L’Aquila, 28 marzo, grave provocazione della polizia contro il “movimento delle carriole”.
Ieri, domenica mattina, a l'Aquila la polizia ha sequestrato una ventina di carriole e identificato intimidatoriamente diverse decine di presenti, nel tentativo di impedire che, come fanno ogni domenica da oltre un mese, gli aquilani invadessero il centro della città per lavorare a rimuovere le macerie, lì giacenti da una anno.
La manovra non è riuscita.
Altre carriole, precedentemente parcheggiate in un’altra piazza, sono entrate in azione e raggiunto per altra via il l’appuntamento in piazza 9 Martiri, mentre centinaia di persone hanno facilmente violato la zona proibita da diversi da punti meno sorvegliati delle inferriate e sono comunque arrivati in piazza.
La polizia ha continuato a identificare i presenti e minacciare denunce, cercando di impedire ad altri di oltrepassare le inferriate ma alla fine ha dovuto lasciare fare.
È la riprova che con l’esercito e la polizia il governo, complici le istituzioni locali, punta a sbarazzarsi non delle macerie dell’Aquila ma delle lotte degli aquilani, ma anche di quanto l’uso dello stato di polizia contro le mobilitazioni di massa sia prova di debolezza, non di forza.
Il pretesto del sequestro e delle paventate denunce è l’infrazione alla legge che vieta manifestazioni elettorali nei giorni di votazione.
Pretesto risibile, dato che le “carriolate” non possono definirsi “manifestazioni elettorali” né lavorare in una città deserta può disturbare il diritto di voto di nessuno, ma fatto significativo.
In questi mesi il governo e gli sciacalli dei comitati d’affari che ne incarnano la funzione e orientano l’azione hanno avuto mano libera nell’imporre una non-ricostruzione che procurato mega-profitti ai signori degli appalti gestiti da Bertolaso e soci e case in batteria in sobborghi non urbanizzati a una minoranza di sfollati, disperdendo tutti gli altri per tutta la regione e lasciando in macerie la città.
Mesi in cui al popolo dell’Aquila si sono invece legate le mani – complici anche alcuni che oggi impugnano le carriole – liberi essere usati come scenario di dolore per far belli col G8 i capi dell’imperialismo mondiale e il governo corresponsabile del disastro ma non di organizzarsi per lottare e attaccarli – nelle tendopoli le assemblee e perfino i volantini erano strettamente vietati.
E oggi che, con iniziative ancora simboliche ma in forme sempre più continue e determinate, un movimento di lotta ha iniziato a farsi avanti, si pretende di soffocarlo in nome del rispetto del vuoto rito elettorale.
In effetti, ci vedono chiaro. Perfino al di là della coscienza dei protagonisti, chi domenica è sceso in piazza con le carriole ha mostrato chiaramente che voto e lotta per la ricostruzione sono opposti che non si conciliano. Per questo, nonostante le illusioni riformiste e i rapporti ambivalenti con amministrazioni locali e falsa opposizione di cui ancora fatica a liberarsi, questo movimento va difeso.
Stato e sciacalli, giù le mani dalle carriole!
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