Collectif Rouge
Internationaliste (pour la défense des prisonniers politiques) - Comité
d’action et de soutien aux luttes du peuple marocain – Francia - traduzione non ufficiale
Viva la
resistenza dei quartieri popolari
Prima di tutto, ringraziamo i compagni
che ci ha invitato e salutiamo la loro iniziativa di organizzare questo
incontro nel contesto molto difficile che conosciamo.
Oggi commemoriamo il 10 ° anniversario
delle rivolte nelle banlieues.
Che cosa è accaduto esattamente in
Francia, in questi quartieri, tra il 27 ottobre e il 17 novembre 2005? “Disordini”,
“moti sociali”, “violenza urbana”, secondo le diverse definizioni, ma quel che
è chiaro è che ebbere una dimensione eccezionale:
- primo, sul piano materiale, con
10.000 auto e 30.000 cassoni della spazzatura dati alle fiamme, centinaia di
edifici pubblici (scuole, municipi, stazioni di polizia, palestre, tesorerie) danneggiati,
140 autobus RATP colpiti da pietre, alcuni bruciati – nel complesso danni
stimati dalle assicurazioni per 200 milioni di euro.
Un dimensione eccezionale anche:
- sul piano giudiziario, quello della
giustizia di classe, con 5200 ragazzi arrestato e circa 600 incarcerati (480
maggiorenni e 108 minorenni), con pene detentive inflitte per direttissima.
E inoltre:
- Mai prima i quartieri popolari di Francia
avevano conosciuto tumulti di tale durata ed estensione geografica: e cioè per tre
settimane, e in 280 comuni.
- Mai, dopo gli anni '80, lo Stato
aveva mobilitato tanti mezzi repressivi: 11500 poliziotti sostenuti da sette
elicotteri e con la presenza nei quartieri dell'esercito.
- Infine, il panico era tale che lo
Stato ha imposto il coprifuoco e l’8 novembre 2005 ha decretato lo stato di emergenza
su tutto il territorio nazionale, applicando la legge del 3 aprile 1955 promulgata
ai tempo di guerra d'Algeria (e fino ad allora utilizzata solo una volta, nel
1985 in Nuova Caledonia).
Fin dai primi tumulti urbani del 1990 nelle
cinture di Parigi e Lione, lo scenario è sempre lo stesso: l’innesco è dato da
un assassinio (nel 2005 quella dei due adolescenti Bouna Traore e Zyed Benna),
poi evolve in 3 fasi: prima a livello locale - nel 2005, a Clichy-sous-Bois;
poi si so estende gradualmente a tutta la regione di Parigi (Aulnay Bondy,
France Tremblay) - tutto in soli 5 giorni; e, infine, dal 3 Novembre 2005, divampa
nei quartieri popolari del resto della Francia: a Lille, Tolosa, Strasburgo,
Rennes, Rouen, Bordeaux, tra le altre.
Come sempre, attraverso il suo arsenale
propaganda mediatica, il governo francese diffonde la tesi dell'organizzazione
criminale. Ma queste rivolte, in realtà, avevano più la forma di un’insurrezione
urbana guidata da giovani mossi da un forte sentimento di esclusione dalla
società fondato sulla realtà della loro condizione sociale che si declina come:
abbandono scolastico, disoccupazione, di discriminazione di tutti i tipi,
ingiustizia, umiliazione e sempre un’effettiva mancanza di futuro. Ricordiamo
qui solo che a oggi nelle 751 “zone urbane sensibili” (ZUS), vivono 4,7 milioni
di persone, ossia l'8% della popolazione francese, che subisce un evidente
processo di precarizzazione ed esclusione: disoccupazione 2-3 volte superiore a
quella di altri distretti; prevalenza di contratti precari o part-time con
bassi salari; tasso di disoccupazione del 30-40% per la popolazione tra 16-25
anni e un impoverimento generale della popolazione di questi quartieri
(indebitamento, abitazioni malsane…).
Questi scontri - come avviene oggi -
sono stati anche un’occasione per l'avversario per:
- diffondere un pensiero unico basato
sulla denuncia dell’atteggiamento popolare anti-istituzionale; che in realtà
tende a nascondere le ragioni socio-economiche all’origine di queste rivolte;
una teoria del complotto.
E inoltre per:
- dare alla rivolta un’unica risposta:
poliziesca giudiziaria e autoritaria, una dura repressione sostenuta da leggi
di emergenza e da una retorica marziale contro le presunte classi pericolose; in
molti hanno chiesto leggi anti-rivolta, pene più pesanti, ampliamento dei
poteri della polizia, estensione dell'uso di armi, organizzazione di milizie
sotto coperte dal titolo di “comitati cittadini”, senza dimenticare la
medicalizzazione del trattamento della devianza.
A fronte di queste rivolte, si è
sentito ovunque proclamare la necessità imperativa di una sedicente coesione nazionale,
un’unità nazionale per fare blocco di fronte alla gravità della situazione.
Infine, come parte il recupero della
situazione è stata anche l'occasione per una vasta fascistizzazione di tutta la
classe politica, favorita dalle smanie securitarie di una certa parte della
popolazione dove cresce un consenso incondizionato per le azioni della polizia.
Questa psicosi diffusa è stata orchestrata intorno ad una parola d'ordine –già allora
ascoltata: sono atti di guerra!
Le circostanze oggettive che abbiamo
appena ricordato (elevata precarietà, esclusione scolastica, sociale ed economica,
alto tasso di disoccupazione, impoverimento generale delle classi lavoratrici
...), sono presenti tutt’oggi; anzi, la situazione è anche peggiorata.
Oggi, come vediamo in questi giorni, è
anche una situazione che favorisce gli interessi di organizzazioni
fondamentaliste reazionarie retrograde: sono dunque esse che approfittano di questo
disagio per reclutare alcuni giovani a morire.
Ricordare oggi queste lotte indietro ci
chiama a stabilirci in questi quartieri popolari per armarli ideologicamente e
politicamente al fine di risolvere i problemi in modo giusto e corretto: vale a
dire la presa del potere da parte del proletariato e del popolo per la gente a
rovesciare un sistema in cui la classe operaia non può aspirare a un futuro
migliore e per creare una giusta società socialista, al servizio del popolo.
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