venerdì 12 giugno 2020

pc 12 giugno - Brasile, al fascio/golpismo di Bolsonaro non c'è mai fine

Brasile, l'estrema destra preme su Bolsonaro per una svolta autoritaria


Brasile, l'estrema destra preme su Bolsonaro per una svolta autoritaria
(reuters)
Lo ha fatto Alberto Fujimori in Perù nel 1992. Potrebbe farlo anche Bolsonaro.
Una pandemia fuori controllo, quattro inchieste che accerchiano due figli del presidente Jair Bolsonaro, uno scontro infinito tra potere centrale e governatori, frasi roboanti e minacciose da parte di alcuni ministri, la fuga degli investitori stranieri, le previsioni catastrofiche sull'economia.

Oltre ad essere il cuore del Covid 19 in questo momento, il Brasile rischia di trovarsi al centro della classica tempesta perfetta che spingerebbe ad accettare come il male minore un intervento dei militari. Persino il New York Times, con un lungo articolo, elenca la serie di fattori che punteggiano questo filo nero di errori, scelte, atteggiamenti e reazioni.

L’articolo ha fatto rumore e la risposta ovviamente campeggia sulle prime pagine dei quotidiani brasiliani. Non tanto per una difesa d’ufficio ma perché le cose inanellate sono la sintesi temporale di fatti noti che messi insieme portano a una conclusione che molti alti esponenti del governo Bolsonaro hanno espresso in più occasioni: il rischio di un intervento autoritario che rimetta ordine nel caos del Paese. DI golpe, ovviamente, non parla nessuno. Ufficialmente viene negato e spesso respinto dagli stessi militari che adesso occupano dieci delle 22 poltrone dell’Esecutivo. Tuttavia, più volte figure eminenti, come il generale Augusto Heleno, il vero braccio destro del presidente, consigliere per la Sicurezza, si sono esposti con avvertenze minacciose poi smentite. Resta famosa la sua uscita nel maggio scorso, quando la Corte Suprema ha disposto l’apertura di un’inchiesta, la quarta tra quelle avviate, contro la massa di fake news che hanno scandito la campagna elettorale del 2018 puntando il dito contro il cosiddetto “Ufficio dell’odio”, la potente macchina della propaganda messa in piedi dal figlio di Bolsonaro, Carlos. Heleno parlò di “conseguenze imprevedibili per la stabilità nazionale”, subito sostenuto dal ministro della Difesa Fernando Azevedo e Silva, altro generale, evocando un colpo di Stato che si affrettò, pochi giorni dopo, a rettificare “perché frainteso”.

L’eterna campagna di Jair Messias Bolsonaro è diventata ossessiva con l’arrivo del Covid 19. Prima lo scontro con i governatori di San Paolo e Rio de Janeiro che puntavano sul lockdown mentre il presidente banalizzava il virus e le misure di sicurezza imponendo l’apertura e il ritorno al lavoro, con i raduni dei fan ogni domenica davanti al palazzo dell’Alvorada a Brasilia, senza mascherina, abbracciando e baciando grandi e piccoli, mangiando hot dog comprati alle bancarelle per strada, fino all’ingresso scenografico nella piazza in sella a un cavallo. Poi la sostituzione di due ministri della Salute, medici, poco allineati e sostituiti alla fine con un generale della logistica, abituato a obbedire, tanto da oscurare i dati ufficiali del Covid 19 mentre altri militari venivano piazzati al vertice del Funai e dell’Ibama, le due strutture dello Stato che si occupano di indigeni e di Amazzonia.

Il New York Times ricorda che il governo ha nominato quasi 2.900 membri dell’esercito in servizio attivo per incarichi amministrativi, un gesto di considerazione già espresso con la legge di riforma delle pensioni che escludeva dai tagli proprio i militari.

A premere per un intervento è soprattutto la destra e la destra estrema, fagocitata dalle uscite dell’altro figlio di Bolsonaro, Eduardo, il quale recentemente aveva confidato a un noto blogger brasiliano cosa pensava sul tema del momento: il rischio dell’avvento dei militari. “Non è più un’opinione sul se”, aveva detto, “ma su quando ciò accadrà”. Per poi aggiungere che era “incombente una rottura” nel sistema democratico brasiliano.
 Nel Paese c’è stanchezza e molta disillusione. Anche tra chi ha votato per l’uomo venuto dal nulla per fare di nuovo grande il Brasile. Il Covid 19 ha accelerato un declino già marcato. Nella profonda spaccatura che si è venuta a creare agiscono i gruppi di ispirazione nazista. Da 40 siti apparsi nel 2018 la rete adesso è affogata da 240 portali su cui campeggiano simboli e parole d’ordine hitleriane. Alcune bandiere sventolavano alle ultime manifestazioni di San Paolo contro il lockdown. La Comunità ebraica  brasiliana ha protestato per il loro uso strumentale diventato ormai ricorrente.

I militari restano alla finestra. Preoccupati per la tempesta perfetta che si annuncia all’orizzonte. Si propongono come unici e veri garanti della democrazia sancita dalla Costituzione nata proprio con la fine della dittatura. Fernando Henrique Cardoso, l’ex presidente esiliato ai tempi del colpo di Stato dei generali, resta convinto che il rischio di una replica per il momento non esista. “Il presidente stesso”, osserva, “può cercare poteri straordinari e può prenderli”. Nel nuovo secolo i golpe non si fanno più con i carri armati. Di fronte a un gesto forte della Giustizia, come la ventilata ipotesi di sequestrare il cellulare del presidente per le indagini avviate, Jair potrebbe insorgere e procedere a dissolvere il Congresso e il Supremo. Lo ha fatto Alberto Fujimori in Perù nel 1992. Potrebbe farlo anche Bolsonaro.

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