mercoledì 8 maggio 2024

pc 8 maggio - ORDINE DI ESPULSIONE DEI PALESTINESI RIFUGIATI A RAFAH - Dai Giovani palestinesi d’Italia

Questa mattina l’esercito sionista ha ordinato l’evacuazione delle aree orientali di Rafah, l’ultima città nel Sud della Striscia di Gaza, la città più sovraffollata al mondo in questo momento, designata come “zona sicura” finora nonostante i bombardamenti continui. Circa 1,5 milioni di civili palestinesi sono rifugiati lì. L’esercito ha avvertito i residenti tramite volantini lanciati da aerei militari di spostarsi verso altre zone di Gaza. Si stima che circa 100.000 persone vivano nella parte orientale di Rafah.

Nei volantini, l’esercito ha indicato che sta preparando un’operazione militare contro la Resistenza nella zona. Questo ordine di evacuazione potrebbe essere la fase preparatoria per l’invasione della città, finora l’unica non invasa via terra, pianificata da settimane dal governo israeliano ma posticipata più volte a causa della pressione internazionale, causata dalla paura occidentale di perdere l’Egitto, contrario all’invasione delle zone vicine ai suoi confini, come partner strategico.

Le organizzazioni internazionali e gli alleati dei sionisti, inclusi gli Stati Uniti, si sono costantemente opposti all’invasione di Rafah a causa delle minacce dell’Egitto di ritirarsi dagli accordi siglati con l’entità sionista.

IL MONDO E’ COMPLICE. NON PERDONEREMO MAI.

Facciamo nostro questo grido d’allarme pieno di rabbia.

Non abbiamo mai dato particolare credito alla trattativa, resi sospettosi dal furbo battage propagandistico che si era orchestrato intorno ad essa (“Tutto dipende da Hamas”, “Se davvero Hamas ha a cuore le sorti della popolazione di Gaza”, “L’ala politica di Hamas è pronta all’accordo, ma Sinwar si oppone”, etc.), salvo poi “scoprire” che per la banda di Netanyahu l’assalto a Rafah, secondo atto del genocidio, non è mai stato in discussione. In sostanza, le forze della Resistenza avrebbero dovuto riconsegnare quasi tutti i prigionieri ancora vivi nelle loro mani per avere “in cambio”, con certezza,

cosa? L’assalto a Rafah, solo posticipato di qualche decina di giorni. Forse posticipato, visto che lo stato di Israele non ha rispettato una sola delle sue promesse, certo com’è al 100% della sua impunità.

Avevamo, invece, preso sul serio – isolati, ma per niente intimiditi dal nostro isolamento – un altro scambio promesso da Washington&Co. a Tel Aviv : quello tra la fine delle tensioni tra Israele e Iran e il via libera alla distruzione di Rafah, magari non espresso in modo ufficiale – cosa importa? Ci permettiamo, perciò, di riprendere la conclusione politica, e operativa, della nostra analisi di qualche giorno fa:

“Per il momento Israele ha accettato di mettere il freno in direzione Teheran. Ma, in “compenso”, scalpita per portare a termine l’operazione-genocidio attaccando Rafah con lo stesso metodo sterminista con cui ha distrutto Gaza e Khan Younis, onde poter dimostrare di essere “invincibile” e di aver “sradicato Hamas”. Costi quel che costi.

“Se l’attacco a Rafah è stato finora posticipato, non si deve certo alle remore “umanitarie” di Washington o delle capitali europee, bensì al fatto che inevitabilmente, sferrandolo, il governo Netanyahu entrerà in attrito anche con l’Egitto, che teme come la peste lo sconfinamento in massa dei palestinesi nella zona contigua a Rafah – una zona fortemente depressa sul piano economico e rancorosa verso il potere centrale egiziano perché i progetti di infrastrutture sono bloccati e tutto il denaro disponibile va da tempo alle zone turistiche del sud. Con il risultato che è stata la zona di insediamento principale, se non unica, dell’Isis negli anni passati, e con l’arrivo di una massa di profughi palestinesi diverrebbe una polveriera. Ma la banda Netanyahu è pronta ad ogni avventura pur di imporre quella che sogna essere “la soluzione finale” della questione palestinese, sicura di poter trascinare dietro di sé, comunque vada, i suoi storici protettori e complici. E abbastanza sicura di non dover temere più di tanto l’azione di Teheran, se si terrà lontana dagli interessi vitali iraniani, tra i quali non c’è la liberazione della Palestina per mano della resistenza palestinese.

