L'ex comandante
della "celere" di Roma firma un libro sull'irruzione nella
scuola del G8 di Genova. Dove accusa gli alti vertici della Polizia
di Stato di aver cercato di depistare le indagini su quella
"macelleria" scaricando tutte le colpe sui suoi uomini
“La Diaz
fu una rappresaglia scientifica alla figuraccia mondiale per le prese
in giro dei black
bloc.
Un tentativo, maldestro, di rifarsi un’immagine e una verginità
giocando sporco, picchiando a freddo, sbattendo a Bolzaneto
ospiti indesiderati assolutamente innocenti”. A dirlo, anzi a
scriverlo, non è un no global reduce dal G8
di Genova,
ma un poliziotto. E che poliziotto: Vincenzo
Canterini,
primo dirigente oggi a riposo, all’epoca dei fatti comandante del
Primo
reparto mobile,
cioè dei “celerini” romani. Nel quale era inquadrato il VII
Nucleo Sperimentale,
l’élite antisommossa protagonista dell’irruzione nella scuola
genovese sotto il comando di Michelangelo
Fournier,
che per quell’operazione avrebbe poi coniato l’efficace etichetta
di “macelleria
messicana“.
Canterini ha deciso
di raccontare la sua verità su quell’episodio in Diaz,
libro scritto con i cronisti del “Giornale” Gian Marco Chiocci e
Simone Di Meo e pubblicato da Imprimatur. Undici anni dopo i fatti
del 2001 e, soprattutto, neppure
un mese dopo la condanna definitiva in Cassazione dello stesso
Canterini e di altri 24 poliziotti, compresi Fournier e diversi
capisquadra del VII.
In Diaz,
l’ex capo dei celerini romani accusa apertamente le alte sfere del
Viminale di aver cercato di scaricare sui di lui e sui suoi uomini le
responsabilità, anche penali, di quella “macelleria
indiscriminata”. Non riuscendoci grazie alla caparbietà dei
magistrati genovesi. Che però avrebbero commesso l’errore opposto,
cioè di dividere la scena della Diaz in “buoni e cattivi”, dove
buoni erano tutti gli occupanti del dormitorio improvvisato e cattivi
tutti i poliziotti intervenuti. La tesi di Canterini, invece, è che
all’interno della scuola ci furono gravi atti di resistenza –
smentiti quasi del tutto nella ricostruzione processuale – e che
gli uomini del VII Nuncleo non si siano abbandonati ad alcun
pestaggio indiscriminato, a differenza di altri colleghi (leggi
il racconto di Canterini in un brano del libro Diaz).
I
FANTOMATICI GOS.
Allora, chi sono i responsabili del violento pestaggio di oltre
sessanta persone su 93 arrestati? La domanda non è da poco, visto
che tra i 25 condannati – compresi alti dirigenti degli apparati
investigativi come Franco Gratteri, Gilberto Caldarozzi e Giovanni
Luperi, rimossi dai loro incarichi per l’interdizione dai pubblici
uffici – nessuno è mai stato accusato di specifici episodi di
violenza,
ma soltanto di aver affermato il falso
nei verbali o di non aver impedito le brutalità. Canterini riesuma
la tesi del “Gos“,
il fantomatico “Gruppo operativo speciale” della polizia che
negli anni dopo il G8 fu anche oggetto di interrogazioni
parlamentari, ma la cui esistenza non è mai stata confermata.
I Gos restano
ectoplasmi che Canterini racconta così: “I fantasmi del Gos, come
i mazzieri in abiti civili, diversi da noi per minimi dettagli
cromatici su caschi e cinturoni, avevano un tratto distintivo comune:
il volto irriconoscibile, coperto da foulard o mefisti. Solo per
questo l’hanno scampata”. Vale la pena ricordare che al processo
Diaz nessun poliziotto ha mai fornito elementi utili per identificare
colleghi resposabili di singoli atti di violenza. E che la tesi
riportata nelle sentenze ormai definitive è che ad abbandonarsi ai
pestaggi furono uomini di tutti i reparti, VII nucleo compreso.
Fournier ha avuto il merito di confermare in aula lo scenario delle
“colluttazioni unilaterali” ai danni degli occupanti, e per
questo in polizia si è guadagnato la fama di “Giuda”, denuncia
Canterini. Che riflette: “Mi chiedo, e chiedo a chi indossa la
divisa e legge queste pagine: peggio lui o i Ponzio Pilato che
nell’ombra hanno picchiato, tramato, depistato rovinando colleghi
che sapevano innocenti?”.
“SETE
DI VENDETTA”.
Detto questo, il libro Diaz
è l’ennesima – forse definitiva – conferma della ricostruzione
di quella tragica notte così come emerge dalle carte giudiziarie. In
estrema sintesi, l’operazione fu decisa dai vertici del Viminale –
leggi gli uomini del capo della polizia Gianni
De Gennaro
– soprattutto per esigenze
politico-mediatiche,
per riscattare la pessima figura nella gestione dell’ordine
pubblico nelle due giornate di manifestazioni del G8. Offrendo in
pasto a giornali e tv – debitamente avvertiti in anticipo dal
portavoce di De Gennaro Roberto
Sgalla
– nientemeno che il “covo” dei black bloc. Ma sotto la scuola
di via Battisti finirono per radunarsi circa 400 poliziotti di tutti
i reparti che, esasperati e stravolti da due giorni di scontri,
trasformarono la “perquisizione” in una spedizione
punitiva,
in una vendetta cieca contro i manifestanti. Così Canterini racconta
il raduno degli agenti sotto la Questura, la sera del 21 luglio: “Di
qua i miei uomini, di là la classica ‘macedonia di polizia’ che
per esperienza volevo sempre lontana dai teatri di ordine pubblico.
Facce stanche, affaticate, assetate
di sangue e di vendetta.
Gente in fibrillazione, completamente alla frutta per quei due giorni
d’inferno, che scalpitava. Un’accozzaglia di divise blu e di
dialetti incomprensibili. La preoccupazione maggiore era per quei
tipi in borghese, con la pettorina della polizia”.
ERRORI
O STRATEGIA?
Tutto chiaro, allora? Non proprio. Perché anche nel libro di
Canterini serpeggia l’eterno dubbio del G8 di Genova. Gli
errori che hanno accompagnato i momenti cruciali dell’ordine
pubblico – gli allarmi assurdi propalati dai servizi segreti alla
vigilia della manifestazioni, la carica dei carabinieri ai
Disobbedienti in via Tolemaide, l’operazione Diaz – sono stati
davvero tali?
O qualcuno, negli apparati dello Stato, ha giocato
sporco
perché la situazione degenerasse? All’origine della spedizione
alla Diaz c’era stata una situazione di tensione creatasi in via
Battisti al passaggio di un “pattuglione” della polizia nel tardo
pomeriggio del 21 luglio, quando il G8 e le sue manifestazioni erano
ormai finiti. Urla, insulti, il lancio di un paio di oggetti, nessun
ferito. Da qui la decisione di intervenire nel “covo”. Ma ecco il
cattivo pensiero che Canterini condivide con molti dei suoi nemici no
global: “A me quel passaggio con le sirene è sempre puz zato.
Perché andare a stuzzicare il cane che dor me? Perché provocarlo e
costringerlo a una reazio ne? Perché ricominciare daccapo quando
ormai a Genova non si vedeva più anima viva? Ragionavo per
sensazioni, e non trovavo risposte senza che altri interrogativi
iniziassero a ronzarmi dentro”.
Nessun commento:
Posta un commento