L’accordo tra Israele ed Emirati Arabi Uniti è contro l’Iran e contro la Turchia
L’intesa raggiunta con la mediazione degli Stati Uniti consolida l’asse anti-persiano e rappresenta un avvertimento nei confronti di Erdoğan. E la Palestina? Di fatto è già dimenticata.
di Niccolò Locatelli da limes 13/08/2020
ISRAELE, EMIRATI ARABI UNITI, SCONTRO USA-IRAN, TURCHIA, ARABIA SAUDITA, APPUNTI GEOPOLITICI, MEDIO ORIENTE
Con la mediazione degli Stati Uniti, Israele e gli Emirati Arabi Uniti hanno raggiunto un accordo per la normalizzazione delle relazioni diplomatiche.
Gli Emirati sono appena il terzo paese arabo dopo Egitto (1979) e Giordania (1994) a stabilire formalmente un rapporto con lo Stato ebraico, che è stato prima combattuto militarmente e poi isolato diplomaticamente dai vicini regionali per via del suo dominio sulla Palestina.
Sulla Palestina si registra una novità, per quanto temporanea: Israele si è impegnato a sospendere la dichiarazione di sovranità su territori assegnatigli dalla “Visione per la pace“, il piano del presidente Usa Donald Trump per risolvere il conflitto israelo-palestinese (eliminando di fatto la possibilità di uno Stato palestinese indipendente). A detta di Trump, invece di dedicarsi alla Palestina, il governo del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si concentrerà sull’ampliamento dei rapporti “con il mondo arabo e islamico”.
Proprio nel riferimento al mondo arabo e islamico sta l’importanza dell’accordo raggiunto a coronamento di un processo di disgelo in corso da anni, che ha riguardato non solo gli Emirati ma anche l’Arabia Saudita. Questi tre paesi hanno in comune lo stesso protettore – gli Stati Uniti – e lo stesso rivale – l’Iran, potenza sciita non-araba che conta su una sfera d’influenza estesa fino al Mediterraneo. Gli Emirati possono fare da apripista a un’intesa in chiave anti-iraniana tra mondo arabo e Israele.
L’accordo tra Israele ed Emirati Arabi Uniti riguarda anche la Turchia. Sotto il presidente Recep Tayyip Erdoğan, Ankara si è resa protagonista di un’assertiva politica mediorientale e africana sostenuta idealmente dai richiami all’impero ottomano e finanziamente dal Qatar. Mentre il rapporto della Turchia con Israele attraversa attualmente uno dei momenti più alti di questo millennio, quello con Abu Dhabi è ai minimi termini. E non potrebbe essere altrimenti, dato che i due paesi hanno agende in conflitto ovunque, dalla Libia alla Siria, con Erdoğan che è rimasto l’unico sostenitore dell’islamismo politico della Fratellanza musulmana.
La mediazione di Trump è un segnale dell’apprezzamento di Washington per l’ambizioso principe ereditario Mohammed bin Zayed, leader di fatto della federazione emiratina. In una fase in cui l’Arabia Saudita – tradizionale cliente degli Stati Uniti – attraversa una forte instabilità legata al crollo del prezzo del petrolio e soprattutto alla scalata al potere del principe ereditario Mohammed bin Salman (scalata lungi dall’essere compiuta). Abu Dhabi serve dunque agli Usa non solo contro l’Iran, ma anche per contenere la Turchia, membro Nato che non disdegna abboccamenti tattici con la Russia per ampliare il proprio margine di autonomia dalla superpotenza.
L’avvicinamento tra Israele e mondo arabo implicherà la progressiva scomparsa della questione palestinese dalle agende regionali. Una scomparsa già avvenuta di fatto, che però non può ancora essere esplicitata dai paesi arabi per motivi di politica interna.
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