Il grazie di Gaza a Simone:
"Hai raccontato le nostre sofferenze"
La lettera
di un maestro di storia della Striscia a Repubblica.it. "Per noi eri
un eroe, ora la nostra lotta è restare umani"
di RAMI
BALAWI
Mi chiamo
Ramy Balawi, vivo a Gaza e insegno storia nelle scuole elementari. Sebbene io
abbia già perso la mia casa e parte della mia famiglia, sono davvero molto
toccato dalla perdita di Simone Camilli perché avrebbe potuto scegliere, come
molti altri giornalisti, di rimanere in un posto tranquillo e non l'ha fatto.
La sua umanità lo ha spinto verso Gaza per mostrare i fatti e la tragedia che
si sta sviluppando durante questa guerra. Qui, molti amici a Gaza come me sono
scossi, raccontano che era un uomo gentile, che amava la nostra città e che
ha provato a fare qualcosa mostrando i fatti anche mettendo a rischio la
propria vita. Per noi di Gaza, Simone non era una persona semplice ma un eroe,
un coraggioso e merita tutto il nostro orgoglio, la gratitudine per aver
mostrato le tragedie e le sofferenze avvenute durante la guerra.
So benissimo, anche per esperienza, che queste parole sono insufficienti dinanzi a quello che possono provare la sua famiglia, i suoi amici, gli italiani, ma ci tengo a dire che la gente di Gaza non dimenticherà Simone perché ha perso la sua vita per raccontare il nostro dolore durante questa guerra con Israele. Ora la nostra lotta è per rimanere umani. Dite alla famiglia di Simone Camilli che la gente di Gaza gli è accanto con tutto il suo affetto.
(a cura di Vittoria Iacovella)
So benissimo, anche per esperienza, che queste parole sono insufficienti dinanzi a quello che possono provare la sua famiglia, i suoi amici, gli italiani, ma ci tengo a dire che la gente di Gaza non dimenticherà Simone perché ha perso la sua vita per raccontare il nostro dolore durante questa guerra con Israele. Ora la nostra lotta è per rimanere umani. Dite alla famiglia di Simone Camilli che la gente di Gaza gli è accanto con tutto il suo affetto.
(a cura di Vittoria Iacovella)
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Riproduzione riservata 14 agosto
2014
Funerali di Simone Camilli, il
padre: “In tanti mi hanno detto ‘era speciale’”
Centinaia di persone e tante bandiere palestinesi
nella cattedrale di Pitigliano (Grosseto) per l'ultimo saluto al reporter morto
a Gaza. La compagna: "Come potrò vivere senza di te". La mamma:
"Voglio andare là, per fare qualcosa"
Tanta gente
e tante bandiere palestinesi. Ma soprattutto tanti ricordi. Su tutti, quelli di
papà Pierluigi, che parlando nella chiesa di Pitigliano (Grosseto),
ha confidato alle centinaia di persone presenti: “Non conoscevo mio
figlio, non ho avuto il tempo di accorgermi che era speciale”. No, non ha
avuto il tempo di conoscere fino in fondo suo figlio che raccontava sempre che
“tutto andava bene” laggiù, perché Simone
Camilli
è morto troppo presto, a soli 35 anni, per l’esplosione di un ordigno, mentre
stava facendo il suo lavoro: raccontare quello che sta succedendo a Gaza. Pierluigi sa bene
quello che si rischia a fare il reporter, anche lui è stato giornalista, in
modo diverso però da Simone. Lui, come ogni genitore premuroso, voleva un posto
sicuro per il suo ragazzo: “Avevo anche cercato di fargli fare il concorso in
Rai. Qui vedo tanti colleghi… Ma non ci sono riuscito. Mi diceva: ‘Vengo lì e
mi siedo? Se voglio fare il giornalista devo andare dove succedono le cose‘”.
Poi un rimpianto, che si mischia alla gioia di un padre che vede realizzare i
propri sogni attraverso il figlio. “E’ dura ammetterlo. Ma io queste cose
che ha fatto Simone – ha raccontato ancora dall’altare Pierluigi Camilli –
nella mia vita professionale non le ho mai fatte. Questi consensi così profondi
non li ho mai avuti”. Perché Simone era benvoluto da tutti, il suo lavoro era
apprezzato, specialmente laggiù, a Gaza, dove si combatte l’ennesima guerra.
Quando Pierluigi è andato a Gerusalemme per riportare la salma del figlio a
casa, in tanti lo avvicinavano per dirgli che “Simone era una persona
speciale“. La compagna di Simone, Ilfa, olandese, pensa invece al
futuro, ora, senza di lui: “Eravamo felici, soprattutto dopo il nostro
trasferimento nella nuova casa a Beirut e ora non so come potrò vivere senza di
te”. Poi la memoria scivola via, corre indietro nel tempo, a otto anni
fa. Quando loro due si incontrarono in una strada di Gerusalemme, e poi la
gioia per la nascita di Nur, la figlia di 3 anni, che era in prima fila in
braccio ai familiari nella cattedrale di Pitigliano, e che ora dovrà crescere
senza il papà. “Sentivi la libertà di poter raccontare quello che avevi sempre
voluto” ha raccontato Ilfa, ricordando l’ultima telefonata attraverso skype con
Simone, proprio da Gaza, la sera prima della sua morte, “e come abbiamo chiuso
restando in silenzio alcuni istanti”. Sente invece di dover tornare là dove è
morto il figlio, Maria Daniela, la mamma del reporter: “Tanti mi dicono
che devo farmi coraggio che ho il resto della mia famiglia. Ma non mi basta: io
sento che devo tornare lì, devo fare qualcosa”. ”Simone è morto in un
luogo che si chiama la valle degli ulivi – ha aggiunto – Per noi l’ulivo
rappresenta qualcosa e io questo ulivo me lo sono messo nel cuore”.
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