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Nelle fabbriche, nelle grandi come nelle medie e nelle piccole, la situazione dei lavoratori fronteggia attacchi al salario, cassa integrazione quasi permanente, precarietà, flessibilità e licenziamenti per la chiusura di alcune di esse.
Il governo e i padroni stanno andando per la loro strada. E gli incontri a Roma come sui territori confermano in generale i piani dei padroni.
Nella giornata del 19 giugno vi è stato un incontro a Roma che ha riguardato le vertenze di fabbriche più grandi: il gruppo Stellantis, le Acciaierie d’Italia-ex ILVA e alcune fabbriche come l'Elettrolux e la Whirlpool.
Questo tavolo viene molto valorizzato dai sindacati diventati culo e camicia con questo governo, innanzitutto la FIM Cisl che sembra un megafono delle proposte dei padroni e del governo.
Sul fronte Stellantis, mentre i lavoratori fronteggiano una situazione sempre peggiore in termini di carichi di lavoro e di cassa integrazione a fronte di piani che prevedono in prospettiva la trasformazione nell'elettrico, mentre nell'immediato ci sono tagli e intensificazione dello sfruttamento.
In particolare la situazione si sta facendo sempre peggiore allo stabilimento di Melfi dove già tanti lavoratori sono stati obiettivamente costretti alle dimissioni con l’incentivo all'esodo e sono in corso i trasferimenti di lavoratori in direzione di Pomigliano. Si tratta di trasferimenti forzati. In particolare in questi ultimi due giorni è venuta fuori anche sulla stampa - ne ha parlato soprattutto la Gazzetta del Mezzogiorno - dei trasferimenti forzati delle operaie della Stellantis di Melfi.
Le lavoratrici hanno fatto un comunicato che dice: “Siamo un gruppo di donne a cui è stata data
comunicazione di trasferta dallo stabilimento Stellantis di Melfi a quello di Pomigliano (Napoli). Innanzitutto le trasferte dovrebbero essere volontarie, e non obbligatorie, e non si dovrebbero comunicare con sole 48 ore di preavviso su un pezzo di carta, accompagnate dall’indirizzo dell’Hotel fornito telefonicamente (è plausibile presumere a volte che si tratti di uno scherzo). La questione più rilevante però è che non c’è alcuna tutela per le donne lavoratrici. I sindacati hanno sostenuto questo esperimento di trasferta a rotazione senza stabilire dei paletti, delle regole. Vengono chiamate anche donne con figli minori, che per legge sono considerati tali fino ai 18 anni, ma non sembra che le aziende ne siano consapevoli” (meno che mai la Stellantis). Dov'è quindi la tutela delle donne lavoratrici di cui tutti si riempiono la bocca? Il governo in particolare parla di “tutela della famiglia”, delle donne, ma la realtà poi sui posti di lavoro è notevolmente diversa. Così come queste trasferte avrebbero dovuto essere su base volontaria e invece, in realtà così non è, essendo trasferimenti forzati che spesso sono un incentivo all'esodo, cioè un invito alle lavoratrici di andare via e, quindi, di fatto sono licenziamenti mascherati, perché “si mettono le famiglie sotto stress psicologico” - dicono le lavoratrici. Alcune non ce la fanno a reggere e si dimettono.La protesta delle donne lavoratrici è uscita sui giornali ma non è stata raccolta a nessun livello dalle organizzazioni sindacali. Fim-Fiom-Uilm e gli altri sindacati che sono all'interno della Stellantis, in realtà al di là delle richieste costanti di incontri con il governo, con la Regione, al di là della contentezza espressa per essere messi nell'area di “crisi complessa” - che poi in realtà significa esclusivamente piani per ammortizzatori sociali, percorsi di riqualificazione che pilotano la fuoriuscita della fabbrica -, non mettono in discussione i piani della Stellantis né tantomeno i piani del governo per assecondarli, bensì cercano di come far passare questi piani tra i lavoratori e i risultati sono evidenti, e si legano chiaramente alla situazione più generale del gruppo.
