domenica 10 agosto 2014

pc 10 agosto - 10 agosto 1944 - 10 agosto 2014. Settant'anni fa l'uccisione dei 15 martiri antifascisti di piazzale Loreto

NOI NON DIMENTICHIAMO, ONORE A VOI E A TUTTI GLI EROI DELLA RESISTENZA




70 anni da quel 10 agosto 1944
Come scrisse il comandante Pesce “la belva ormai incalzata da ogni parte, si difende col terrore” e quel 10 agosto del ’44 col sacrificio dei 15 martiri di Piazzale Loreto fu il culmine di un mese di rappresaglie iniziato il 15 luglio tre partigiani fucilati a Greco, il 20 luglio altri tre a Corbetta, il 21 cinque fucilati e 58 deportati a Robecco sul Naviglio, il 31 luglio sei fucilati all’aeroporto Forlanini e ancora il 28 agosto quattro fucilati in via Tebaldi.

RENZO DEL RICCIO
Poco più di vent’anni, pieno di entusiasmo sia nel lavoro nella SPER sia nell’impegno politico a Sesto S.Giovanni, dove aiutava altri giovani antifascisti a raggiungere le formazioni partigiane in montagna. Arrestato in un bar di viale Monza, dove aspettava un coetaneo antifascista. Imprigionato a Monza credeva o forse sperava di essere solo mandato in Germania al lavoro forzato, Germania dove era già internato in un lager il fratello maggiore.
ANDREA ESPOSITO
Con il figlio ventenne Eugenio erano membri della 113° SAP, insieme furono arrestati, insieme erano incarcerati a San Vittore. Nella fretta di mettere in salvo il figlio, in età di leva ma renitente, aveva creduto alle parole di un sedicente partigiano del pavese che prometteva di portarlo con sé in Oltrepò: era un repubblichino che li fa arrestare. Il padre Andrea, prelevato da una cella vicina finirà in piazzale Loreto; Eugenio, il figlio, in un lager nazista dal quale tornerà dopo la guerra scoprendo che il papà era stato fucilato e non trasferito a Bergamo come gli avevano assicurato i carcerieri.
GIOVANNI GALIMBERTI
Antifascista, arrestato solo pochi giorni prima dell’eccidio in un bar di piazza San Babila, ex-militare. Seppure in famiglia ne condividevano le idee, avevano molto timore che potesse succedergli qualcosa, al punto che la madre si sentì quasi sollevata quando lo portarono a San Vittore dove si salutavano dalle finestre. La tranquillità della povera madre fu stroncata dopo pochi giorni dalla barbarie nazifascista.
REMO GASPARINI


Capitano degli Alpini, Medaglia d’Oro per l’attività partigiana, venne arrestato e torturato per giorni interi, addossandosi colpe non sue e non lasciando mai trapelare un nome dei compagni di lotta. Per questa sua integrità e forza fu uno dei prescelti, uno dei trucidati: i nazisti volevano dare un esempio, ma l’esempio fu quello di un alto valore morale, del coraggio della propria fede patriottica.
SALVATORE PRINCIPATO
Insegnante, proveniente dalla Sicilia, prima a Vimercate poi a Milano. Entra nel CLNAI come
rappresentante dei maestri della scuola elementare. L’8 luglio del 1944 lo arrestano in un’officina dove viene stampato il materiale di propaganda. Torture atroci, sevizie infinite, ma non un nome o un’indicazione esce dalla sua bocca. Il 10 agosto è tra i martiri di piazzale Loreto , e la moglie Marcella, che lo crede ancora nel carcere di Monza è costretta a forza a scendere dal tram che la portava là per dare al marito indumenti e cibo: riconosce i vestiti e il braccio fasciato spezzato in prigione dai fascisti: è suo marito.
ANTONIO BRAVIN
Richiamato alle armi nel 1943, l’8 settembre diserta come molti; messa in salvo la moglie e il figliolo di tre anni a Trecate, raggiunge il movimento partigiano del varesotto. Per la sua formazione si recava spesso a Milano dove ritirava materiali ed aiuti per i compagni in montagna: fu arrestato nel giugno del ’44 proprio a Milano e incarcerato a San Vittore da dove uscì solo quella terribile mattina del 10 agosto.
VITALE VERTEMATI
Incarcerato a San Vittore si occupava del ricevimento dei pacchi per i detenuti: il portone era così
vicino da far venire l’idea, con la sorella, di una fuga che però non avvenne mai. L’8 agosto 1944 fu trasferito al VI° raggio del carcere, verso via Filangieri: la sorella presentatasi per consegnarli un pacco non lo ritrovò e dopo due giorni seppe della morte del fratello in piazzale Loreto dai giornali.
ERALDO SONCINI
Detenuto a Monza veniva portato tutti i giorni alla Casa del balilla dove era interrogato: sul tragitto il fratello lo seguiva in bicicletta per salutarlo, l’8 agosto non lo vide passare con i suoi carcerieri. Gli dissero che era stato trasferito a San Vittore. La mattina del 10 il fratello seppe da un operaio collega della Pirelli che Eraldo era uno dei martiri di piazzale Loreto. Più tardi seppe che il fratello aveva lottato fino all’ultimo per sfuggire al tragico destino, scappando dal piazzale mentre i militi repubblichini gli sparano e lo feriscono; eppure riesce ancora a fuggire su per le scale in uno stabile di via Palestrina, dove si nasconde, pensando che il più è fatto. Lo tradì il respiro affannoso: il repubblichino che lo trovò non si prese neppure la briga di riportarlo in piazzale Loreto: gli scaricò contro il caricatore del mitra, freddandolo, a un passo dalla libertà.
ANDREA RAGNI

