Trento,
considerazioni critiche sull’assemblea di
“Potere al Popolo”
Il 12/01/2018 si è tenuta anche a
Trento l’assemblea di “Potere al Popolo”. L’incontro presieduto da Antonia
Romano dell’”Altra Trento a Sinistra” cha ha visto, tra gli altri, la
partecipazione di Lucia Amorosi dell’ex OPG Napoli era anche incentrato sull’organizzazione delle liste per il Trentino-Alto Adige. Circa
duecento i presenti.
L’intervento di apertura della
consigliera del comune di Trento Romano, rappresentante dal 2015 di un aggregato
di forze di sinistra istituzionale costituito da pezzi di SEL, del PRC ecc., ha
riproposto il solito schema della necessità di sintetizzare i movimenti
promuovendo l’unificazione dei conflitti e delle lotte anche assicurando una
rappresentanza istituzionale. Per l’occasione tutto questo è stato presentato
come la proposta di un’alternativa utopica volta a “dare voce a chi non ha voce”
ed a “restituire rappresentanza al popolo”. Inoltre ha sottolineato come
l’assemblea non avrebbe certo potuto limitarsi alla discussione, ma avrebbe
dovuto anche occuparsi delle candidature locali, dell’organizzazione della
raccolta delle firme, ecc.
Successivamente è intervenuta
Lucia Amorosi ex OPG Napoli del coordinamento nazionale. L’esperienza del centro
occupato ex OPG e delle attività realizzate nel rapporto con differenti realtà popolari di alcuni
quartieri di Napoli, su cui lungamente si è soffermata l’Amorosi, è stata
presentata
come un’esperienza modello tale da richiedere, in collegamento con realtà analoghe ed in generale con le diverse situazioni di conflitto e di lotta, una forma di rappresentanza in grado di assicurare una possibilità decisionale ad una vasta area sociale e politica di opposizione sulla base del programma elaborato dal coordinamento nazionale.
come un’esperienza modello tale da richiedere, in collegamento con realtà analoghe ed in generale con le diverse situazioni di conflitto e di lotta, una forma di rappresentanza in grado di assicurare una possibilità decisionale ad una vasta area sociale e politica di opposizione sulla base del programma elaborato dal coordinamento nazionale.
Su questa linea si sono mantenuti
anche i successivi interventi, alcuni dei quali hanno sottolineato la necessità
della “rottura dell’Europa” riproponendo in sostanza la tesi per cui i problemi
per la democrazia, per le condizioni di vita e di lavoro, per i servizi di
rilevanza pubblica ecc., trovano le loro radici nei diktat e nei regolamenti
imposti dal “capitale finanziario europeo”.
Il dibattito è durato
relativamente poco, ad un certo punto Pantano a nome del coordinamento regionale
di “Potere al popolo” (costituitosi evidentemente nelle scorse settimane in
forme non pubbliche), ha tirato fuori, già preconfezionata, la lista delle
candidature. Ovviamente formata dalla “sinistra radicale” e per niente dissimile
(quasi un copia incolla) da quelle del passato, da Rifondazione all’”Altra
Trento a sinistra”. Quindi la serata è proseguita con le “questioni
organizzative” (raccolta firme, coordinamento tecnico, organizzazione di
raccolte fondi con assicurazione di puntuali resoconti, pubblicizzazione della
lista, rapporti con la stampa, volantinaggi,
ecc.).
Il nostro è stato l’unico
intervento controcorrente.
Abbiamo fatto presente che se
avevamo delle aspettative iniziali e che se ipotizzavamo persino la possibilità
di votare per la lista avevamo presto cambiato idea dopo aver minimamente
approfondito i termini di tale operazione. Abbiamo rilevato e denunciato il
grande deficit di ragionamento politico emerso nei vari interventi
dell’assemblea a partire dai promotori della stessa, dall’assenza di una
proposta politica ed ideologica capace di confrontarsi con l’avanzamento del
fascismo nel nostro paese, alla totale assenza di bilanci del passato. Abbiamo
quindi criticato chi, come la lista “potere al popolo”, propone programmi
unificando varie istanze, la maggior parte formalmente scontate, di lotte,
movimento e soggettività sociali e politiche, senza mai precisare come si
dovrebbero conseguire gli obiettivi programmatici indicati.
Abbiamo criticato a fondo la tesi
illusoria e demagogica di questi ragionamenti che rimandano ad una sorta di
credenza mistica nella capacità delle lotte e dei movimenti e delle (cosiddette)
loro rappresentanze in sede istituzionale di generare meccanicamente lotte e
movimenti più ampi, un crescente consenso anche elettorale ed una crescente
capacità di “presenza istituzionale”.