I lavoratori denunciano la loro condizione sia quando interveniamo a queste portinerie sia quando riescono nelle assemblee sia quando ancora hanno l'opportunità di parlare alla stampa. Ma dalla denuncia non scaturisce nulla.
I sindacati confederali appoggiano nei fatti e continuano a sperare che sia il governo a tirar fuori i lavoratori da questa situazione ma l'incontro di Roma del 19 ha dimostrato che i padroni possono fare quello che vogliono e l'azione del governo è di loro mero supporto.
E’ chiaro che la trasformazione all’elettrico produrrà in prospettiva una gigantesca riduzione dei posti di lavoro. Ed è rispetto a questa prospettiva che bisogna riorganizzare la lotta dei lavoratori.
Alla vigilia dell'incontro di Roma le organizzazioni sindacali hanno deciso un pacchetto di scioperi di 4 ore, peraltro gestite in forma differenziata tra il nord e sud: 4 ore al nord il 7 di luglio, altre 4 ore al sud - compreso il Lazio - il 10 di luglio. Ma dal giorno che hanno dichiarato lo sciopero sono subentrati ogni giorno dei nuovi fatti a cui non viene data una obbiettiva risposta.
Per questo in tutte le fabbriche Stellantis vale ciò che abbiamo detto in tutte le ultime occasioni: serve seguire l'esempio di Pomigliano. I lavoratori sono scesi in sciopero dal basso a partire da fatti anche piccoli e questo sciopero ha raccolto l'adesione di una gran parte dei lavoratori, uno sciopero che è continuato limitatamente al solo stabilimento di Pomigliano e che pertanto non poteva dare grandi risultati, ma è stato un segnale, un'indicazione
E’ giusto unire le forze perché l'esempio di Pomigliano venga seguito negli altri stabilimenti e questo è un messaggio che va dato subito. È chiaro che solo se partono gli scioperi dal basso potrà anche succedere che gli scioperi organizzati dai sindacati confederali diventino realmente conflittuali con l'azienda e con il governo, che vadano molto al di là di quello che sindacati vogliono.
La questione salariale, dei carichi di lavoro, la questione della lotta contro gli esuberi, contro i licenziamenti mascherati, la questione generale della condizione dei lavoratori è, e deve essere, al centro dell'iniziativa del sindacalismo di base e di classe, in particolare nei grandi gruppi, perché se la lotta non arriva ai grandi gruppi non potrà diventare generale e la classe operaia non potrà prendere nelle proprie mani la battaglia contro i piani dei padroni di scaricamento della crisi sulla loro pelle e contro il governo.
Perché il nuovo governo - dovrebbe essere chiaro dai primi fatti che sono avvenuti - è ancora più al servizio dei padroni dei precedenti, anzi crea una condizione in cui si danno la mano, si sostengono l'un l'altro, si incentivano l'un l'altro e, quindi, in questa direzione i lavoratori devono rispondere con la lotta.
L'altra grande vertenza è quella che delle Acciaierie d'Italia.
Non riprendiamo in questa occasione tutto il cammino di questa vicenda, ma partiamo dagli ultimi avvenimenti.
Nell'incontro di Roma il governo ha ripetuto le stesse cose di sempre. “Abbiamo chiesto - dice Urso - agli investitori di scommettere sul rilancio industriale delle Acciaierie”. Ma il rilancio industriale delle Acciaierie di cui parlano e a cui ArcelorMittal pensa è un rilancio produttivo sulla pelle dei lavoratori, un rilancio in cui i padroni avranno mano libera in materia di condizioni di lavoro, di gestione della cassa integrazione, con tutti gli effetti che questo avrà sul salario, sui diritti dei lavoratori, sulle condizioni di salute e sicurezza.
