Le cariche a Roma contro le masse aquilane terremotate, se pur facenti parte di uno scenario che sta diventando abbastanza abituale, a Roma come altrove, non sono cariche come le altre.
Un anno fa a L'Aquila si celebrava il G8, i cosiddetti “grande della terra” sfilavano come star con le loro rispettive signore alla corte messa in piedi da Berlusconi, in una Aquila militarizzata con la maggiorparte dei terremotati tenuti lontano, trattati ora come sudditi infelici, ora come “polvere” da nascondere sotto il tappeto. Si celebrava un vertice non differente da quelli che si fanno nel Terzo Mondo. Tutti uniti nella linea di “non disturbare il manovratore”, di subire i divieti e prescrizioni, di accettare di essere parte come comparse di un colossal. Ignobili erano gli amministratori locali, dal Sindaco, che ora si mette alla testa della protesta, alla Pezzopane, nel fare da valletti e dando un inverecondo spettacolo di macchiette: gli aquilani “buoni e gentili” senza casa e senza futuro, le macerie lì a fare da panorama.
Noi siamo orgogliosi, come Proletari comunisti, insieme a pochi aquilani compagni e compagne, di aver sostenuto che quello spettacolo andava interrotto, costi quel che costi, che la voce sommersa dei morti, de L'Aquila militarizzata, dei giovani seppelliti nella casa dello studente, doveva essere un grido, non virtuale e pagliaccesco alla “Disobbediente maniera” che pure in quei giorni andava in voga.
Tutta L'Aquila era a Roma, venuta a protestare sia pure con gonfaloni,altro che le balle! Ogni aquilano che non è andato ci ha mandato i figli. E si sono ritrovati lì come in una gabbia; da quella gabbia hanno provato ad uscire, ma non si poteva, le direttive erano chiare: non si poteva andare sotto i Palazzi, non si poteva andare sotto casa Berlusconi (la vera sede del governo), “casa chiusa” di giorno e di notte.
Molti dei manifestanti a Roma era la prima volta che partecipavano ad una manifestazione e hanno dovuto vedere di persona in che Stato vivono.
Molti dei poliziotti messi lì a fare da “cane da guardia” dei ricchi e del potere erano abruzzesi. Tutto era preparato per gestire dei “poveri cristi”, trattandoli da “poveri cristi”, permettendo al massimo a rappresentanti istituzuiinali e contorni di essere ricevuti e blanditi dalle cosiddette “autorità dello Stato”.
Ma, come dire, l'aria vera che tirava era quello che traspare dalle dichiarazioni di Berlusconi: un fastidio, un'insofferenza, diciamo un odio. L'odio della cricca per essere stata presa con le mani nel sacco. Un finale di sceneggiata. C'era odio dietro le cariche, c'è arroganza, fascismo, c'è la solare distanza di un governo dittattoriale in formazione rispetto alla dignità di uomini, donne, masse che cominciano a vedere qual'è il vero stato delle cose.
Il lungo rosario di cifre e dati che parla di una ricostruzione mai avvenuta è lo sconfortante esito che dimostra che non c'è né la vecchia town né la new town, ma casette e alloggi di fortuna.
Le richieste portate dai terremotati, tramite la voce dei rappresentanti ufficiali erano e sono tutto sommato modeste: non riprendere a pagare le tasse su salari per un lavoro che non c'è, su casa che non ci sono, su servizi che non esistono e non essere dimenticati ora che non interessano più al satrapo reazionario che dirige il governo. Ma, ad appena un anno di distanza, le masse aquilane arrivate a Roma sono state trattate come i No Global di Genova, perfino in alcune scene, come quella della maglietta insanguinata del pizzaiolo che somiglia fin troppo alle teste rotte del 2001.
Le masse aquilane hanno dimostrato compattezza e combattività, la repressione ne ha alimentato la ribellione; in tanti hanno alzato forte la loro denuncia, sono diventate realmente protagonisti di una manifestazione che voleva vederli alla coda delle istituzioni locali. Hanno tenuto in scacco i Palazzi pubblici e privati, il centro di Roma.
La manifestazione di Roma non ha fatto mancare la solita apparizione degli esponenti dell'opposizione che pensavano di prendere applausi ma hanno avuto la loro buona razione di fischi. E, anche qui, quanta miseria! Un Bersani che dice: L'Aquila deve diventare il primo problema; o un “morto che cammina” come Pannella che pretende di parlare (il degrado di sistema sfocia nel degrado personale). Ma comunque gli è andata male. I telegiornali hanno cercato di coprire le cose, ma le immagini sembravano sfuggire alla censura televisiva e raggiungere le case degli italiani che hanno avuto modo di vedere.
Ora gli aquilani sono stati rimandati a L'Aquila con uno sconto sulle tasse, simile a quello di un'Agenzia di recupero crediti, per il governo il problema L'Aquila è un affare da Equitalia.
La violenza contro le masse terremotate esercitata dal governo e dallo Stato è molto più ampia delle manganellate, ora si pensa, per evitare situazioni come quella è di mercoledì 7 luglio, di come non fare arrivare a Roma le masse in lotta.
Ma il vento della protesta popolare, cominciato con le carriole che invadevano la “zona rossa” non può essere fermato.
Nessun commento:
Posta un commento