“Ancora una volta il solo elemento di freno alla prosecuzione del genocidio è dato dalla forza del movimento mondiale di solidarietà con la Palestina, che in questi ultimi giorni è stato particolarmente attivo nelle università statunitensi denunciando la totale copertura data da Biden&Co. al genocidio (Trump, da parte sua, ha già garantito che sarà ancor più determinato di Biden in questo) – una contestazione a cui hanno partecipato gruppi studenteschi e associazioni di ebrei anti-sionisti. Ed è sempre la forza, ancora limitata ma quanto mai reale, di questo movimento – unita a quella della resistenza palestinese – a non consentire alla Corte penale internazionale di insabbiare il procedimento aperto nei confronti degli assassini seriali che governano lo stato israeliano, e a spingerla addirittura a ventilare un possibile mandato di arresto per Netanyahu, Gallant e Halevi.

“Ecco perché l’imperativo politico del momento è raddoppiare gli sforzi per rilanciare ovunque la mobilitazione di piazza per impedire l’attacco a Rafah e imporre il cessate il fuoco definitivo nella striscia di Gaza.

“Abbiamo ascoltato attentamente l’ultimo messaggio (che circola in rete) del comandante delle Brigate al Qassam, Abu Ubaydah. Se si mette tra parentesi il suo linguaggio religioso, il suo contenuto politico è una rivendicazione integrale ed orgogliosa, giustamente orgogliosa, della forza che la resistenza palestinese ha mostrato e continua a mostrare nello scontro con l’esercito “nazista” e “sadico” degli “invasori” che con la sua furia di “vendetta cieca, indiscriminata, distruttiva” sta sfigurando definitivamente la sua immagine davanti al mondo, mostrando la sua totale estraneità alla terra che pretende di occupare per sempre. Nello stesso tempo, più che in altri precedenti messaggi, dopo un accenno al “tradimento” (non specificato, ma evidentemente di forze ritenute amiche), c’è un appello alle “masse, alle nazioni, alle forze della nostra grande nazione [un riferimento che può avere un doppio significato: arabo e “islamico” – n.] e ai popoli liberi del mondo ovunque essi siano”, che non è nuovo, ma ci pare formulato con particolare intensità. Forse l’ala combattente sul campo di Hamas si rende conto che le speranze che ha riposto sugli “stati amici” sono stritolate dalla realpolitik di questi regimi borghesi, disposti a sacrificare la causa palestinese ai loro interessi di potenza. Per cui, mentre il tradimento di lunga data dei regimi arabi si riconferma in pieno (in Egitto chi manifesta a sostegno dei palestinesi viene arrestato!), e così pure l’irriducibile ostilità alla causa palestinese di tutto l’establishment occidentale, ad impedire il genocidio a Rafah pianificato dai sionisti non resta che la forza delle masse oppresse del mondo arabo e “islamico” e di tutto il mondo.

“Non siamo in grado di valutare se sono autentiche oppure no quelle che la stampa mainstream presenta come le “ultime proposte” dell’ala politica di Hamas: cinque anni di tregua in cambio dello stato palestinese. Ma siamo certi di un fatto: oggi più che mai la causa della resistenza e della liberazione palestinese è la causa della resistenza e della liberazione degli oppressi e degli sfruttati di tutto il mondo – e il nemico da battere, per il popolo palestinese e per noi che ne sosteniamo da sempre la lotta di liberazione nazionale e sociale, è anzitutto e prima di tutto la “comunità” degli sfruttatori e degli oppressori sionisti e occidentali. Ma senza farsi alcuna illusione su quell’altra genia di profittatori che a Teheran, a Pechino, a Damasco, e forse anche a Mosca, storica alleata di Israele, conta di potersi ingrassare con il sacrificio e il sangue dei palestinesi. Basterà dire che prima Mosca (con Lavrov) e poi Pechino hanno convocato a rapporto Hamas e gli altri gruppi della resistenza per costringerli a riappacificarsi con i collaborazionisti con Israele dell’ANP: che grandi amici della causa palestinese!”

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