Con il rialzo della curva dei contagi in Italia tanto si è speculato sull’aumento degli sbarchi sulle coste italiane di migranti provenienti dalla Tunisia, com’era prevedibile i due fenomeni sono stati posti demagogicamente in correlazione a partire dai partiti neofascisti reazionari all’opposizione (Lega e FDI) e da esponenti della maggioranza stessa uno su tutti dal “democratico” Minniti (vero padre putativo dei decreti sicurezza salviniani) nonché dai populisti reazionari grillini. Un coro unanime che in nome della sicurezza sanitaria degli italiani ancora una volta punta il dito contro l’immigrato che oggi oltre ad essere visto come un criminale e stupratore, ricopre il ruolo di untore. In realtà seppur in aumento, gli sbarchi di migranti tunisini né sono “fuori controllo” né sono la causa della nuova ondata di contagi nel nostro paese.
Qualcuno
diceva che “la verità è rivoluzionaria”, è necessario quindi riaffermare
tale verità per spazzare via il velo di menzogne che facendo presa tra
le masse si è già tradotto in violenze e aggressioni a sfondo razziale,
vedi quanto avvenuto a Marsala recentemente.
La Tunisia
post-Rivolta è al centro delle attenzioni delle potenze imperialiste
europee, come l’Italia, che aveva favorito l’ascesa di Ben Ali, la
Francia e di tutte le altre. In particolare l’Italia dalla sua nascita
in quanto Stato-nazione ha sempre considerato la Tunisia come un
territorio da colonizzare di
diritto o quantomeno come il proprio “cortile di casa”. Le mire dell’imperialismo italiano da sempre si scontrano in primis con quello francese.
diritto o quantomeno come il proprio “cortile di casa”. Le mire dell’imperialismo italiano da sempre si scontrano in primis con quello francese.
Seppur nel
contesto generale, l’interesse comune europeo è quello di chiusura delle
frontiere (ma in realtà ogni paese in base alle proprie necessità di
manodopera fissa delle quote d’ingresso) ogni paese porta avanti la
propria politica migratoria tramite rapporti bilaterali con il governo
tunisino, in questo caso, travestendo la propria sete di investimenti
nel paese e conseguentemente l’attrazione di quest’ultimo nella propria
sfera d’influenza, con argomentazioni da politiche umanitarie e sulla
sicurezza.
Un recente rapporto
pubblicato su inkyfada.org mostra chiaramente come il cappio degli
Investimenti Diretti all’Estero (IDE) svolga un ruolo non indifferente
in materia di controllo dell’emigrazione illegale e come l’Unione
Europea e alcuni suoi paesi membri (in particolare Germania, Francia,
Italia e Belgio) utilizzino lo spauracchio dell’immigrazione per
minacciare il governo tunisino di chiudere i rubinetti di tali
investimenti (i quali lungi dall’essere fonte di “sviluppo” per il
popolo tunisino servono a rafforzare il potere della classe dominante e
parassitaria del paese e del proprio Stato che mantiene il paese in una
situazione neo-coloniale e semi-feudale).
