Hier, les manifestants ont affronté pour une deuxième journée d’affilée les forces de sécurité libanaises à Beyrouth, afin d’exprimer leur colère contre le régime corrompu du pays dont la négligence a mené aux explosions survenues dans la capitale mardi. Des centaines de personnes se sont rassemblées en soirée devant l’une des entrées du parlement, qui a été incendiée. D’autres groupes de manifestant·es se sont rendus devant l’hôtel Le Grey et sur la place des Martyrs. Certains sont entrés dans les bâtiments des ministères des Travaux et des Déplacés, dans le même secteur, au centre-ville, tandis que d’autres pénétraient dans ceux du Logement et des Transports. Les forces de sécurité ont tiré de nombreuses grenades lacrymogènes contre les manifestant·es, qui ont répliqué avec des jets de pierres et des projectiles. Les affrontements se sont poursuivis aujourd’hui, ce qui a conduit le premier ministre, Hassan Diab, à démissionner suivant ainsi l’exemple de plusieurs autres ministres avant lui.
Libano: i possibili scenari dopo le dimissioni del governo di Diab da agenzianova
Roma, 10 ago 19:19 - (Agenzia Nova) - Il primo
ministro libanese, Hassan Diab, ha annunciato le dimissioni del suo
governo. Dopo la duplice esplosione di martedì 4 agosto, costata la vita
a 158 persone, nel porto di Beirut si erano già dimessi cinque ministri
e la popolazione della capitale è scesa in strada per protestare contro
l’intera classe politica. Secondo alcuni analisti contattati da
“Agenzia Nova” ci sono almeno due scenari possibili a livello politico:
un nuovo governo tecnico oppure nuove elezioni. Tuttavia, i manifestanti
che in queste ore stanno protestando davanti alla sede
del parlamento potrebbero non essere soddisfatti dei due possibili scenari e potrebbero chiedere un cambiamento radicale dell’intera classe politica. “Nel caso dell’annuncio di dimissioni sono possibili due scenari”, afferma ad “Agenzia Nova” Matteo Bressan, docente di Relazioni internazionali e studi strategici presso la Lumsa e analista del Nato Defense College Foundation. Una prima ipotesi
delineata da Bressan vedrebbe la “possibilità che i partiti politici libanesi cerchino di creare un nuovo governo da presentare come tecnico per affrontare la crisi”. L’esperto, tuttavia, nutre “forti dubbi che questa soluzione possa placare le proteste popolari scoppiate sabato”. Un altro possibile scenario illustrato da Bressan riguarda possibili “elezioni anticipate che andrebbero a cambiare sicuramente la maggioranza del parlamento e che, quindi, avrebbero un impatto sia sul nuovo esecutivo ma, soprattutto, sull’elezione del prossimo presidente della Repubblica prevista nel 2022”.
“Qualora i principali padrini, ovvero coloro che manovrano la politica libanese, decidessero per un governo tecnico le forze di minoranza potrebbero con le dimissioni in massa dei loro parlamentari bloccare di fatto il parlamento – aggiunge -. Sarebbe un gesto molto forte. Ma questa azione dovrebbe poi coinvolgere (l’opposizione) i partiti Kataeb di Sami Gemayel, le Forze libanesi, il Partito socialista progressista di Walid Jumblatt sia Hariri (il leader del partito sunnita Al Mustaqbal) e su questo non è scontato che siano tutti d’accordo”. L’analista sottolinea che “certamente un blocco del parlamentare andrebbe a complicare ulteriormente la situazione”.
“Le dimissioni dell’esecutivo Diab e le possibili elezioni anticipate difficilmente riusciranno a porre concreto rimedio alla situazione politica e sociale del paese”, afferma ad “Agenzia Nova” Roberta La Fortezza, analista per la regione Medio Oriente e Nord Africa e Sahel per Ifi Advisory e dottore di ricerca in Storia delle Relazioni Internazionali. La Fortezza sostiene che “con riferimento alle proteste, sebbene potrebbero diminuire di intensità rispetto a quelle viste negli ultimi giorni, esse appaiono destinate a riproporsi anche nel breve periodo con cicliche escalation delle violenze. Del resto la stessa nomina dell'esecutivo Diab alla fine del 2019 non aveva frenato le proteste esplose fin dal mese di ottobre”.
