La rilettura degli interventi e posizioni emerse nel dibattito dell’assemblea nazionale “Non paghiamo il debito” rende utile ritornare su alcuni passaggi.
Il giudizio che noi diamo è di guardare alla sostanza neoriformista, ultramovimentista a parole, elettorale nei fatti, del nuovo “spazio
pubblico politico” che si dice di voler costruire.
Perché neoriformista.
Tanti hanno detto con enfasi che la crisi, e il debito, sono il prodotto delle
leggi intrinseche di funzionamento del sistema capitalistico, non di una
sua distorsione speculativa, ma poi nessuno va oltre una soluzione, la
cancellazione del debito nazionalizzazione del credito, che di quel
sistema vorrebbe correggere solo un aspetto.
Perché elettorale.
Anche prendendo per buone le invettive contro i precedenti fallimenti di coalizioni e “governi amici” e i solenni impegni a rispettare e perseguire l’autonomia di movimento sopra ogni cosa, di fatto si è indicato come obiettivo più prossimo è quello di “sottoporre a votazione il vincolo europeo”, e l’esperienza più esaltata è stata la vittoria ai referendum sui beni comuni, fino a porre, pateticamente, come via da seguire quella dell’Islanda (!), non certo quella delle rivolta proletaria e popolare.
Ma, a livello di analisi, il punto che più disorienta è l’enfasi posta sul “governo unico europeo” e le implicazioni che ne derivano, come espresso, in modo più coerente e didascalico di altri, dalla posizione della Rete dei Comunisti.
Si dice che si va imponendo: “la costituzione di una borghesia europea imperniata su Francia e Germania dai cui giochi la borghesia italiana è esclusa … Berlusconi è la rappresentazione di questa debolezza, che è la debolezza del capitalismo italiano, straccione e parassitario … La prospettiva è la crisi e caduta finale di Berlusconi, ciò che si prepara non è un nuovo fascismo ma un governo che salti sul carro dei vincitori europei, che non potrà che essere diretto dal centrosinistra.”
In questo modo si mette in ombra che in realtà la borghesia italiana, per lo meno la sua frazione principale, quella industriale, condivide gli obiettivi imposti dal diktat franco-tedesco, quello che le serve non è un governo che negozi la resa e “salti sul carro del vincitore”, ma uno che ne applichi più rapidamente e meglio quegli obiettivi non certo solo per mantenersi nel contesto di quell’alleanza ma perché questo è il suo interesse primario all'interno del nostro paese.
Ma, soprattutto, non si comprende che è proprio il carattere necessario di misure che scarichino i costi della crisi sui proletari e le masse popolari che impone la natura comunque 'moderno fascista' di ogni governo dei padroni oggi, quale che sia il colore della sua coalizione.
Si resta così ciechi davanti a ciò che è già realtà, il fascismo padronale di Marchionne che prima si impone nelle fabbriche e poi diventa legge di stato e paradigma sociale e che già detiene un blocco più solido di quello Berlusconi, che include anche sindacati e PD, con la parziale eccezione della Fiom, anch’essa sulla via della resa.
Se non si abbandona la logica illusoria e perdente di “uscita dalla crisi”, si perde di vista l’unica effettiva 'soluzione' su cui lavorare: un movimento certo proletario e quanto più di massa che abbia l'obiettivo esplicito di rovesciare il potere, i governi e lo stato dei padroni per un potere e un governo nelle mani dei proletari.
Questo domanda come punto centrale la lotta al fascismo padronale come arma della ricostruzione dell’autonomia di classe, del soggetto politico di classe di riferimento e della guerra di classe necessarie oggi, a partire della lotte dure e le resistenze sui posti di lavoro e nei territori. Senza assumere questo punto di vista teorico e pratico, i compagni operai e le realtà presenti a questa assemblea, non possono che assumere un ruolo di inconcludenti portatori d’acqua del neo-riformismo, dominante nella rappresentazione e nelle conclusioni di questa assemblea.
un compagno di proletari comunisti presente all'assemblea
3 ottobre 2011
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