Lo stesso
rapporto ci dice che dal 2016 la Tunisia ha ricevuto investimenti
europei di varia origine per 58 milioni di euro e se contiamo a partire
dal 2011 (anno in cui è iniziata la cosiddetta “transizione
democratica”, leggi restaurazione) si parla di 2,5 miliardi di euro,
l’obiettivo dichiarato di tali investimenti è quello di “rimuovere le
cause dell’emigrazione”, in realtà tali interventi si traducono in
finanziamento agli apparati repressivi e polizieschi dello Stato
tunisino ed in particolare al controllo delle frontiere: il cosiddetto
fenomeno dell’esternalizzazione delle frontiere europee in paesi
extraeuropei. Tornando all’Italia, quest’ultima tra il 2011 ed il 2017
ha fornito una dozzina di motovedette alla guardia costiera tunisina e
oltre 12 milioni di euro per l’ammodernamento di quelle già in possesso
di quest’ultima. Il risultato atteso dall’Italia imperialista è che il
paese dipendente riduca efficacemente i flussi pena la chiusura del
rubinetto dei finanziamenti come ricordato prima, non a caso
all’indomani di tale accordo, la guardia costiera tunisina speronava un
barcone partito dalle coste tunisine di Sfax causando una vera e propria
strage con decine di morti. La notizia fece scalpore nella Tunisia
della transizione democratica in cui vi è quantomeno una parvenza di
democrazia formale, nella Libia della guerra tra bande e per interposta
persona come sappiamo avvengono stragi simili a cui si aggiunge anche un
vero è proprio mercato schiavistico dei migranti oltre all’arruolamento
forzato…
Anche gli
altri paesi europei su citati ricorrono a tali finanziamenti aventi come
obiettivo generale l’esternalizzazione delle frontiere che si traducono
in finanziamenti o trasferimenti di beni alla guardia nazionale,
polizia ed esercito tunisino.
Intanto il
presidente della repubblica Kais Saied a seguito della visita della
ministra degli interni italiani Lamorgese alla fine del mese scorso, da
un lato ha ribadito che la questione migratoria non può essere trattata
in termini prettamente securitari dall’altro ieri ha rinnovato di un
anno lo status di “regione militare” riguardanti la frontiera orientale
con la Libia e quella centro-occidentale e meridionale con l’Algeria,
esso rafforza le prerogative delle autorità militari nel controllo
securitario delle frontiere: ciò è in contraddizione da quanto predicato
dallo stesso Saied infatti a farne le spese non sono solo i migranti,
ma anche i padri di famiglia e giovani che pur non volendo emigrare ma
non riuscendo a sbarcare il lunario in tali regioni frontaliere come
quella di Tataouine, praticano il contrabbando e cadono spesso, al
rientro dalla frontiera sotto il fuoco delle forze militari le quali
recentemente uccidendo uno di loro hanno provocato l’ira della
popolazione già in fermento nella regione. Come si dice “chi semina
vento raccoglie tempesta”: recentemente alcuni contrabbandieri hanno
risposto al fuoco ferendo dei militari e facendo gridare allo
spauracchio dell’intervento di potenze straniere operanti in Libia
quando è proprio il governo che apre la porta a tali potenze in chiave
antinazionale!
Oltre alla
repressione ed al controllo delle frontiere, negli ultimi incontri
bilaterali l’Italia ha annunciato di riprendere con i rimpatri
settimanali via aerea di 80 tunisini in spregio del diritto
internazionale che prevede la possibilità per il migrante (qualunque
persona al mondo ha diritto di migrare secondo l’attuale diritto
internazionale invalidando teoricamente il concetto di “migrazione
clandestina”) di fare richiesta d’asilo o per ottenere lo status di
rifugiato. Il ministro degli esteri Di Maio riprende le argomentazioni
del suo ex alleato di governo Salvini che la Tunisia essendo un paese
non in guerra e dove si svolgono elezioni democratiche, è un “porto
sicuro” ciò dovrebbe giustificare tali rimpatri, rafforzati
dall’argomento del pericolo pandemia.
Il
FTDES (Forum Tunisino dei Diritti Economici e Sociali) lo scorso 19
giugno ha pubblicato un rapporto dal titolo eloquente: “Politica di non
accoglienza in Tunisia”. La Tunisia infatti oggi non è solo terra
d’emigrazione ma anche terra d’immigrazione come conseguenza della
relativa stabilità del paese (pur essendo quest’ultima appesa ad un
filo), la sua vicinanza alle coste italiane ma allo stesso tempo la
sempre maggiore difficoltà nell’attraversare lo stretto di Sicilia.