Di lui si sa che proviene da un popoloso quartiere di Milano, di famiglia povera e divisa. Da
giovanissimo comincia a lavorare come operaio e in fabbrica ha i primi contatti con il movimento
antifascista. Viene arrestato nell’aprile del 1944.

GIULIO CASIRAGHI
Comunista, operaio della Marelli veniva interrogato a suon di botte nel luglio del ‘44 eppure alla moglie dice solo che è caduto dalle scale scappando in un rifugio antiaereo durante un bombardamento. Ugualmente non parlerà sotto le tremende torture dei suoi aguzzini. Da Monza viene trasferito a San Vittore l’8 agosto: la moglie è convinta che lo spediranno in Germania, come successo a tanti ma quando sente dell’eccidio di piazzale Loreto capisce al volo e corre a vedere il marito morto. Urla disperata e un repubblichino gli dice: “E’ morto alzando il pugno chiuso e gridando viva la rivoluzione”. Casiraghi non aveva mai avuto paura, non l’ebbe di fronte al plotone di esecuzione.
ANGELO POLETTI
Poletti comandava la 38° Brigata Matteotti nel lecchese (che venne poi a lui “intestata”): il 19 marzo 1944 fu arrestato mentre si recava a prelevare armi e portato a San Vittore. Mesi di torture e interrogatori, mai una parola; i tedeschi capiscono che non parlerà mai e decidono di spedirlo in un lager in Germania. Ma anche Poletti decide, decide di fuggire grazie a un secondino complice che gli ha passato lime e seghetti: troppo tardi, il trasferimento sarà solo a piazzale Loreto. “Muoio per la libertà. In alto i cuori, viva l’Italia” le ultime parole su un foglietto.
EMIDIO MASTRODOMENICO
Poliziotto, descritto dai colleghi come intelligente, colto e profondamente umano. L’8 settembre 1943 con alcuni colleghi fidati e costituisce una “brigata d’assalto” in collegamento con le SAP milanesi. Il 16 aprile ’44 viene arrestato grazie ad una delazione e rinchiuso nel braccio dei “politici” a San Vittore, il VI°. I compagni di detenzione, essendo un poliziotto, pensano sia una spia ma la miglior prova della sua onestà ed integrità sono le sistematiche torture e le botte e il suo ostinato silenzio. Solo alla fine della guerra, i genitori, in Puglia, sapranno della sorte del figlio poliziotto.
LIBERO TEMOLO
Alla Pirelli, di solito riusciva uscendo a tornare a casa in salvo: non l’ultima volta, quando i fascisti lo arrestarono: nessuno era riuscito ad avvisarlo. A casa lo aspettavano oltre ai familiari alcuni partigiani che Libero doveva accompagnare in provincia di Novara. A casa, il ritardo era il chiaro sintomo che qualcosa era successo… Temolo, con Soncini, appena sceso dal camion che li aveva trasportati in piazzale Loreto tentò la fuga: ferito ad una gamba, fu raggiunto dai repubblichini e assassinato. 

UMBERTO FOGAGNOLO
Ingegnere alla Ercole Marelli di Sesto San Giovanni. Rappresentante del Partito d’Azione nel CLN di Sesto e responsabile dell’organizzazione clandestina nelle fabbriche; insieme a Casiraghi, è tra gli organizzatori dello sciopero generale del marzo 1944. Arrestato il 13 luglio 1944 nel suo ufficio, incarcerato a Monza dove viene ripetutamente torturato. Trasferito a San Vittore l’8 agosto 1944.
DOMENICO FIORANI
Perito industriale di Sesto S. Giovanni, fu arrestato mentre andava a trovare la moglie all’Ospedale di Busto Arsizio: capì subito cosa lo avrebbe aspettato nella “Casa dei Balilla” di Monza. “Inutile tu pianga, mamma, tanto se non finisce la guerra, io di qui non esco vivo” furono le ultime parole alla madre in visita al carcere. Non era scoraggiato, già sapeva come sarebbe finita. Ma neppure mostrava paura, ricorda la madre, quando due giorni prima dell’eccidio lo trasferirono da Monza a San Vittore

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