“Sul piano politico-istituzionale, poi, l’intera società libanese appare legata, in ogni sua declinazione, alle logiche clientelari dettate soprattutto dall’appartenenza alle comunità confessionali e alle grandi famiglie che controllano tutte le principali attività statuali e di fornitura dei servizi essenziali, a cui si aggiunge l’identificazione diretta dei gruppi confessionali nei partiti politici libanesi. Nonostante le svariate richieste di riforme (i manifestanti sono scesi in piazza invocando, anzi, la rivoluzione), la strutturazione politico-istituzionale del Libano, così come quella sociale, rappresenta il più grande freno a un reale cambiamento delle strutture politico-istituzionali”, aggiunge. L’esperta evidenzia che “anche qualora dovessero esserci elezioni anticipate, dunque, i candidati e i partiti sarebbero i medesimi della classe politica attuale, rispecchiando conseguentemente quelle stesse logiche di potere che la popolazione libanese non appare più incline ad accettare ma nelle quali è, volente o no, integrata. Inoltre, per tutte queste stesse ragioni eventuali elezioni anticipate potrebbero avere come conseguenza un rinnovato vuoto politico protratto (come già accaduto per le elezioni presidenziali di Aoun e per quelle parlamentari del 2018)”. Infine, conclude La Fortezza, “il nuovo governo continuerebbe a trovarsi davanti alla sfida più difficile e delicata, quella economica. In tale prospettiva la possibilità di risollevare il paese dalle difficoltà economico-finanziarie dipenderà in larga parte dalle capacità del futuro esecutivo di negoziare gli aiuti finanziari con gli attori internazionali, senza generare estremi sbilanciamenti geopolitici (pena un accrescimento dell’instabilità geopolitica e delle pressioni esterne)”.
del parlamento potrebbero non essere soddisfatti dei due possibili scenari e potrebbero chiedere un cambiamento radicale dell’intera classe politica. “Nel caso dell’annuncio di dimissioni sono possibili due scenari”, afferma ad “Agenzia Nova” Matteo Bressan, docente di Relazioni internazionali e studi strategici presso la Lumsa e analista del Nato Defense College Foundation. Una prima ipotesi
delineata da Bressan vedrebbe la “possibilità che i partiti politici libanesi cerchino di creare un nuovo governo da presentare come tecnico per affrontare la crisi”. L’esperto, tuttavia, nutre “forti dubbi che questa soluzione possa placare le proteste popolari scoppiate sabato”. Un altro possibile scenario illustrato da Bressan riguarda possibili “elezioni anticipate che andrebbero a cambiare sicuramente la maggioranza del parlamento e che, quindi, avrebbero un impatto sia sul nuovo esecutivo ma, soprattutto, sull’elezione del prossimo presidente della Repubblica prevista nel 2022”.
“Qualora i principali padrini, ovvero coloro che manovrano la politica libanese, decidessero per un governo tecnico le forze di minoranza potrebbero con le dimissioni in massa dei loro parlamentari bloccare di fatto il parlamento – aggiunge -. Sarebbe un gesto molto forte. Ma questa azione dovrebbe poi coinvolgere (l’opposizione) i partiti Kataeb di Sami Gemayel, le Forze libanesi, il Partito socialista progressista di Walid Jumblatt sia Hariri (il leader del partito sunnita Al Mustaqbal) e su questo non è scontato che siano tutti d’accordo”. L’analista sottolinea che “certamente un blocco del parlamentare andrebbe a complicare ulteriormente la situazione”.
“Le dimissioni dell’esecutivo Diab e le possibili elezioni anticipate difficilmente riusciranno a porre concreto rimedio alla situazione politica e sociale del paese”, afferma ad “Agenzia Nova” Roberta La Fortezza, analista per la regione Medio Oriente e Nord Africa e Sahel per Ifi Advisory e dottore di ricerca in Storia delle Relazioni Internazionali. La Fortezza sostiene che “con riferimento alle proteste, sebbene potrebbero diminuire di intensità rispetto a quelle viste negli ultimi giorni, esse appaiono destinate a riproporsi anche nel breve periodo con cicliche escalation delle violenze. Del resto la stessa nomina dell'esecutivo Diab alla fine del 2019 non aveva frenato le proteste esplose fin dal mese di ottobre”.
“Sul piano politico-istituzionale, poi, l’intera società libanese appare legata, in ogni sua declinazione, alle logiche clientelari dettate soprattutto dall’appartenenza alle comunità confessionali e alle grandi famiglie che controllano tutte le principali attività statuali e di fornitura dei servizi essenziali, a cui si aggiunge l’identificazione diretta dei gruppi confessionali nei partiti politici libanesi. Nonostante le svariate richieste di riforme (i manifestanti sono scesi in piazza invocando, anzi, la rivoluzione), la strutturazione politico-istituzionale del Libano, così come quella sociale, rappresenta il più grande freno a un reale cambiamento delle strutture politico-istituzionali”, aggiunge. L’esperta evidenzia che “anche qualora dovessero esserci elezioni anticipate, dunque, i candidati e i partiti sarebbero i medesimi della classe politica attuale, rispecchiando conseguentemente quelle stesse logiche di potere che la popolazione libanese non appare più incline ad accettare ma nelle quali è, volente o no, integrata. Inoltre, per tutte queste stesse ragioni eventuali elezioni anticipate potrebbero avere come conseguenza un rinnovato vuoto politico protratto (come già accaduto per le elezioni presidenziali di Aoun e per quelle parlamentari del 2018)”. Infine, conclude La Fortezza, “il nuovo governo continuerebbe a trovarsi davanti alla sfida più difficile e delicata, quella economica. In tale prospettiva la possibilità di risollevare il paese dalle difficoltà economico-finanziarie dipenderà in larga parte dalle capacità del futuro esecutivo di negoziare gli aiuti finanziari con gli attori internazionali, senza generare estremi sbilanciamenti geopolitici (pena un accrescimento dell’instabilità geopolitica e delle pressioni esterne)”.
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