domenica 3 ottobre 2021

Lotta delle donne - USA/AMERICA LATINA GRANDI MANIFESTAZIONI DELLE DONNE IN DIFESA DEL DIRITTO D'ABORTO

Oggi nel "ventre della bestia" imperialista Usa 

"Giù le mani dai nostri corpi!"

"Giù le mani dai nostri corpi!". Sono oltre 650 le manifestazioni in tutti e 50 gli Stati, a difesa dell'aborto dopo l'entrata in vigore in Texas di una nuova normativa, la più restrittiva mai avuta negli Usa; la più grande si è svolta a Washington .
Tra due giorni la Corte Suprema, a maggioranza conservatrice, si riunirà e potrebbe decidere di approvare la legge del texas, la più restrittiva contro l'aborto, che vieta l'aborto, "appena è possibile sentire il battito del feto".
«È una lotta contro i giudici della Corte Suprema, i legislatori statali e i senatori che non sono dalla nostra parte o non agiscono con l'urgenza che questo momento richiede», ha spiegato Rachel O'Leary Carmona, organizzatrice della marcia. Il timore è che la maggioranza della Corte Suprema, composta da 6 giudici conservatori su nove, tre dei quali nominati da Trump, e che si riuniranno domani per la sessione di ottobre, possa mettere in pericolo la storica sentenza Roe vs Wade, che nel 1973 legalizzò l'aborto negli Stati Uniti e ne tutela tuttora il diritto. Il tema dell'interruzione di gravidanza è diventato caldissimo negli States dopo la legge entrata in vigore il primo settembre in Texas, la più restrittiva dell'intero Paese, che vieta l'aborto oltre la sesta settimana, anche a chi è rimasta vittima di stupro o incesto, e consente di citare in giudizio cittadini che aiutano ad abortire, con un passaggio in auto o taxi oppure offrendo sostegno economico.
E il primo dicembre la Corte si pronuncerà anche sul diritto di abortire in Mississippi. 
I numeri e le posizioni della maggioranza dei suoi giudici rispecchiano le posizioni anti-abortiste di Trump, che nel gennaio 2020 fu il primo presidente a partecipare a una «Marcia per la vita», manifestazione anti-aborto, dopo aver ammesso di essere pro-life e favorevole all'interruzione di gravidanza solo in caso di incesto o violenza sessuale.

In America Latina dovunque le donne sono in lotta
"Uno Stato che non prevede l'aborto è uno stato femminicida"
Dal Cile, al Messico, dal Perù fino alla Colombia le donne dell'America Latina non conoscono confini. Sembrano un unico esercito coloratissimo che si fa strada per le vie e le piazze della città chiedendo a gran voce una sola cosa: libertà, libertà di autodeterminazione sul proprio corpo. Il 28 settembre, in occasione della giornata internazionale dell’aborto sicuro, ci sono state proteste anche piuttosto accese. L'aborto è ancora illegale in diversi Paesi, ma è chiaro dalle voci delle donne scese in piazze che loro non ci stanno più: vogliono che lo Stato garantisca la possibilità di interrompere una gravidanza senza rischiare di finire in carcere o perdere la vita con un'operazione clandestina.


Sono sedici le donne che, secondo il gruppo pro choice Agrupación Ciudadana sono attualmente detenute a El Salvador per aver interrotto una gravidanza. Nel Paese l'aborto è illegale e punito come omicidio volontario, ma negli anni decine di donne sono state imprigionate anche quando hanno affermato di aver subito aborti spontanei o partorito dei bambini nati morti. "Mentre era in lutto per la straziante perdita della sua gravidanza, Sara avrebbe dovuto essere con la sua famiglia", ha detto a Reuters l'attivista femminista Morena Herrera parlando di Sara Rogel che a giugno è stata finalmente rilasciata, "Invece è stata ingiustamente imprigionata per nove anni".

Oltre a El Salvador, l'aborto è vietato anche in Honduras, Nicaragua, Repubblica Dominicana e Haiti, ma in generale la maggior parte dei Paesi dell'America Latina lo consente solo per motivi medici o in caso di stupro. Qualcosa, però, si sta muovendo soprattutto grazie al costante impegno delle donne e delle organizzazioni femministe che si trovano a lottare contro governi conservatori e società di stampo fortemente cattolico. L'anno scorso abbiamo assistito alla vittoria delle donne argentine che, nonostante la forte opposizione della Chiesa, sono riuscite a far approvare un disegno di legge che legalizza l’interruzione volontaria di gravidanza e qualche segnale positivo viene anche dal Messico e dal Cile.

In Messico l’aborto durante le prime 12 settimane di gravidanza è stato depenalizzato in solo quattro dei 32 Stati del Paese ma all’inizio di settembre, la Corte Suprema ha stabilito con una decisione storica che le donne non dovrebbero più essere punite per aver interrotto una gravidanza. Questo si spera possa aprire la strada all'introduzione a livello nazionale di una legge che consenta l'IVG legale e tuteli le donne dagli aborti clandestini. Lo stesso vale per il Cile: la Camera bassa del Congresso ha approvato il 28 settembre un disegno di legge per depenalizzare l'aborto entro le 14 settimane di gravidanza, ora manca l'approvazione del Senato, ma sarebbe un altro passo importante per i diritti femminili in America Latina.

In ogni caso, proprio perché si sta forse aprendo qualche spiraglio, non è il momento di smettere di lottare. E infatti in tutti questi Paesi ci sono state manifestazioni, cortei e, in certi casi, anche scontri con la polizia. I cartelli portati dalle attiviste dicono tutti le stesse cose: "Uno Stato che non prevede l'aborto è uno stato femminicida", "Vogliamo decidere del nostro corpo", "Decidere è un mio diritto", "Mai più aborti clandestini". È un urlo di migliaia di voci che si fondono in un'unica richiesta e stavolta è davvero impossibile far finta di non sentirlo.

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