Tutti vedono che i piani di Acciaierie d'Italia sono nelle mani di ArcelorMittal che fa quello che vuole fare con lo stile della Morselli, vale a dire andando avanti per la sua strada; cosa che sul fronte della cassa integrazione si traduce in cassa integrazione unilaterale, di cui strada facendo si cambiano anche le motivazioni, ma che hanno il solo scopo di permettere all'azienda di fare quello che vuole.
L'alternativa posta dai sindacati, che trova sponda in Federacciai e anche nello stesso governo, almeno a parole, è quella che lo Stato vada avanti nel cambio di una governance, con la salita al 60%. Ma lo stesso governo chiarisce che si tratta di una salita solo temporanea per poter riconsegnare l'intero stabilimento ai padroni. Se non sarà ArcelorMittal - che però ha detto di essere già intenzionata ad esercitare il suo diritto di prelazione - sarebbe un altro padrone dell'acciaio (si vocifera e si scrive sui giornali che si tratterebbe di Arvedi).
Il passaggio nelle mani temporanee dello Stato attraverso la salita al 60% da parte di Invitalia non avrebbe, quindi, altro scopo che il solito: socializzare le perdite per permettere una piena ripresa della produzione per il profitto. Il governo mette i soldi pubblici e i privati dovrebbero continuare ad esercitare il controllo effettivo dell'azienda. u questo ArcelorMittal insiste, attraverso la questione dell'amministratore delegato che attualmente è la Morselli che, peraltro, ha un buonissimo rapporto con il governo (ogni volta che la Morselli ha occasione di parlare della Meloni ne fa un elogio sperticato fino all'ammirazione, e la stampa parla ripetutamente che nel caso la Morselli, per una ragione qualsiasi, dovesse passare la mano nella gestione delle Acciaierie d'Italia, sarebbe per incarichi superiori, sempre all'interno dei piani dei padroni e governo).
Gli effetti sui lavoratori continuano a essere gli stessi: una cassa integrazione unilaterale e permanente che taglia i salari.
Soprattutto la questione dei salari. Lo Slai Cobas psc fin dal primo momento, consapevole che questa è la strada scelta da padrone, ha sostenuto la linea della difesa del salario attraverso l'integrazione della cassa integrazione che dovrebbe riguardare tutti i lavoratori posti in cassa integrazione, sia nello stabilimento centrale di Acciaierie d'Italia sia nell’Appalto.
Ma solo lo Slai Cobas psc ha sostenuto questo! Mai sui tavoli effettivi delle trattative questa rivendicazione è stata posta, salvo poi lamentarsi che i salari degli operai sono scesi tra 900 e 1000 euro al mese.
A fronte della drammaticità della situazione non c'è nessuna risposta di lotta all'altezza. Anche quando viene alzata la voce sulla denuncia di quello che avviene, vedi in questi ultimi giorni sulla cassa integrazione, la risposta dei sindacati confederali - USB compresa - non è mai lo sciopero, il blocco della produzione.
Ricordiamo un grande sciopero, quello del 6 maggio dello scorso anno che si sviluppò con una forte contestazione diretta alla Morselli, è rimasto un fatto episodico. Eppure lo sciopero del 6 maggio era la strada giusta, è la risposta anche per l’oggi: il blocco generale della produzione, effettivo, i cortei all'interno all'esterno, il blocco delle strade, il blocco della città.
Ma predichiamo nel deserto.
Anche rispetto all'utilizzo della cassa integrazione unilaterale, se si legge la stampa i sindacati parlano ancora, e solo, al massimo di un'impugnativa legale per i giorni eventualmente scoperti che rimangono tra la decisione del governo di estendere la cassa integrazione fino a fine dicembre contenuta in un nuovo decreto - che peraltro non è ancora effettivo - e la decisione dell'azienda di procedere comunque alla cassa integrazione da subito con lavoratori che sono stati invitati a restare a casa anche senza il provvedimento di copertura.
