I ministri dei Paesi più industrializzati e inquinanti al mondo annunciano false promesse per fronteggiare la questione climatica.
Riflessioni e valutazioni conclusive di una settimana di mobilitazione, scritte a più mani tra chi ha partecipato al percorso di costruzione della contestazione.
È evidente che gli incontri dei Ministri del G7 sono soltanto sontuose messinscene mediatiche, in cui si finge che i “governi dei migliori” assumano impegni diversi da quelli reali, già presi altrove dai grandi burattinai della finanza e dell’industria. Nel contempo si fa propaganda per convincere le masse ad accettare scelte che convengono a quegli stessi soggetti. Per esempio il nostro Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica continua a spingere sull’energia atomica per uscire dal fossile, partendo dal presupposto – falso – che il nucleare di quarta generazione sia energia pulita e sicura. Non trova accordo (la Germania, in particolare, è scettica in quanto ha già abbandonato quella strada), e ciò nonostante Pichetto Fratin continua a ripetere il mantra del nucleare pulito, come da copione, non avendo certamente le competenze tecniche (è un commercialista) per valutare a fondo i numerosi e controversi aspetti di un argomento così complesso.
A conclusione dei lavori è stato annunciato un accordo politico per dire addio al carbone entro il 2035. Secondo le dichiarazioni, l’Italia dovrebbe fare da apripista e spegnere tutte le centrali a carbone entro il 2025, tranne quella di Fiume Santo in Sardegna, che resterebbe attiva fino al 2027. A ciò si aggiunge l’ambizione di uno stop all’inquinamento da plastica entro il 2040. È indicativo che manchi un accordo tecnico, ossia che non si abbiano piani sul come fare, ma le promesse, già in drammatico ritardo, si sprecano.
Questo ci fa capire che la classe politica non ha alcuna competenza in merito a questi temi: nel
momento in cui tira in ballo la tecnologia lo fa solo per supportare obiettivi campati in aria con argomentazioni che dovrebbero dare credibilità, ma ignorando completamente il punto nodale: non è possibile fermare l’inquinamento e il riscaldamento globale se non si fa un’inversione di marcia radicale sul funzionamento del sistema di produzione e di consumo.La stessa Confindustria, durante l’accoglienza dei Ministri domenica sera, ha praticamente smentito prima ancora che iniziassero i lavori la fattibilità di questi obiettivi. Infatti, durante il confronto tra le “Confindustrie” e i governi del G7, Emma Marcegaglia ha detto: “L’obiettivo della neutralità climatica è tremendamente ambizioso: entro il 2030 la capacità mondiale di energia rinnovabile deve triplicare e l’efficienza energetica deve raddoppiare. Abbiamo bisogno di attivare contemporaneamente molteplici fattori, e nessuno può essere attivato da[l] settore privato o dal pubblico da soli”.
In realtà l’obiettivo della neutralità climatica non sta venendo perseguito seriamente: lo dimostrano da un lato l’enorme impulso dato all’industria bellica (che certamente è inconciliabile con sostenibilità e fonti rinnovabili), dall’altro l’utilizzo spinto di gas liquefatto made in USA ottenuto con fracking, liquefazione, trasporto, rigassificazione (un processo devastante in primo luogo per i territori e le popolazioni in cui il gas è estratto). Non solo, ma anche il cosiddetto “Corridoio sud dell’idrogeno” che dovrebbe, partendo dall’Algeria, arrivare fino alla Baviera attraversando Tunisia e Italia, in realtà trasporterà tre volte più metano che idrogeno. Per realizzare questi magheggi si dirottano quatti quatti i fondi del PNRR per la Rivoluzione Verde e la Transizione Ecologica, con ben poca trasparenza (a seguito del piano RePowerEu presentato a maggio 2022, c’è stato un negoziato con Bruxelles approvato a metà novembre che quasi sei mesi dopo non è ancora pubblico e non è stato reso compiutamente noto neanche al Parlamento italiano).
D’altro canto, quando si arriva a parlare di energie rinnovabili, innanzitutto a livello di UE si fanno finire nel calderone “rinnovabile” fonti energetiche equiparabili alle fossili per emissioni e nocività, come i rifiuti o le biomasse legnose. Ma anche quando si tratta di fonti energetiche davvero rinnovabili, vi si applica un’ottica economica e non ecologica, prevedendo impianti su grande scala da realizzare nel modo più facile, e senza tener conto dell’impatto: campi fotovoltaici king-size che si mangiano vastissime aree agricole o incolte, pale eoliche enormi, auto elettriche nello stesso numero di quelle con il motore endotermico. Questa formula non può funzionare, in quanto per effettuare una reale transizione occorrerebbe non solo abbandonare l’uso dell’energia fossile, ma anche e prima di tutto rimodulare gli standard produttivi e di consumo, ossia trasformare radicalmente il sistema di sviluppo e di organizzazione produttiva e sociale. Al contrario si mira a potenziare ulteriormente il settore privato, con la creazione di start-up persino per il nucleare (come NewCleo).
Gli attori che recitano sul palco politico sotto la regia delle lobbies pronunciano e scrivono parole come sostenibilità, lotta al cambiamento climatico, transizione energetica giusta e inclusiva, cooperazione con i Paesi vulnerabili come l’Africa (parole che si leggono per esempio nel Piano Mattei, che in realtà prevede una cabina di regia che esclude totalmente sia i governi che la società civile dei Paesi africani). Sono tutte parole depredate, così come le risorse, alle lotte territoriali ed ecologiste degli ultimi anni. Vengono utilizzate senza vergogna per annunciare un programma che va in tutt’altra direzione, sistematizzando il neocolonialismo odierno nello sfruttamento delle risorse e nella loro rapina nei territori del Sud del mondo come forma di garanzia per la sicurezza energetica nostrana. Se il Piano Mattei è l’emblema di questa modalità, l’estrattivismo delle terre rare per permettere la transizione green europea è un altro esempio lampante.
