martedì 6 novembre 2012

pc 6 novembre - Obama e la crisi mondiale... chiacchiere e promesse da marinaio... imperialista


Mettiamoci comodi! L'attuale crisi economica mondiale per la Merkel, capo del governo del più forte paese imperialista nel cuore dell'Europa, durerà almeno altri 5 anni. La riunione del G20 di Città del Messico è stata, come dice La Repubblica, “decisamente sottotono visto che mancano diversi esponenti di spicco, a cominciare proprio da colui che normalmente rappresenta gli Usa in queste riunioni, il segretario al Tesoro Timothy Geithner. Assenti anche i ministri delle Finanze francese, Pierre Moscovici, e brasiliano, Guido Mantega, oltre al presidente della Banca centrale europea Mario Draghi.”! E si è chiusa infatti con quattro chiacchiere sull'auspicabile ripresa e con alcune inutili promesse.

I vari tentativi di risolvere la crisi messi in campo fino ad ora soprattutto con il “quantitative easing” e cioè l'immissione nei rispettivi circuiti delle banche di miliardi di soldi americani, cinesi ed europei non sono serviti se non a fermare momentaneamente la “speculazione”, e cioè la spasmodica ricerca da parte di chi gestisce immensi capitali finanziari di investimenti che diano qualche profitto.

Nessuno quindi riesce a prevedere quando finirà questa crisi da sovrapproduzione del sistema capitalistico iniziata nel 2008 e ciò viene confermato anche dalla situazione in cui si trova attualmente “la fabbrica del mondo” cui tutti guardano con grandi speranze, e cioè la Cina.

Ma come titola un articolo di Affari & Finanza di ieri in “Cina, la crescita è un'illusione” e in maniera ancora più esplicita “i fondi pubblici sostengono il Pil”.

Senza fronzoli dunque il giornalista dice che “Gli ultimi sei mesi per le esportazioni cinesi sono stati i peggiori della storia. Ufficialmente l'export, su base annua, è cresciuto quasi del 10%. A tirare però restano pochi settori, legati a telecomunicazioni ed elettronica, dominati dalle multinazionali straniere. Per gli imprenditori cinesi i bilanci sono in realtà ben al di sotto del picco negativo di fine 2008... L'Europa consuma sempre meno, gli Stati Uniti riprendono a spendere lentamente, il Giappone affonda nella crisi e il mercato interno della Cina non ha raggiunto i livelli di crescita necessari a compensare il rallentamento dell'Occidente.”

Per quanto riguarda gli Stati Uniti è chiaro che ciò che permette comunque la “ripresa lenta” della spesa è il gigantesco apparato militare (circa 700 miliardi di dollari all'anno) per le guerre in corso. È per questo che “Il mercato risulta sconvolto: i clienti fanno ordini sempre più piccoli per gestire meglio le scorte, i termini di pagamento slittano oltre i 90 giorni, i tempi di consegna si accorciano e i grossisti, invece che acquistare merce, si limitano a informarsi sui prezzi. Il motore del “made in China” appare ingolfato e la banche avvertono che “la situazione è più negativa di quanto i dati rivelino”.”

Analisi bancarie rivelano che i margini [cioè i profitti] rispetto a prima della crisi del 2008, sono precipitati del 30% a incidere, anche l'aumento del costo del lavoro e delle materie prime.”
L'aumento del costo del lavoro, e cioè dei salari, è dovuto alle grandi lotte operaie di questi anni e quello delle materie prime spesso alle lotte dei lavoratori delle miniere.
A inizio anno la maggioranza dei grandi gruppi stranieri prevedeva che nel secondo semestre la Cina avrebbe ripreso a crescere a ritmi sostenuti. Con la fine dell'estate è stato chiaro che la situazione non poteva che peggiorare.”

Secondo l'ufficio di statistica nazionale, la crescita del PIL cinese 2012 si assesterà infine attorno al 7,5%. Il dato risulta però gonfiato dai fondi pubblici destinati alle infrastrutture. Le aziende confermano invece che per la prima volta oltre l'80% chiuderà i conti in rosso, il 58% sarà costretto a chiudere almeno uno stabilimento, il 45% trasferirà parte della produzione all'estero e il 90% ridurrà il personale.”
A questo punto “tutto il mondo è paese” e anche i padroni cinesi, come fanno tutti gli altri, mentre ipocritamente parlano di libero concorrenza, chiedono che i governi diano loro soldi a fondo perduto: “La lobby degli industriali, alla vigilia del congresso del partito comunista, si è appellata al governo per ottenere sovvenzioni all'export, rimborsi fiscali e credito agevolato.”
L'impatto della recessione dell'Occidente si abbatte dunque sull'Oriente, che sperava di assistere da lontano allo sgonfiamento del ciclone.”

Le previsioni del futuro sono quelle che spaventano di più: “Uno studio di Bank of America rivela che i grandi rivenditori di Usa e Ue, per tagliare il costo di trasposto sui beni ad alta intensità di lavoro, cominciano ad assicurarsi produzioni a basso costo in luoghi più vicini. Gli stati Uniti guardano a Messico e America Latina, l'Europa torna nei distretti abbandonati dell'Est e si affaccia in Africa. L'Oriente investe sulle potenze industriali emergenti, come Cambogia, Vietnam e Birmania. Pechino prende atto che a breve termine il rimbalzo positivo di una eventuale ripresa globale interesserà la Cina in misura minore del necessario. L'ex “fabbrica del mondo” si prepara così ad una ristrutturazione epocale. L'imperativo è creare aziende più agili, aprire stabilimenti all'estero e scegliere distretti dotati di infrastrutture migliori.”

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