Quindi che senso hanno rispetto a questa situazione gli scioperi dichiarati da Fim-Fiom- Uilm? Che senso hanno scioperi pilotati, peraltro lasciati all'autogestione delle organizzazioni sindacali territoriali che non hanno pressoché mai dato dimostrazione di voler effettivamente una lotta dura? Di quale lotta si parla, quando nelle Acciaierie di Taranto Fiom e Fim hanno firmato un accordo separato che dava questa possibilità all'azienda, ma i sindacati che non l'hanno firmato non sono stati conseguenti, non hanno aperto lo scontro, anzi hanno usato le assemblee per cercare di ricucire? Le assemblee, invece di utilizzarle per chiamare i lavoratori a scioperare, a isolare i sindacati che avevano firmato l'accordo-bidone (dimostratosi subito un accordo-bidone), sono state fatte per ricucire i rapporti tra sindacati. E si è arrivati allo sciopero pilotato del 7 e 10 luglio.
L'USB parte bene nella denuncia ma tutta questa risposta sta nel mettere anche la vertenza Acciaierie nel calderone della manifestazione del 24 giugno, partita come grande manifestazione contro la guerra è diventata la solita manifestazione del sabato a cui i sindacati stanno abituando i lavoratori - USB compresa. Dire “fare come in Francia” significa poi fare come il contrario della Francia.
Nelle fabbriche è evidente che conta solo riuscire a far ripartire gli scioperi dal basso, una strada difficile in una condizione di ricatto e di disorganizzazione dei lavoratori. Ma, se non si intraprende questa strada, aumenterà il ricatto, aumenterà la disorganizzazione dei lavoratori. Meglio uno sciopero dal basso minoritario che rompa la pace sociale e apra una strada e un'indicazione come a Pomigliano che gli scioperi pilotati su piattaforme concertative di Fim-Fiom-Uilm.
Acciaieria, Appalto, Stellantis contengono tutte le contraddizioni del sistema capitalista, dello scontro tra padroni e classe operaia, tra classe e Stato del Capitale. Questa è una prateria e questa prateria ha bisogno di una scintilla che l'accenda.
Da parte nostra lavoriamo quotidianamente tra lavoratori con iniziative alla fabbrica, con scritti, con comizi volanti. Chiaramente ce ne corre tra le nostre iniziative, gli appelli che facciamo anche nei comizi volanti e il movimento reale. Sappiamo che questa strada è ancora da percorrere. Ma, sia chiaro, noi lavoriamo solo per la scintilla che accenda tutta la prateria, non per accompagnare con alte grida i piani dei padroni e il governo verso la fine che è nota. Solo se questa prateria sarà accesa da 10-100 fuochi di guerriglia sociale, di guerra di classe, allora potremmo sviluppare una nuova fase dello scontro di classe.
Noi dobbiamo armare i lavoratori, innanzitutto della coscienza di classe e dobbiamo costruire l'organizzazione della classe adatta allo stadio attuale dello scontro di classe. Quest'arma deve essere impugnata nelle due più grandi concentrazioni della classe operaia in Italia che sono un fattore decisivo per la ripresa di un effettiva lotta di classe, adeguata ai tempi dei piani dei padroni e del nuovo governo fascio-padronale che è rappresentato da Meloni.
Non bisogna stancarsi di lavorare in questa direzione. Noi chiamiamo i nostri compagni, gli operai che seguano le nostre indicazioni, a dare corpo e sangue a questa battaglia, rigettando ogni forma di attendismo, perché il tempo lavora per il padrone senza la lotta dei lavoratori.
Con la lotta dei lavoratori il tempo si avvicina e il tempo che noi vogliamo è quello di un conflitto generale di classe che metta un freno alla politica di padroni e governo e apra la strada a una nuova fase in cui l'obiettivo sia rovesciare il potere dei padroni e dei suoi governi.
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