Secondo il nostro Ministro il Piano Mattei sarebbe un partenariato non predatorio che favorirà l’accesso all’energia pulita che è negato al 43% degli abitanti del continente africano. In realtà il Piano spudoratamente intitolato a Mattei (partigiano e patriota vero, prima che imprenditore, che puntava a rendere paritari i profitti per i Paesi proprietari delle risorse e per quelli occidentali che andavano ad estrarle) altro non significa se non costruzione di flussi di risorse materiali africane, in particolare gas, verso l’Italia, in cambio di qualche compensazione per mantenere la dipendenza del continente africano dall’Europa. Nel contempo si chiede ai Paesi africani coinvolti di bloccare i flussi di migranti. Nulla di veramente egualitario, dunque: tutto paternalistico nel migliore dei casi, suprematista nel peggiore. In sostanza oscenamente coloniale, come sempre.
In una settimana di mobilitazioni composite ed eterogenee nessuno ha dato ascolto alle istanze di chi ha manifestato. I Ministri si sono rinchiusi prima nella Palazzina di Caccia di Stupinigi e poi alla Reggia di Venaria, alloggiando in alcuni hotel nel centro blindato di Torino, all’interno di una zona rossa (annunciata come non effettiva, ma che di fatto ha militarizzato un pezzo di città impedendovi la libera circolazione).
Non esiste alcuna possibilità di confronto o di dialogo con istituzioni fasulle, totalmente avulse dalla quotidianità e dalla realtà delle persone che vivono il cambiamento climatico, l’impoverimento dei territori, la depredazione delle risorse, la difficoltà di pagare le bollette per gli aumenti sul gas dovuti alla speculazione energetica. E come al solito le manifestazioni, vive e reali, di chi pone il problema di non voler essere complici di un genocidio come quello portato avanti da Israele, sono state denigrate e delegittimate e i manifestanti sono stati oggetto dei soliti stratagemmi di rappresentarli in blocco come violenti, oppure di dividerli in pacifici e violenti, per convincere gli indifferenti, gli ignavi, i pavidi, i benpensanti, a tenersi alla larga dalle piazze o a desistere dal dissenso. Azioni come il rogo di qualche fotografia, l’imbrattamento di qualche statua, l’occupazione di un tratto di autostrada sono state aspramente stigmatizzate, distogliendo i riflettori da crimini reali che si chiamano stragi, genocidi, ecocidi: quelli che rendono manifestare un dovere, un obbligo, e prima ancora un insopprimibile bisogno di umanità.
In questa settimana si è dimostrata la capacità di marciare insieme, ognuno e ognuna nelle proprie differenze e con le proprie peculiarità, ognuno e ognuna portando le proprie capacità, le proprie pratiche e le proprie sensibilità. La cosa certa è che nella variegata forma che hanno preso queste mobilitazioni c’è moltissima ricchezza, competenza, profondità di sguardo e di comprensione di quali sono le necessità e le esigenze dei territori e di chi li abita, nonché lucidità nell’individuare chi ha la responsabilità di un mondo che brucia. Si sono unite lotte antiche come quella della Val Bormida a lotte quasi neonate come quelle dei comitati ambientalisti torinesi, lotte del nord Italia a quelle del sud Italia (Gsim ! per esempio), lotte d’oltreoceano dal territorio Mapuche e dall’Argentina a quelle nostrane. Si è riconosciuta la matrice unica di genocidi antichi e contemporanei in nome dell’estrazione di risorse: si è bruciata la bandiera mortifera degli Stati Uniti mentre abbracciavamo la lotta della della tribù Comecrudo e dei cittadini statunitensi per l’integrità dei loro territori e delle loro vite contro l’espansione del fossile portata avanti grazie a capitale italiano – uomini e donne venuti a gridare insieme a noi per la libertà della Palestina.
Ci auguriamo che andando avanti insieme si possa contare di più, si possa aprire uno spazio per portare le numerose proposte che stanno nella critica a una transizione ecologica ed energetica dettata dalla sete di profitto, causa di devastazione ambientale, che concorre a un governo che fa della guerra la sua arma per imporre le proprie decisioni.
Come è bene espresso sul sito di EndFossil.Finance, possiamo permetterci ciò che possiamo immaginare. Il diluvio di denaro per la guerra in Ucraina e quello dei fondi del PNRR & C. (complessivamente all’Italia arriveranno 400 miliardi di euro) dimostrano che non è affatto vero che “non ci sono soldi per…”. I soldi ci sono, e in abbondanza illimitata: oggi la finanza li crea a suo piacimento, ma stabilisce per cosa stanziarli. In tal modo priva le popolazioni della possibilità di immaginare, e quindi di permettersi, cose diverse da quelle decise da quegli orrifici sette, o piuttosto dai loro mandanti. Tocca quindi a noi scatenare la nostra immaginazione, liberarla dai paraocchi che ci hanno imposto. Tocca a noi esigere ed esercitare il diritto di immaginare, e poi di tradurre in realtà, tante altre cose buone e vitali, che possiamo permetterci di pagare con le infinite risorse che pochissimi vogliono destinare a sofferenza, distruzione e morte per gli esseri umani e non umani.
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