Le
organizzazioni sindacali di base, con l'assenza in questa occasione
dell'adesione, promozione dello Slai cobas e l'aggiunta invece della
Cub, hanno promosso il 22 giugno uno sciopero generale e due
manifestazioni, a Roma e a Milano, contro la riforma del lavoro in
via di approvazione alla Camera e più in generale contro l'attacco
del governo Monti ai lavoratori.
Si
è trattato di una scelta necessaria e dovuta per dare un segnale e
fare appello ai lavoratori a rispondere a questi attacchi.
Questo
è importante se si tiene conto che proprio in questi ultimi giorni
la Cgil della Camusso ha definitivamente abbandonato l'idea di uno
sciopero generale contro la riforma del mercato del lavoro e
l'attacco all'art. 18. I sindacati confederali, Cgil compresa, sono
un puntello del governo, il nesso indissolubile tra PD e direzione
attuale della Cgil, a livello nazionale e locale, fa di questa
organizzazione il punto forte del governo e il punto debole dei
lavoratori. E questo è all'origine della sostanziale mancata
opposizione sindacale nazionale dei lavoratori alla politica del
governo.
La
Fiom nel suo vertice e nella maggioranza delle sue componenti interne
e della base ha una posizione diversa dal vertice della Cgil e dal PD
e, quindi, in questi mesi ha prodotto in diverse parti d'Italia
alcuni scioperi combattivi e con buona partecipazione degli operai.
Ma anche qui il legame indissolubile tra direzione Cgil e Fiom,
nonostante le divergenze, crea una sorta di catena di S. Antonio che
lungi dal permettere lo spostamento sul terreno della lotta della
Cgil, rende tutto molto più confuso, ambiguo e questo si riflette
nelle lotte degli operai e dei lavoratori.
E'
giusto quindi sottrarsi a questa catena con lo sciopero, le
manifestazioni, l'appello alla lotta,
Ma
questa strada era stata già percorsa il 27 gennaio scorso, non si
può fare a mesi di distanza sostanzialmente la stessa cosa senza
crescere in peso, forza, e senza mutarne forme di lotte e impatto.
In
questo senso la mancata adesione nostra a questo sciopero, abbastanza
marginale nell'influenza che può avere nell'insieme dell'area, ha
però lo stesso significato di dare un segnale, fare un appello per
un cambiamento della strada del sindacalismo di base e di classe.
Lo
sciopero è riuscito realmente solo nei trasporti e nelle due grandi
città delle manifestazioni, molto bene! Ma non si può vivere sugli
scioperi nei trasporti. Le manifestazioni di Roma e Milano hanno
visto la partecipazione di migliaia di lavoratori, al di sotto però
dei numeri dichiarati.
Positivo
è stato che a Milano abbiano potuto prendere la parola avanguardie
di lotta, come gli operai immigrati di Basiano, fatti segno della
violenza poliziesca e padronale – ma su questo c'era già stata una
manifestazione a Milano che avrebbe richiesto ben altra
partecipazione del sindacalismo di base e di classe.
Nell'esprimere
questo giudizio sappiamo bene dell'abitudine degli attuali dirigenti
dei sindacati di base di fare dichiarazioni autosoddisfacenti in
pubblico e sulla stampa, a cui far seguire commenti liquidatori verso
la mancata partecipazione dei lavoratori nei giorni successivi, dove
segue un tran tran sindacale in attesa di un prossimo “sciopero e
manifestazione” nazionale.
Il
rimedio dei dirigenti del sindacalismo di base a questa situazione
spesso è peggiore del male. La questione sta invece nei termini che
noi affermiamo. Dopo il 27 gennaio bisognava dare vita ad una
mobilitazione prolungata, nazionale e locale che puntasse sempre
all'assedio dei Palazzi, delle sedi confindustriali e delle sedi del
sindacalismo confederale, che sviluppasse contrasto, tensione,
polarizzazione, e si offrisse come punto di riferimento reale di uno
scontro generale intorno a cui si accumulasse forza e crescita del
sindacalismo di base come unico referente nazionale reale.
Questo
non si è fatto, né si è voluto fare, per linee e concezioni
tradizionali del sindacalismo di base, che se permettono una tenuta
di questa realtà ne ipotecano la crescita reale e il salto di
qualità. Questo trova le sue radici anche nel livello di analisi
della situazione, che in realtà è approssimativo e in alcuni casi
sbagliato - vedi il peso che viene dato alla 'speculazione'. Ma sono
le forme con cui ci si organizza e si vuole combattere la battaglia
generale che oggi non sono all'altezza delle necessità. Il sistema
per categoria è una questione secondaria, serve la rete delle
fabbriche, al di là delle sigle sindacali, e coinvolgente pezzi
della Fiom che esercitano lotte, serve il coordinamento dei precari e
delle realtà dei disoccupati che si battono per il lavoro e il
salario garantito, serve l'unità nella lotta contro la repressione
all'insegna “se toccano uno toccano tutti”, parola d'ordine e
pratica che invece sembrano una eresia nel costume, nel metodo, nel
lavoro quotidiano di queste organizzazioni sindacali; così la rete
nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro è un'arma che non
viene impugnata dal sindacalismo di base e di classe.
La
costruzione di uno sciopero generale senza questa visione, questi
strumenti è impossibile. Il cambiamento di ritmo, il salto di
qualità nella lotta senza cambiamento delle forme di lotta e delle
forme di organizzazione è una pura illusione. Il sindacalismo di
base e di classe nella sua dinamica nazionale così è al di sotto e
più arretrato delle lotte, dei focolai di lotte che si sviluppano
nel paese e che spesso vedono impegnati lavoratori iscritti e attivi
negli stessi sindacati di base.
Infine,
al di là delle promesse e degli annunci non si assumono come
caratteristiche dello sciopero generale il blocco, gli assedi, dove
mettere a frutto le lezioni in positivo, sottraendole ad iniziative
episodiche, di numerose fasi delle battaglie sindacali e politiche
degli ultimi periodi.
L'unità
del sindacalismo di base e di classe è un'assoluta necessità ma
obiettivamente essa è il frutto di una lotta sui temi che
l'esperienza pone.
Guardando
alle scadenze dell'autunno è necessario decisamente avanzare su
questa strada.
Proletari
comunisti
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