La strage nelle carceri. Ora ci sono i testimoni…
E’
la stata la più grande mattanza di detenuti nella storia italiana del
dopoguerra. In seguito alla più diffusa e spoliticizzata delle rivolte.
Isolata e senza sponde nella “società civile” (figuriamoci in quella
politica, ormai popolata solo di mostri uniformati sullo slogan “legge e
ordine”) è passata nel dimenticatoio nello spazio di un mattino.
Tredici morti tutte attribuite ad “overdose di farmaci dopo il saccheggio delle infermerie”. E’ la nuova versione dell’antico “caduto dalle scale”…
Nel Paese che finge di solidarizzare col movimento Black Lives Matter, finché è limitato agli Stati Uniti di Trump (con altri presidenti non sarebbe e non è accaduto), si chiudono gli occhi e anche gli occhiali sulla realtà di polizie fuori controllo, abituate da decenni a interpretare il proprio ruolo come “potere di vita e di morte sui normali cittadini”, al di fuori di ogni legge.
Ma la prepotenza si associa sempre con la vigliaccheria, e dunque non troverete mai che
simili atti di violenza gratuita siano esercitati contro signori ben vestiti alla guida di auto di lusso. Le conseguenze, in quel caso, ci sarebbero. Eccome… E i poliziotti di ogni grado lo sanno benissimo.
La storia carceraria italiana, così come la cronaca quotidiana, è piena di “morti sospette”, spesso determinate da pestaggi gratuiti e violenze commesse nella certezza dell’impunità. Ricordiamo i casi più noti (Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi, Giuseppe Uva, ecc) solo grazie alla determinazione delle famiglie, assistite da validi avvocati. Di tutti gli altri si è persa traccia.
Proprio i casi più noti definiscono il format tipico di tutti questi omicidi.
In ogni caso c’è un soggetto debole – per costituzione fisica, tossicodipendenza, stato confusionale, ecc – che ricade facilmente tra le figure sociali negative.
Quasi sempre non ci sono altri testimoni oltre agli agenti di polizia o, quando ci sono, sono “colleghi della vittima”, facilmente rubricati tra gli “inattendibili” o più facilmente ancora tacitabili con minacce e ritorsioni certe.
Sempre – ed è uno degli elementi più osceni – c’è la complicità dei medici penitenziari. L’esempio più famoso e clamoroso è quello della caserma di Bolzaneto, a Genova nel 2001, dove alcuni medici penitenziari partecipavano direttamente ai pestaggi e alle torture.
Sempre c’è un magistrato “disattento”, o apertamente condiscendente, che prende per oro colato i rapporti di servizio degli agenti. Chi crede ancora nel ruolo della magistratura astratta (l’idea di giustizia) farebbe bene a leggersi un po’ di atti processuali relativi a queste morti. Scoprirebbe la magistratura reale.
Questo format ricorre anche nel caso delle rivolte e della mattanza di inizio marzo, ma su scala infinitamente più grande.
L’agenzia di stampa Agi, la seconda dopo l’Ansa, ha ricevuto due lettere di testimoni diretti di almeno un pestaggio conclusosi con la morte di un detenuto in quei giorni. Il resto su soccorso rosso proletario
Tredici morti tutte attribuite ad “overdose di farmaci dopo il saccheggio delle infermerie”. E’ la nuova versione dell’antico “caduto dalle scale”…
Nel Paese che finge di solidarizzare col movimento Black Lives Matter, finché è limitato agli Stati Uniti di Trump (con altri presidenti non sarebbe e non è accaduto), si chiudono gli occhi e anche gli occhiali sulla realtà di polizie fuori controllo, abituate da decenni a interpretare il proprio ruolo come “potere di vita e di morte sui normali cittadini”, al di fuori di ogni legge.
Ma la prepotenza si associa sempre con la vigliaccheria, e dunque non troverete mai che
simili atti di violenza gratuita siano esercitati contro signori ben vestiti alla guida di auto di lusso. Le conseguenze, in quel caso, ci sarebbero. Eccome… E i poliziotti di ogni grado lo sanno benissimo.
La storia carceraria italiana, così come la cronaca quotidiana, è piena di “morti sospette”, spesso determinate da pestaggi gratuiti e violenze commesse nella certezza dell’impunità. Ricordiamo i casi più noti (Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi, Giuseppe Uva, ecc) solo grazie alla determinazione delle famiglie, assistite da validi avvocati. Di tutti gli altri si è persa traccia.
Proprio i casi più noti definiscono il format tipico di tutti questi omicidi.
In ogni caso c’è un soggetto debole – per costituzione fisica, tossicodipendenza, stato confusionale, ecc – che ricade facilmente tra le figure sociali negative.
Quasi sempre non ci sono altri testimoni oltre agli agenti di polizia o, quando ci sono, sono “colleghi della vittima”, facilmente rubricati tra gli “inattendibili” o più facilmente ancora tacitabili con minacce e ritorsioni certe.
Sempre – ed è uno degli elementi più osceni – c’è la complicità dei medici penitenziari. L’esempio più famoso e clamoroso è quello della caserma di Bolzaneto, a Genova nel 2001, dove alcuni medici penitenziari partecipavano direttamente ai pestaggi e alle torture.
Sempre c’è un magistrato “disattento”, o apertamente condiscendente, che prende per oro colato i rapporti di servizio degli agenti. Chi crede ancora nel ruolo della magistratura astratta (l’idea di giustizia) farebbe bene a leggersi un po’ di atti processuali relativi a queste morti. Scoprirebbe la magistratura reale.
Questo format ricorre anche nel caso delle rivolte e della mattanza di inizio marzo, ma su scala infinitamente più grande.
L’agenzia di stampa Agi, la seconda dopo l’Ansa, ha ricevuto due lettere di testimoni diretti di almeno un pestaggio conclusosi con la morte di un detenuto in quei giorni. Il resto su soccorso rosso proletario
Nessun commento:
Posta un commento