Abbiamo posto il problema, per
colpire il nazionalismo di fondo dei ragionamenti sulla fuori-uscita
dall’Europa, di chi dovrebbe poi gestire un’effettiva rottura progressiva
dell’Europa, visto che in sé la “rottura dell’Europa” non presenta nulla di
democratico. Infine abbiamo denunciato come un imbroglio la pretesa di colmare
il “vuoto politico a sinistra” (ammesso
e non concesso l’uso di quest’ambigua terminologia) con chi è stato
eventualmente il principale responsabile della creazione di tale “vuoto” ossia
quella stessa “sinistra radicale anticapitalistica” che oggi si ricicla con
tutta evidenza in “potere al popolo” assumendo in essa un ruolo centrale.
Sigla, quella di “potere al
popolo” per altro accattivante in una situazione di dilagante populismo secondo
la logica per cui “evocare il popolo” può contribuire a “costruirlo” e,
soprattutto, a cavalcarlo.
A questo resoconto è necessario
aggiungere qui sinteticamente alcune ulteriori considerazioni.
Tutto questo è avvenuto dopo il
misero e miserabile tentativo del Brancaccio approfittando delle opportunità che
realtà come l’ex OPG con la proposta della lista “potere al popolo” hanno
offerto alla vecchia e logora “sinistra radicale anticapitalistica” (PRC in
primo luogo) di ricostruirsi un immagine minimamente passabile.
Evidentemente l’ex OPG non si è
prestato a quest’operazione trasformista per ingenuità, ma per scelta, poiché ad
un certo punto la scelta a questo tipo di realtà si impone per forza di
cose. Quando si iniziano a costruire
elementi di “società civile alternativa” (come fatto per tutta una fase dall’ex
OPG) poi ad un certo punto ci si trova, volenti o meno, a doversi confrontare
con una serie di problemi di fondo. Dal problema di quale strategia e linea
politica adottare a quello di quale ideologia si assume come riferimento per
andare poi alla questione di fondo ossia quella di “come poter decidere” ed
attraverso “quale sistema di rappresentanza”. Ci si trova così di fronte alla
solita biforcazione. Bisogna allora decidere, e spesso velocemente, se andare
nella direzione della costruzione di uno Stato alternativo, con relativo
problema di definizione di una strategia e di una linea politica adeguata e di
promozione di “una riforma morale ed intellettuale” di massa (ideologia
rivoluzionaria) capace di sostanziarsi in elementi di costruzione di un potere
politico statale operaio e popolare (ossia di iniziativa militante e di
costruzione ed esercizio della forza capace di far valere le decisioni
democraticamente prese), oppure
scegliere il percorso inverso, quello reazionario di tipo
“passivo-rivoluzionario”.
In una forma o nell’altra,
rispetto a determinate questioni o ad altre, quest’ultima scelta è già stata
fatta miriadi di volte a partire dagli anni 70 dai ceti politici, intellettuali
e di movimento (dai gruppi della Nuova Sinistra, a nugoli di intellettuali,
sino, nel corso dei decenni, a vari
centri sociali ed a certi sindacati di base come USB per esempio con l’accordo
sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014).
Ad un certo punto tutte queste
realtà, a partire da concezioni, da ideologie e linee politiche antioperaie,
opportuniste e piccolo-borghesi, hanno usato i lavoratori e le masse popolari,
il loro duro impegno, le loro speranze e le loro lotte, per inserirsi ai loro
danni, in modo via via sempre più organico, nella “società civile reazionaria”,
ossia nel complesso delle associazioni (partiti istituzionali, sindacati di
potere, no profit e terzo settore, cooperative,
chiesa cattolica, organismi culturali, centri sportivi, politiche sociali
ecc., ecc.) e delle articolazioni e delle istituzioni dello Stato legate all’esercizio ed alla
manipolazione del consenso comprese le istituzioni egemoniche, vari settori dei
servizi sociali pubblici e delle amministrazioni, sino appunto alle
rappresentanze istituzionali vere e proprie, dai consigli comunali, provinciali
e regionali, parlamento, alle miriadi di commissioni e connessi all’operato di
tali “rappresentanze”).
Questo non vuol dire che per
principio bisogna disertare le elezioni parlamentari, il problema è però quello
dei motivi di fondo dell’eventuale decisione in tal senso. La proposta di
“potere al popolo” non si presenta affatto, da questo punto di vista, come
genuina o effettivamente al “servizio del popolo”.
Slai cobas (per la coscienza di
classe)
13/01/2018,
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