Un caso Aldrovandi meno
conosciuto, forse ancora più grave. Perché si tratta dell'uccisione di un uomo
con seri problemi psichici, in casa sua. Protagonista, anche in questo caso, la
polizia.
«Onestà e coraggio» da parte dello Stato sono stati
chiesti dall'avv. Claudio Defilippi, legale della famiglia di Riccardo Rasman,
34 anni, morto durante l'arresto il 26 ottobre 2006. Un caso di «macelleria
messicana», «più grave di quello Aldrovandi», paradossalemnte ri-denunciato
sulla pagina Facebook da parte di uno dei poliziotti condannati per la morte del
ragazzo di Ferrara. Il poliziotto Paolo Forlani, per cui la Cassazione ha nei
giorni scorsi reso definitiva la condanna, parla di «responsabilità reali da
parte dei colleghi e nessuno ne ha saputo nulla» proprio in riferimento alla
vicenda Rasman.
Il legale della famiglia ha chiesto
«onestà, nel senso che lo Stato presenti le scuse, e coraggio, nel senso che
paghi il dovuto, dopo cinque anni e mezzo». L'avvocato spiega che il caso Rasman
«è più grave perchè il giovane era schizofrenico, incapace con invalidità
all'80% e gli agenti lo sapevano; è più grave perchè Rasman è stato incaprettato
e perchè la condanna a sei mesi è inadeguata, sebbene gli agenti siano stati
riconosciuti colpevoli di omicidio colposo».
L'avvocato ha confermato che «è in
corso una transazione, ma fino a questo momento sono stati versati 60 mila euro
alla famiglia che ne ha spesi il doppio per i processi». Defilippi ha detto di
aver inviato una lettera di richiesta di scuse al ministro degli Interni e, per
conoscenza, al Presidente del Consiglio e al Presidente della Repubblica, ed ha
segnalato che la vicenda di cui si occupa «si colloca tra il caso Sandri, per il
quale lo Stato ha pagato tre milioni e mezzo, e il caso Aldrovandi, per il quale
ha pagato due milioni di euro». Un eccesso di “monetizzazione”, a nostro avviso,
se si può criticare il modo con cui l'avvocato presenta il
caso.
I tre poliziotti - Mauro Miraz,
Maurizio Mis e Giuseppe De Biasi - furono condannati dalla Cassazione a sei mesi
di reclusione ciascuno (pena sospesa), per “omicidio colposo”. La Polizia fu
chiamata dai vicini perchè Rasman lanciava petardi contro i passanti. Rasman,
schiacciato a terra dagli agenti per alcuni minuti durante l'arresto, venne
colpito da carenza respiratoria e morì sull'uscio di casa.
Ecco come ricostruiva l'episodio il sito
Crime.blog
Riccardo Rasman era alto 1 metro e 85, pesava 120
chili ed era affetto da “sindrome schizofrenica paranoide”. Il 27 ottobre del
2006 muore nella propria casa di Trieste dopo l’intervento di due pattuglie
della polizia, aveva 34 anni ed è morto per “asfissia da posizione” dopo aver
subito lesioni e violenze da quattro poliziotti.
La sindrome di Riccardo iniziò durante la leva
militare, durante il quale subì numerosi episodi di quello che viene banalmente
definito “nonnismo”, ma che invece è un misto di violenza e prepotenza. E’ da lì
che Rasman inizia a vivere con la paura delle divise. Nei video una bella
video-inchiesta sul caso.
La sera del 27 ottobre 2006 l’intervento delle
pattuglie avvenne dopo la segnalazione di “spari” provenienti dalla casa di
Riccardo, erano petardi per festeggiare il nuovo lavoro da netturbino. Arrivano
gli agenti che gli intimano di aprire la porta, lui si rifiuta per paura
rannicchiandosi sul letto. Gli urla contro. Loro sfondano la porta e nessuno li
ferma.
Riccardo è stato trovato con le manette e le mani
dietro la schiena, filo di ferro alle caviglie, diverse ferite e con segni di
“imbavagliamento con blocco totale o parziale della bocca, effettuato con un
cordino o con qualcosa di simile. Questo imbavagliamento avrebbe causato una
ulteriore restrizione, soprattutto della respirazione”. Anche se immobilizzato
“esercitavano sul tronco, sia salendogli insieme o alternativamente sulla
schiena, sia premendo con le ginocchia, un’eccessiva pressione che ne riduceva
gravemente le capacità respiratorie”. Da lì la morte per asfissia. La perizia
legale recita:
“per
causare le lesioni riscontrate gli agenti hanno usato mezzi di offesa naturale
in maniera indiscriminata anche verso parti del corpo potenzialmente molto
delicate, ma anche oggetti contundenti come potevano essere il manico dell’ascia
rinvenuta nell’alloggio o il piede di porco usato dai vigili del fuoco per
forzare la porta d’ingresso. Gli stessi agenti hanno ammesso di averlo
utilizzato contro il braccio destro di Riccardo”
Un caso legato inevitabilmente a quello di Federico Aldrovandi, anche per un avvocato in comune, Fabio Anselmo. Dopo due anni finalmente il processo.
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