In attesa di avere il tempo di trascrivere gli appunti e ricostruire più in dettaglio il dibattito dell'assemblea di oggi a Roma convocata dei sindacati base, una prima sintetica nota.
La discussione e i contenuti di tutti gli interventi hanno confermato gli elementi critici che avevamo sollevato subito dopo l'uscita del comunicato con cui si revocava lo sciopero generale per il 2 dicembre e che oggi riproponiamo sul blog.
sopravvalutazione dell'importanza del “passaggio di fase” dal governo Berlusconi al governo tecnico;
sopravvalutazione del ruolo di BCE e UE, che porta oggettivamente a coprire e sottovalutare il ruolo dell'imperialismo italiano e l'urgenza della lotta contro di esso qui e ora, anche inizialmente minoritaria;
sopravvalutazione del presunto consenso sociale di cui Monti ancora godrebbe, accreditato dai media come speranza per uscire dalla crisi.
Tutto questo, abbiamo già scritto, in nome di un malinteso “realismo” porta a disorientare i lavoratori, cui si propongono falsi bersagli (BCE, e la finanza internazionale, invece che l'imperialismo e i padroni italiani) e improbabili prospettive (il raccordo con le lotte e gli scioperi in tutta Europa, la “via islandese” ecc.), e porta anche a rinviare lo sciopero generale e l'inizio effettivo di una lotta incisiva contro il governo Monti, a quando sarà finalmente maggioritaria, a quando cioè il contenuto delle misure adottate, il loro portato di attacco pesante e generalizzato senza precedenti contro tutti lavoratori, l'avranno smascherato rendendo chiaro a tutti la sua natura e la sua azione economicamente recessiva, quindi perfino inefficace a uscire dalla crisi.
Qualche considerazione in più è venuta dall'assemblea di oggi proprio sulla questione dello sciopero. È stato detto:
“non è più tempo di scioperi identitari, fatti per testimoniare l'esistenza di chi li convoca e li osserva” (Leonardi, USB);
“ciò che serve è invece uno sciopero generale che pesi sui rapporti di forza, li modifichi e faccia cadere il governo e per costruire questo sciopero occorre accumulazione di forze e unità di classe, non dettare dall'alto una scadenza unitaria da rispettare” (Granillo, Slai Cobas ufficiale);
“serve uno sciopero che blocchi l'intero paese, non solo i luoghi di lavoro, e partecipato non solo dai salariati ma anche dai precari, disoccupati, immigrati e per costruirlo la ripresa del conflitto sul lavoro non basta, occorrono anche pratiche quotidiane di riappropriazione” (Salemme, USI).
Tutte cose in parte, e in astratto, anche giuste ma, nel caso concreto, è semplicemente paradossale che chi per anni ha fatto degli “sciopericchi”di testimonianza una specialità della casa si ravveda proprio oggi, quando è invece importante iniziare ad “aprire il fuoco” contro il governo Monti, anche in forma minoritaria.
Senza questa azione, senza rendere evidente, agente e attrattiva la demarcazione tra chi lotta e chi si illude, tutti i discorsi sullo sciopero che ci vorrebbe e le ricette per realizzarlo che si sono succeduti negli interventi di oggi, suonano come uno rito ormai consueto e inconcludente.
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