Missouri, la polizia spara ancora: dilaga la protesta
a Ferguson
Non accenna
a placarsi la rabbia nella cittadina statunitense di Ferguson in seguito
all'omicidio di Michael Brown, un giovane afroamericano di appena 18 anni, per
mano della polizia locale. Nella notte tra martedì e mercoledì un altro uomo è
stato colpito da colpi di arma da fuoco sparati da un ufficiale di polizia
impegnato nel contenimento delle proteste esplose negli ultimi giorni. L'uomo,
che al momento si trova in ospedale in condizioni critiche, avrebbe minacciato
un poliziotto con una pistola insieme ad altre persone armate che indossavano
passamontagna. Una donna, non coinvolta nella sparatoria di ieri sera, sarebbe
invece ricoverata a causa di un proiettile sparato in una dinamica non chiara
nella mattinata di mercoledì. Le manifestazioni, dopo i primi due giorni di
riot e saccheggi in diversi punti della città, erano proseguite con più calma
durante la giornata di martedì, quando diversi manifestanti hanno protestato di
fronte all’ufficio del procuratore a Clayton, capoluogo della contea di St.
Louis. Nella serata di ieri, invece, circa 300 persone che marciavano lungo la
via principale del centro di Ferguson sono state fermate da un muro di
poliziotti riuniti all'ingresso della strada dove Brown è stato ucciso. Ai
manifestanti che gridavano la loro rabbia e avanzavano a mani alzate urlando lo
slogan "Hands up, don't shoot" (la stessa frase che Brown ha rivolto
al suo assassino mentre veniva crivellato di proiettili), i poliziotti hanno
risposto con un fitto lancio di lacrimogeni che è proseguito – a fasi alterne –
fino alle prime ore di mercoledì. In giornata è arrivata conferma che 12
persone sono state tratte in arresto per gli scontri della notte. Nel
frattempo, l’agenzia del dipartimento dei Trasporti statunitense ha vietato a
qualsiasi aereo di volare sotto i tremila piedi (circa 915 metri) sui cieli di
Ferguson, divieto ovviamente non esteso ai numerosi elicotteri delle forze di
sicurezza che sorvolano la città da quattro giorni. Le indagini sull'episodio
che avrebbe provocato l'uccisione di Mike Brown, intanto, procedono a rilento.
Dorian Johnson, il 22enne amico di Mike presente al momento dell'uccisione, non
è stato ascoltato dalla polizia che si rifiuta categoricamente di mettere in
discussione l'operato degli agenti, limitandosi a porre in congedo (retribuito)
il colpevole dell'omicidio. Johnson ha infatti raccontato ad una radio che il
poliziotto avrebbe prima tentato di investire i due amici per poi minacciarli
puntando loro contro la pistola. A quel punto i due ragazzi hanno tentato di
fuggire, ma diversi colpi hanno raggiunto alla schiena Brown, che a quel punto
si è fermato e ha detto, con le mani alzate mentre era di fronte all'agente:
"Non sono armato, smetti di sparare", per poi essere raggiunto da
diversi altri colpi. Lo stesso presidente Obama è dovuto intervenire nella
faccenda per tentare di placare gli animi, sostenendo di essere consapevole che
eventi come questo provochino “passioni molto forti”, ma che è necessario
riporre fiducia nelle indagini dell'FBI ed è meglio ricordare il giovane
Michael Brown “attraverso la riflessione e la comprensione “, anziché –
sottinteso – tramite le proteste e la rabbia. Viene da chiedersi come ciò sia
possibile, in un paese che ha ancora fresco il ricordo dell'omicidio a sfondo
razziale di Trayvon Martin per mano di una guardia giurata, assolta in appello.
Tanto più in una città, come Ferguson, dove il 67% della popolazione è nera, ma
il 94% delle forze di polizia è composta da bianchi e il 93% degli arresti dopo
un fermo stradale riguarda neri. In un'America dilaniata dalla crisi economica
e da una disparità di classe sempre più evidente e marginalizzante, un episodio
come questo mostra, di nuovo, il vero volto di una società fondata secolarmente
sul razzismo e la segregazione. Ancora una volta la vuota propaganda che
descrive un paese finalmente “al passo coi tempi” dopo l'elezione di un
presidente nero lascia spazio a dinamiche alimentate dall'odio verso il
diverso, alla negazione di qualsiasi diritto e alla soppressione violenta di
qualsiasi forma di dissenso.
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