Dall'intervento di un operaio Ilva AS dello Slai cobas Taranto all'Assemblea proletaria anticapitalista di Roma del 18 febbraio
Il
capitalismo è un mostro che genera a sua volta mostri, ma sono mostri
di bell’aspetto, una bella sintesi di questo concetto ne è stata fatta
35 anni fa nel film Essi Vivono, nel quale la borghesia capitalista
veniva rappresentata come esseri ripugnanti che avevano assunto fattezze
umane e il proletariato e la piccola borghesia come gente ignara di
essi e dei loro scopi reali. Dico questo perché non c'è momento in cui
non mi guardi intorno e non veda parenti o amici, ma anche semplici
conoscenti o estranei, divorati chi dall’ansia, chi da problemi
economici, chi da malattie ed anche chi dal pensiero dominante decide di
vivere costantemente nella competizione verso i propri simili, per non
parlare poi di tante, troppe persone che non ce la fanno uccise dai
ritmi elevatissimi dell’iper produzione, da malattie causate dal
raggiungimento del massimo profitto ovviamente a scapito di salute ed
ogni pur minimo diritto ognuno possa sperare ad ambire. Mi riesce
difficile credere al numero impressionante di quanti facciano ricorso ad
antidepressivi, se non li conoscessi personalmente direi che si tratti
sicuramente di una bufala, magari deliri di coloro che tentano
semplicemente di porsi al centro della scena, sarebbe il male minore se
così fosse.
Dato che ciò che come compagni cerchiamo di perseguire è
proprio il benessere della società tutta sappiamo benissimo, sia per
prassi che per fondamenti teorici, che è nel fuoco della lotta che
dobbiamo trovare le risposte di cui necessitiamo, una lotta che già da
sé porta giovamento a chi la mette in atto ma
Venendo da
vent’anni di dipendenza della grande fabbrica ho visto ed imparato a mie
spese che nulla ci è dovuto, che anche la più piccola delle conquiste
di un lavoratore è frutto della sua protesta, ma non sua intesa come
personale quanto dell'intera classe. Nonostante senta spesso ripetere
che gli operai hanno perso la loro forza trainante e l'impatto sociale
che ebbero nei decenni passati, che non scioperino più, che chiamati a
lottare non rispondano come dovrebbero posso dire, nella mia esperienza,
che non è proprio vero. Nonostante sia innegabile una minore
partecipazione agli scioperi, è possibile confermare senza timore di
smentita che se chiamati alla lotta essi rispondono, e rumorosamente
anche.
La questione operaia nelle grandi fabbriche, come può essere
quella dell’ex Ilva dalla quale io vengo, è legata storicamente al
sindacalismo confederale che nel corso dei decenni ha via via perso la
sua originaria funzione di rappresentanza dell'interesse dei lavoratori e
di contrapposizione all'interesse del padronato per divenire un organo
di conciliazione con quest’ultimo ed un freno alle rivendicazioni dei
primi. Un piccolo indizio in tal senso può essere visto nella selezione
dei lavoratori da mantenere in fabbrica che è stata fatta dopo l'accordo
del 6 settembre 2018, quello che ha sancito il passaggio
dall’amministrazione straordinaria ad Arcelor-Mittal dell’acciaieria di
Taranto. A dispetto dei criteri di assunzione della forza lavoro, i
quali erano sostanzialmente tre: anzianità di servizio; professionalità
(cioè il livello di inquadramento) e carichi familiari, assunzione che
prevedeva che dei circa 11700 dipendenti dell’epoca ne sarebbero dovuti
rientrare solo 8200 (e già questo basterebbe per rendere quello stesso
accordo nullo, dato che contravviene all’articolo 2112 del codice
civile), nessuno dei sindacalisti di Fim, di Fiom e di Uilm, e che
fossero RSU o RLS o anche semplici attivisti, è stato messo fuori,
sintomo di come alla direzione aziendale interessasse la loro presenza
all'interno della fabbrica stessa. Un accordo, quello, che è un
pasticcio da qualsiasi punto lo si guardi, visto che nonostante sia
stato firmato in sede ministeriale alla presenza delle parti anche
dall’allora ministro dello sviluppo economico Di Maio, esso, come dicevo
prima, va contro le stesse leggi, leggi che come sappiamo sono di
stampo borghese. Un disastro.
Come se non bastasse quello stesso
accordo è divenuto ben presto carta straccia visto che dopo poco più di
un anno è stato rinegoziato.
Tornando al discorso che a noi preme, e
cioè quello delle lotte operaie e della loro funzione nella guerra di
classe, un esempio controverso ma anche complesso da analizzare è quello
che ci porta indietro sino al 2012, anno in cui avvenne il sequestro
dell'area a caldo e l'inizio dell’inchiesta che sarebbe poi sfociata nel
processo Ambiente Svenduto: ritengo che in quell'anno si sia in parte
perso il momento adatto per una reale rivendicazione dei lavoratori.
