27 settembre: a Bologna il sindacalismo di classe volta pagina (Comunicato Si-Cobas)
Circa 500 partecipanti, più di 60 interventi in sala, decine di richieste d’intervento che per ragioni di tempo la presidenza non ha potuto soddisfare, una composizione della platea che ha attraversato la quasi interezza delle categorie del lavoro dipendente, dei movimenti di lotta, delle sigle del sindacalismo non asservito ai padroni.
Questa sintetica e sommaria fotografia dell’assemblea di domenica 27 al Dumbo di Bologna restituisce la completa riuscita dell’iniziativa, fuori da ogni logica autocelebrativa.
Al di là dei numeri, le cui dimensioni sono andate ben oltre ogni aspettativa (tanto più alla luce del perdurare dell’emergenza pandemica), l’elemento a nostro avviso più interessante dell’assemblea è lo spirito che ha caratterizzato la gran parte degli interventi e il clima che si percepiva in sala, caratterizzato da una diffusa e convinta domanda di unità da parte dei lavoratori e dei delegati. Un’unità di classe che, a differenza di tanti “esperimenti” e cartelli a cui più volte abbiamo assistito nella galassia del sindacalismo di base, non è il frutto di alchimie studiate a tavolino dagli apparati di questa o quella sigla, né tanto meno il riflesso di un'”ansia da prestazione” in vista di questo o quell’appuntamento di piazza o di sciopero.
Quel che è emerso dagli interventi dei facchini della logistica, dei metalmeccanici, dei precari della scuola, dei disoccupati, dei lavoratori della manutenzione stradale, delle campagne, delle cooperative
sociali, del pubblico impiego, dei trasporti e di tutte le sigle sindacali e non presenti all’assemblea (SI Cobas, opposizione CGIL, Sgb, Slai per il sindacato di classe, singoli delegati delegati di Cub, Usb, Sial Cobas, Campagne in lotta, Friday for Future, movimenti per la casa, disoccupati / novembre, ecc.) è la necessità urgente di riappropriarsi di momenti e di strumenti reali di confronto e condivisione delle esperienze di lotta, ma anche degli ostacoli e delle criticità con cui bisogna fare i conti nella costruzione dell’iniziativa sindacale nei rispettivi luoghi di lavoro.L’esigenza posta dalla gran parte dei lavoratori combattivi non è quella di un’astratta e politicista “unità per l’unità”, quanto al contrario di avviare un percorso di convergenza su basi solide, su parole d’ordine chiare e sull’assunto di base che la crisi in corso non consente alcuna scorciatoia che prescinda dalla lotta e dal conflitto, unico strumento nelle mani dei lavoratori per difendere le proprie condizioni ed essere all’altezza dello scontro imposto dal nemico di classe.
Pur nella molteplicità di temi sollevati in assemblea (ruolo dell’UE e dei governi nazionali e locali, rinnovi contrattuali, precarietà dilagante, attacco alla scuola, alla sanità e ai servizi sociali, schiavitù del caporalato e del sistema delle cooperative, sicurezza sul lavoro, licenziamenti politici, repressione e misure antisciopero, condizione delle donne lavoratrici e dei proletari immigrati), la gran parte degli interventi ha ricondotto le singole specificità alla necessità di dar vita a una piattaforma di lotta attorno ad alcune rivendicazioni unificanti (su tutte la riduzione dell’orario di lavoro e la patrimoniale sulle grandi ricchezze) e di rilanciare un ampio fronte di lotta in chiave anticapitalista.
Come ha magistralmente sintetizzato in un passaggio dell’intervento del Comitato per la difesa della salute sui luoghi di lavoro di Sesto San Giovanni: “compito dei lavoratori combattivi non è quello di limitarsi ad opporsi e/o a denunciare gli effetti del capitalismo, bensì di lavorare quotidianamente per il suo superamento ed abbattimento”. Come evidenziato più volte nell’introduzione di un precario della scuola di Milano, negli interventi dei facchini della logistica e dei metalmeccanici (su tutti l’appassionato intervento del delegato della Gkn di Firenze), nella fase attuale di frammentazione estrema delle avanguardie di classe sul piano sindacale e di assenza di una reale e credibile rappresentanza politica degli interessi degli sfruttati, tracciare nette linee di separazione e discettare su presunte incompatibilità tra il piano d’azione politica e piano d’azione sindacale, è nella migliore delle ipotesi un’inutile e stucchevole astrazione, nella peggiore un facile escamotage per rifuggire dai compiti della fase odierna e celare pratiche di adattamento subalterno all’opportunismo che alberga da decenni ai vertici della quasi totalità delle organizzazioni sindacali.