Questo cocktail ha fatto si che migliaia di africani subsahariani
rimangano bloccati per mesi ed anni in Tunisia più o meno
volontariamente. Il rapporto mette in luce come il governo tunisino
tratti tali immigrati alla stregua di come facciano i governi europei:
“respingimenti alla frontiera, condizioni di permanenza disastrose,
deficienza nella presa a carico sanitaria, mancanza d’informazioni,
impedimenti per la domanda d’asilo […] razzismo, […] espulsioni in pieno
deserto…”
Questo
ci dice che da un lato la Tunisia non rappresenta un “porto sicuro” per
eventuali barconi di migranti respinti dall’Italia e da Malta (così
come non lo è la Libia), dall’altro che seppur formalmente la Tunisia
abbia finora rifiutato le “proposte” europee ed italiane di divenire una
sorta di “paese hotspot”, le politiche europee di chiusura delle
proprie frontiere e i rimpatri e la pressione migratoria che non trova
un adeguato sfogo verso i paesi di destinazione, oltre ad aver fatto
entrare il paese in questa transizione in cui nella fase attuale è sia
paese d’emigrazione che paese d’immigrazione, rischia di far cedere la
classe dirigente tunisina alle avances imperialiste per poter restare in
sella data la pressione sociale che rischia di esplodere a causa della
crisi economica crescente determinata strutturalmente dalla sua natura
dipendente dall’imperialismo (indebitamento crescente, economia export
oriented di materie prime penalizzando ad esempio il mercato alimentare
interno, sviluppo predominante del terzo settore e delle sue parti più
speculative) e aggravata ulteriormente dalla pandemia che ha paralizzato
tali settori.
Negli ultimi
mesi sono già esplose “mini rivolte regionali” a Gafsa e Tataouine
(rispettivamente la regione in cui si estraggono fosfati e quella in cui
vi è la maggiore presenza di giacimenti di petrolio) paralizzando di
conseguenza la regione industriale di Gabès dove hanno sede i principali
impianti chimici del paese. Ciò ha aggravato ulteriormente la
situazione economica del paese in questo frangente in cui anche
l’agognata stagione turistica non è mai partita. Se i rischi di una
rivolta generalizzata dovrebbero concretizzarsi, come già successo del
resto recentemente nell’area in Algeria, Sudan, Iraq e Libano, non è da
escludere che una classe dirigente per sua natura burocratica e
compradora possa ritenersi obbligata ad accettare l’offerta di ulteriori
finanziamenti in cambio di una totale subordinazione alle politiche
migratorie dei paesi europei.
D’altronde è
solo tramite la rivolta popolare che il popolo tunisino ha già
dimostrato di poter rovesciare un regime poliziesco e autocratico
ventennale ma il merito della rivolta ha anche mostrato il suo limite:
se essa non si sviluppa in Rivoluzione di Nuova Democrazia le forze
reazionarie sostenute dall’imperialismo capitalizzano a proprio
vantaggio il vuoto di potere intaurando un regime equalmente
anti-popolare e reazionario.
Intanto
ieri una manifestazione di protesta si è tenuta davanti all’ambasciata
di Italia in cui erano presenti i familiari di alcuni giovani
rimpatriati o in via di rimpatrio denunciando l’illegittimità dei
rimpatri del governo italiano e allo stesso tempo contrastando la
propaganda razzista dei migranti-untori, del resto sempre nella giornata di ieri si ha avuta notizia che dei 700 migranti in quarantena su una nave italiana,
solo 12 migranti di varie nazionalità dell’Africa subsahariana
risultino contagiati e posti in isolamento, la stessa fonte indica che
da gennaio a oggi 6185 immigrati sono arrivati in Italia (di cui 197
rimpatriati), siamo ben lontani dallo spauracchio albanese agitato dal
ministero dell’interno italiano…
E’ quantomai necessario che le masse
popolari italiani combattano il proprio governo e le opposizioni
reazionarie razzisti, in solidarietà con il popolo tunisino in lotta per
i propri diritti in Tunisia e per il sacrosanto diritto di libera
circolazione!
I governi della borghesia al servizio dei
padroni sono il nemico e i reali responsabili dell’aggravarsi della
pandemia, non i popoli!
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