Durante i primi due scioperi che avvennero alla fine di marzo, nell'arco
di pochi giorni l’uno dall’altro, ci fu qualcosa di controverso. Al
primo dei due la partecipazione fu relativamente bassa, da notare che lo
sciopero era proclamato da Fim-Fiom-Uilm, mentre al secondo la
partecipazione dire che fosse strepitosa sarebbe riduttivo. La
differenza col primo giorno derivava dal fatto che in quest'ultima
occasione la richiesta di andare per strada veniva nientepopodimeno che
direttamente dalla direzione aziendale! Ovviamente essa perseguiva i
propri interessi che erano quelli di chiedere attraverso noi dipendenti
il dissequestro degli impianti. Da notare che il processo Ambiente
Svenduto ha portato dopo ben sette anni dall’inizio a condanne sino a 22
anni in primo grado a ben 47 imputati. Dopo questo secondo sciopero si
sono susseguite nel corso di quell'anno numerose altre iniziative tra
manifestazioni e blocchi stradali, culminate il 2 agosto con la venuta
in città dei segretari nazionali dei confederali dell’epoca i quali non
ebbero modo di parlare alla platea dei lavoratori perché gli furono
letteralmente strappati dalle mani i microfoni da quelli che in quello
stesso giorno si costituirono come comitato dei Liberi e Pensanti.
Quando dicevo che si è in parte persa l'occasione è perché è vero si che
in quei giorni la città è rimasta paralizzata dall'esorbitante numero
di operai coinvolti nei blocchi stradali e nei cortei, ma non si è
riusciti a dare una vera impronta alle proteste che fosse proletaria,
che fosse prettamente portatrice di istanze, di rivendicazioni esclusive
di noi lavoratori, tant’è che a distanza di sei anni da quegli
avvenimenti è arrivata una nuova proprietà (anche se è improprio
riferirsi alla nuova come proprietà), dopo uno iato in cui l'azienda è
stata commissariata, dove la nostra situazione è precipitata
inesorabilmente.
Continuando a dimostrare che la classe operaia se chiamata a lottare è ancora viva e vegeta (e questo non vuol dire che sia vincente come dimostrato poc’anzi, ma che non è arrendevole dinanzi alla sconfitta), si può annoverare il bellissimo ma allo stesso tempo ingannevole sciopero del 6 maggio scorso, e adesso spiegherò il perché. Il fatto che finalmente, dopo tre anni e mezzo dall'insediamento della nuova proprietà (definiamola così per comodità) si fosse tornati alle proteste da parte dei confederali, che sino ad allora erano stati restii all'azione preferendo sempre la via del dialogo, dagli incontri e dei tavoli, scelta che ha portato nel tempo ad una sciagurata sorte sia degli operai lasciati alla mercé degli umori del management aziendale quanto ad una fallimentare gestione della stessa, con numeri di cassintegrati via via sempre più elevati ed un accrescimento vertiginoso del debito verso i creditori, dicevo, il fatto che si fosse quasi insperabilmente ormai tornati alla via dello sciopero aveva acceso le speranze di tutti noi, di un ritorno al metodo più giusto e più efficace di rivendicazione dei propri diritti. A fronte di un’adesione come quasi mai prima di allora, si parlava di circa il 90% di scioperanti della fabbrica dove entrò esclusivamente chi era di comandata, quando mi sentii dire che quei risultati erano stati ottenuti semplicemente perché i varchi d'ingresso erano stati bloccati e non per una vera volontà e coscienza dei lavoratori, c'era da far notare che se la strada per la riuscita dell'iniziativa di lotta fosse quella allora voleva dire che avevamo imboccato il sentiero giusto, e si sarebbe dovuti proseguire per quel sentiero, cosa che ahimè non è stata. Infatti i segretari locali di Fim-Fiom-Uilm sbugiardarono se stessi dato che, a fine giornata e con un sorriso Durban’s a trentadue denti per la riuscitissima iniziativa, avevano dichiarato che da quel momento si sarebbe scioperato regolarmente almeno ogni mese con anche assemblee. Quando successivamente gli operai hanno fatto calare la loro presenza è perché di presenza non poteva essercene visto che quello sciopero è rimasto un caso isolato. Non dando continuità alla lotta i risultati ottenuti sono stati due, entrambi deleteri: aver in primis fatto perdere inutilmente parte del salario già da condizione di sudditanza, ma soprattutto aver dato una spinta verso la disaffezione dell'operaio a questa forma unica e fruttuosa nel proprio cammino di ribaltamento del proprio status sociale prima e di annullamento al culmine