Di fronte alla pluridecennale capitolazione del sindacalismo confederale agli interessi della media e grande borghesia, e ai confini sempre più angusti di un sindacalismo di base “classico” sempre più incapace di fungere da riferimento credibile non solo per l’insieme dei lavoratori ma perfino per le stesse avanguardie di lotta, avremmo potuto utilizzare strumentalmente l’assemblea del 27 per lanciare l’ennesimo “sciopero generale” autunnale o per dare vita all’ennesimo intergruppo. Abbiamo invece voluto, con forza e determinazione, che questo percorso partisse da un rifiuto chiaro ed esplicito di questi inutili rituali, rimettendo la logica “con i piedi per terra”, anteponendo alle singole scadenze la necessità di un confronto reale sullo stato dell’arte delle lotte e sulle prospettive del movimento di classe.
I nodi da sciogliere sono ancora tanti e sarebbe illusorio pensare che basti un’assemblea ben riuscita per aprire davvero una stagione nuova per la storia del sindacalismo di classe e combattivo nel nostro paese. Ma possiamo affermare oltre ogni ragionevole dubbio che l’assemblea del 27 settembre ha aperto ufficialmente un percorso e ha messo in luce una esigenza reale e diffusa di partecipazione e di protagonismo che chiunque sia interessato al rilancio di un forte movimento di classe farà molta fatica a snobbare o a derubricare come un fatto residuale e marginale.
Le prossime settimane e i prossimi mesi saranno tutt’altro che facili. Il governo Conte e la UE puntano ad anestetizzare gli effetti della crisi con misure redistributive di piccolo cabotaggio, ma utili a preservare il clima di pace sociale: da questo punto di vista, la scarsa partecipazione di piazza alle mobilitazioni di questa settimana nel settore della scuola dovrebbe imporre una profonda riflessione al riguardo. D’altro canto, sullo sfondo dell’emergenza sanitaria inizia sempre più a materializzarsi la spinta della piccola e media borghesia verso il nazionalismo “sovranista” e il veleno del razzismo.
La composizione dell’assemblea, composta per quasi metà da lavoratori immigrati, è per noi una preziosa “carta d’identità” e al tempo stesso una chiara dichiarazione d’intenti anti-sovranista e internazionalista, così come lo sono le parole di un disoccupato napoletano del movimento 7 novembre, che ha dedicato gran parte del suo intervento non alla sua vertenza, bensì alla necessità di saldare le lotte dei senza lavoro del Sud con quelle dei braccianti immigrati delle campagne foggiane e calabresi. Come insegnano le lotte della logistica e dei lavoratori del comparto alimentare di Modena, e come sottolineato su tutti dall’intervento di un nostro compagno di Piacenza, l’unica linea di discrimine tra i fatti e le vuote enunciazioni è la lotta, e il principale valore aggiunto che un sindacato di classe può offrire alle lotte è quello di costruire solide reti di solidarietà a sostegno delle lotte.
È per questo che il prossimo 3 ottobre sarà fondamentale che i proletari di ogni categoria e sigla sindacale scendano in piazza e contribuiscano alla riuscita della manifestazione contro il maxi-processo messo in piedi all’indomani degli scioperi in Italpizza e per l’abrogazione di quei decreti sicurezza di cui si parla tanto, ma che finora il governo non ha minimamente osato toccare. Ed è per questo che, pur rifuggendo da ogni “scadenzario”, è importante che l’assemblea di Bologna abbia approvato all’unanimità la proposta di indire una giornata di mobilitazione nazionale per il prossimo 24 ottobre.
Come spesso accade in queste occasioni, il leit-motiv è “se son rose, fioriranno”. Quel che è certo è che, da questo punto di vista, l’assemblea di Bologna ha iniziato a seminare e concimare su un terreno finora arido, ma che la crisi capitalistica tende nuovamente a movimentare e a rassodare. I frutti di questa semina non dipendono unicamente da noi, ma il lavoro in questa direzione è una scelta consapevole e soggettiva che per noi misura il discrimine tra chi è dalla nostra parte e chi, al contrario, preferisce restare a guardare, magari scommettendo sul fallimento di questo percorso come alibi per giustificare il proprio e i propri calcoli d’apparato.
Come abbiamo dimostrato in innumerevoli occasioni, se la strada che si intende intraprendere è quella della lotta e non quella del “minimo sforzo”, quella dell’anticapitalismo e non dell’opportunismo, noi ci siamo e ci saremo.
SI Cobas nazionale
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