produce, si perde la rotta, i
nemici possono sembrare “amici” e nello stesso tempo non c’è
un barometro di classe per capire chi sono i veri amici degli operai
in questa lotta.
Gli
operai devono costruirsi il loro fronte prima di tutto all’interno
dell’Ilva, contro aziendalisti e sindacati confederali.
All’esterno
della fabbrica, con gli abitanti dei quartieri proletari più
devastati, con i giovani, gli studenti, con forze di movimento e
settori ambientalisti, così come singoli magistrati, giornalisti,
intellettuali, ecc., che però non mettano, per salvaguardare solo i
loro interessi e la loro visione del mondo di matrice borghese, medio
borghese e piccolo borghese, la difesa dell’ambiente prima e in
contraddizione o contrasto con la battaglia per la difesa di tutti i
posti di lavoro in Ilva, perché l’Ilva non deve chiudere, per la
salvaguardia di Taranto come importante città industriale, che poi
significa difesa di una consistente classe operaia - altrimenti
facciamo la fine di Bagnoli.
Ma
mentre il fronte padronal/statale è organizzato sia pur con qualche
contraddizione interna seria in questo momento; il fronte operaio non
lo è.
Questo
ora è il vero problema che abbiamo in questa lotta. LA QUESTIONE
CENTRALE, DECISIVA E’ L’ORGANIZZAZIONE DI CLASSE DEGLI OPERAI
ALL’ILVA.
Questa
organizzazione è prima di tutto l’organizzazione sindacale di
classe.
Perché
il sindacato degli operai, nelle mani degli operai è storicamente e
attualmente una condizione sine qua no della possibilità di lottare
e strappare risultati; è l’unica organizzazione che può essere di
massa degli operai.
Oggi
questa organizzazione sindacale di classe passa per lo sviluppo dello
Slai cobas in Ilva.
Non
c‘è un’altra organizzazione che possa oggi avere questa
funzione, che possa rivolgersi in maniera trasversale a tutti gli
operai, e organizzare stabilmente quelli che vogliono pensare con la
propria testa, come rappresentanti collettivi della classe.
Senza
questa organizzazione alternativa gli operai possono certo incidere
in un momento di lotta (la contestazione di un sindacalista in
assemblea in fabbrica, ecc.), ma non riescono assolutamente a pesare
in modo continuo, sia nella lotta che nei tavoli di trattativa –
che sono altrettanto importanti e parte della lotta perchè
permettono di ottenere i risultati di quella lotta, senza i quali gli
operai non continuano a lottare né prendono fiducia nelle loro forze
-; sia in una singola lotta in fabbrica (vedi cambio-tuta) sia in una
battaglia così generale, come questa sulla “chiusura dell'Ilva”,
sia in prospettiva nello scontro generale con i padroni e governo.
Rispetto
a questo, tutti gli operai più coscienti devono assumersi la
responsabilità. E’ ORA E’ PIU’ CHE MAI L’ORA!
Si
possono dire le cose più giuste, ma senza organizzazione in fabbrica
che punti a conquistare la massa operaia, non si può avere realmente
peso e autonomia, se non episodicamente.
Su
questo vi sono tra operai ed ex delegati in Ilva atteggiamenti e
scelte che non vanno bene e che, lo vogliano o no, finiscono per
frenare questo necessario processo di organizzazione di centinaia di
operai nello slai cobas.
L’atteggiamento
di chi parla bene, e si avvicina o si organizza perfino con noi, ma
poi di fronte alle pressioni dell'azienda, è passato alla Cisl
(primaRizzo e poi lo stesso Ranieri). Questi operai possono dire le
cose più giuste, possono essere, come Ranieri nella manifestazione
del 2/8, combattivi e punti di riferimento di tanti operai, ma che
proposta organizzativa mandano di fatto agli operai? Andate nella
cisl, per ottenere copertura sindacale? – sindacato chiaramente
super responsabile della politica dell’azienda.
Nè
si può coltivare tra gli operai la impotente ed eterna illusione che
avevano già nella Fiom e che oggi portano nella Cisl: 'facciamo ciò
che vogliamo': puoi farlo per una volta anche due ma poi decidono
loro, e tu o copri o te ne vai.
Giustificare
questo passaggio ai sindacati più filo Riva con i problemi personali
e familiari, non va bene. Tutti hanno problemi, tutti sono
“ricattabili” da Riva, ma così si propone di restare sotto
ricatto tutta la vita! Poi si porta in piazza lo striscione “Si ai
diritti, No ai ricatti”, ma Ranieri non ha difeso il suo e nostro
diritto di essere come Slai cobas in fabbrica, ci lascia soli di
fronte al ricatto del padrone. Lui lo voglia o no questo ricatto lo
sta accettando.
Poi
il ricatto viene anche esagerato. Finora nelle volte che siamo stati
in fabbriche – dalla Belleli, alla Nuova Siet, oggi alla Effer -
nessun lavoratore dello slai cobas è stato licenziato, pur avendo
avuto chiaramente pressioni, discriminazioni, ecc., né finora
all'Ilva è stato licenziato alcun lavoratore che allo slai cobas è
rimasto iscritto. Anche recentemente alla Effer, fabbrica
metalmeccanica gru, l’azienda, dopo un compatta fermata indetta
dallo slai cobas, ha minacciato il licenziamento dei due responsabili
operai del cobas, ma ha dovuto rimangiarselo e, i due operai sono al
lavoro, non solo, i lavoratori in cigs prima che ci fosse il cobas
oggi sono tutti rientrati in fabbrica.
Altro
atteggiamento che non aiuta è quello di quegli operai, anche
incazzati/ribelli, che sono contro i sindacati confederali, contro
fim, fiom, uilm, e arrivano a dire: basta con i sindacati, nessuna
“bandiera”, facciamo da noi, ecc.. Questo atteggiamento è
inconcludente e controproducente nella lotta di classe contro padroni
e governo, il sindacato in fabbrica è una necessità per gli operai.
Altrimenti che lo si voglia o no di fatto si delega agli altri (ai
sindacati confederali o ai capi aziendalisti), e agli operai
disorganizzati e arrabbiati resta il cerino della contestazione.
Anche
fuori dalla fabbrica, senza la loro autonoma organizzazione di
classe, gli operai non è vero che “fanno da loro”, perchè
confluiscono in aggregazioni ibride e a volte perfino equivoche con
altre realtà non classiste, su cui non riescono a pesare realmente
su linee, decisioni e pratiche.
Oggi
l'unica strada che può cambiare le cose in fabbrica, nella massa
operaia, e può dare nuovo peso agli operai come massa in città,
passa attraverso il rafforzamento e lo sviluppo del nucleo iniziale
del Cobas in Ilva che riesca a iscrivere un 300 operai e ne attivizzi
una cinquantina.
E,
allora, tutti potranno vedere realmente come le cose non siano più
come prima.
Sappiamo
tutti che questa strada è difficile, ma non è affatto vero che
perseguendo altre “più facili”, “più aggregabili” si arriva
a cambiare i rapporti di forza.
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