Un altro episodio meritevole di menzione, questa volta però non per dimostrare che la classe operaia risponde affermativamente allo scendere in campo (tanto per usare una definizione molto cara una trentina di anni fa all'allora leader del capitalismo nostrano) che come abbiamo già visto è conseguenza naturale delle sue condizioni di moderno schiavismo, quanto piuttosto per mettere questa volta in evidenza la totale arbitrarietà delle decisioni di un'azienda in sfregio ad ogni pur minimo, basilare fondamento stesso della vita e del suo diritto in quanto tale, mi riferisco alla vicenda del collega Riccardo Cristello, protagonista di un episodio tanto surreale quanto tragico. Lui è stato la vittima sacrificale della metodologia del fascismo aziendale tanto cara ai padroni, la messa in atto del colpirne uno per educarne cento. Quando si viene a conoscenza del licenziamento di un collega solo perché tra le quattro mura della sua casa, e dunque fuori dall'orario lavorativo, si è permesso di condividere un post nel quale si consigliava ai propri contatti di vedere una serie televisiva che aveva come spunto narrativo la questione ambientale nella propria città non si può che restare basiti. Purtroppo in quel caso, uno dei tanti ahimè, le tre sigle confederali non fecero altro che rilasciare dichiarazioni che definire vergognose è un eufemismo. Quelle di Fim e Uilm erano perfettamente sovrapponibili in quanto dissero, chi in un'intervista e chi tramite un comunicato, che non proclamavano alcuno sciopero in quanto i lavoratori erano già stressati dalle vicende della fabbrica, mentre la Fiom, con un funambolismo degno dei gemelli Derrick, usò questa occasione per rilasciare un comunicato che, al di là dei soliti virtuosismi lessicali, chiedeva sostanzialmente al governo di acconsentire alle richieste di Arcelor-Mittal di ulteriori finanziamenti e deroghe al pagamento del canone d'affitto che la società aveva avanzato verso lo stesso. Direi che si commenta da solo. L'USB dal canto suo dichiarò un presidio permanente davanti ai cancelli della direzione della fabbrica, al quale noi dello Slai Cobas aderimmo immediatamente, per avviare un dialogo con il responsabile delle risorse umane che permettesse di aprire una porta al rientro di Riccardo, responsabile che nell'arco dei tre giorni di presidio non rispose mai alla richiesta d’incontro. Di certo non si può pretendere del fegato da un burattino del capitale. La vicenda si è in seguito risolta con l'avvio di un'azione legale da parte del lavoratore conclusasi con il riconoscimento da parte del giudice dell’inconsistenza, dell’aleatorietà della motivazione di parte aziendale e dunque con il suo rientro nel posto di lavoro, anche se trasferito di reparto.
Ci sarebbe anche da raccontare dell’ultima
di innumerevoli proteste sotto il Mise dello scorso gennaio, dove alla
presenza di ben 700 operai venuti da Taranto con 14 pullman si è
consumata l'ennesima beffa ai nostri danni: al tavolo convocato dal
ministro Urso per i sindacati si sarebbe dovuto discutere in particolar
modo dell’aumento di capitale da parte della partecipata statale
Invitalia all'interno della società Acciaierie d’Italia in modo tale da
raggiungerne la maggioranza delle quote e così avere un peso decisionale
maggiore in consiglio di amministrazione (da premettere come noi dello
Slai Cobas non riteniamo l'aumento di capitale della parte pubblica come
questione dirimente, risolutiva delle condizioni dei lavoratori in
fabbrica). Al termine del tavolo, da un ministro di nome Adolfo, non si
poteva certo sperare in un esito favorevole per i lavoratori e difatti
così è stato, determinando ufficialmente come questi personaggi vivano
di corsi e ricorsi storici. Usciti dal Mise con un pugno di mosche in
mano, i tre segretari De Palma, Palombella e Rizzo, rispettivamente di
Fiom, Uilm e USB nelle dichiarazioni finali avevano annunciato di essere
sul piede di guerra e riprendere con gli scioperi. Tempo una settimana
ed è tutto crollato come un castello di carta, infatti convocati
nuovamente ma questa volta dall'azienda nella sede di Confindustria, i
tre confederali in assenza però dell’USB sono usciti rincuorati dalle
promesse della direzione aziendale sulla ripresa delle attività, peccato
però che non abbiano fatto minimo cenno al taglio dei numeri della
cassintegrazione e che quelle fatte ad oggi risultino promesse da
marinaio. Ma Fim-Fiom-Uilm sono comunque contenti del tavolo in quanto
tale.
Ho stilato un parziale elenco di eventi non per fare una
semplice cronistoria degli accadimenti del nostro stabilimento, ma per
ribadire ancora una volta che non dobbiamo mollare la guida della classe
operaia, che essa va diretta verso un obiettivo comune, e che questo
compito non può essere lasciato ai collaborazionisti del capitale.
Così come ho iniziato nominando un film concludo accennando la strofa di una canzone:
"Da ogni angolo di questa terra
Un grido si alzerà
Resurrezione, insurrezione
La lotta continuerà"
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