Da Europalestine – 17 gennaio 2021

Il 1° gennaio 2021, mentre il mondo celebrava l’anno nuovo, 75 lavoratori palestinesi della fabbrica della colonia israeliana di Yamit Sinoun hanno iniziato uno sciopero per pretendere dall’impresa il rispetto dei loro diritti. Le risposte dell’imprenditore sono scandalose e incredibili: scrive letteralmente che “in quanto esseri inferiori, essi non possono avere gli stessi diritti degli israeliani” (sic)!

L’impresa produce sistemi di filtraggio dell’acqua per il mercato mondiale e i lavoratori in sciopero esigono migliori condizioni di lavoro, un aumento dei salari, congedi malattia, congedi pagati e fondi pensione che proteggano il loro denaro.

Durante 7 giorni di sciopero consecutivi, l’azienda ha rifiutato di rispondere a queste rivendicazioni. La

nuova federazione palestinese dei sindacati (Nuovi Sindacati) rivolge un appello all’OIL – Organizzazione internazionale del lavoro, alla CSI (Confederazione Internazionale Sindacale) e alla FSM (Federazione Sindacale Mondiale), a tutti i sindacati internazionali e ai gruppi di difesa dei diritti dell’uomo perché sostengano il giusto sciopero dei lavoratori, boicottando l’azienda di Yamit.

Lo sciopero in corso non è il primo di questo genere; si tratta piuttosto di una risposta al rifiuto della Società Yamit di rispettare i termini di un accordo negoziale. Nel 2007 i lavoratori avevano organizzato uno sciopero per esigere salari più alti e l’organizzazione di corsi di sensibilizzazione rispetto alle modalità di protezione (della loro salute) su un luogo di lavoro pericoloso. Questo sciopero era stato preceduto da un altro nel 1998, durante il quale i lavoratori avevano reclamato dei diritti fondamentali quali un miglioramento delle condizioni di lavoro e delle norme di sicurezza.

La schiavitù esiste ancora!

L’attuale sciopero è coordinato da un Comitato di 5 lavoratori dell’azienda ed è sostenuto dalla Nuova Federazione dei Sindacati Palestinesi. Khalil Shehab, uno dei lavoratori in sciopero e membro del Comitato, lavora nella fabbrica dal 1995 e spiega : « Benché non sia il primo sciopero del genere, l’arrogante imprenditore israeliano rifiuta di darci gli stessi diritti dei lavoratori israeliani. Portiamo avanti questo sciopero perché vogliamo essere trattati come essere umani e non come schiavi senza diritti. L’era della schiavitù è finita! Le nostre richieste sono semplici e di base. Abbiamo bisogno di protezioni sui luoghi di lavoro pericolosi, soprattutto in mezzo alla pandemia Covid 19, di congedi di malattia pagati e di ferie come i lavoratori israeliani, vogliamo salari decenti e un fondo pensioni che garantisca la conservazione del nostro denaro fino alla pensione. Nel 2016 l’azienda ci ha obbligati a firmare un accordo che ha congelato circa un milione di dollari della nostra Cassa pensioni. Noi abbiamo capito solo in seguito che l’azienda aveva speso metà di questo denaro”

NO in maiuscole era la risposta scritta che Yamit ha dato a tutte le rivendicazioni dei lavoratori. Peggio ancora: invece di aumentare i salari dei lavoratori nel quadro delle loro rivendicazioni, che sono al di sotto del livello del salario minimo da decenni, l’impresa ha deciso di abbassare i salari, minacciando, in caso di protesta dei lavoratori, di togliere loro il lavoro.

Ofer Talmi, l’imprenditore, ha giustificato il rifiuto delle richieste dei lavoratori con una motivazione choccante in una lettera che ha inviato agli organizzatori dello sciopero. Titolo: “Tutto è genetico ed educazione”. In questa lettera egli spiega che il suo rifiuto a rispettare i diritti dei lavoratori palestinesi non è motivato solamente dall’interesse di ogni capitalista a ridurre i costi di produzione, ma riposa fondamentalmente sulla convinzione suprematista che i Palestinesi sono inferiori e non possono godere di uguali diritti. Dichiara (nostra traduzione dall’ebraico): “I lavoratori che lavorano 25 o 30 anni presso lo stesso imprenditore sono dei lavoratori soddisfatti. Non sono affatto degli sfruttati. Se pensassero di esserlo, avrebbero trovato un altro impiego, anche se la decenza e l’onestà mi impongono di riconoscere che le possibilità per loro sono più limitate rispetto agli israeliani. (…) Sono desolato di non avere un’azienda di alta tecnologia che produce chip elettronici. E sapete perché? Se ne avessi una, i palestinesi non vi troverebbero lavoro. Ogni salariato pagato oltre il salario minimo sarebbe licenziato e al suo posto verrebbe un altro meno caro, e noi gli insegneremmo le competenze”.

E ancora: “Yamil è la sola fabbrica del paese a lavorare secondo la legge giordana, perché i lavoratori non hanno la carta di identità israeliana e non sono lavoratori stranieri come quelli della Thailandia o altri. Lavorano in una azienda che è mia, e io so che la terra di Israele appartiene al popolo di Israele”. (…) Non dimenticate che nessun lavoratore palestinese lavorerà a Yamit secondo le leggi israeliane. Poco importa quello che dice la legge o il tribunale! Se il tribunale decidesse che devo lavorare secondo la legge israeliana, vi licenzierei tutti”

La fabbrica di Yamit

Yamit è situata nella zona industriale di Nitzanei Shalom, che ospita 12 fabbriche chimiche israeliane costruite sulle terre palestinesi rubate a Tulkarem. Ci sono 19 zone industriali israeliane costruite illegalmente nella Cisgiordania occupata. Le autorità di occupazione israeliane prevedono la costruzione di quattro nuove zone industriali in Cisgiordania per usurpare ulteriori terre palestinesi e ghettizzare ancora di più i Palestinesi.

Le zone industriali sono considerate fondamenti per l’economia israeliana, in particolare per la prosperità economica delle colonie illegali limitrofe, dal momento che aumentano lo sfruttamento della mano d’opera, delle terre e delle risorse naturali palestinesi. Le zone industriali poste nell’area C della Cisgiordania generano benefici anche per le imprese israeliane e multinazionali.

La prevista costruzione di ulteriori zone industriali in Cisgiordania non farà che scalzare lo sviluppo dell’economia palestinese e accrescere la sua dipendenza nei confronti dell’economia israeliana. Le zone industriali costruite a ridosso delle città e dei villaggi palestinesi hanno effetti pesanti sulla loro vita e sull’ambiente. I rifiuti chimici e le emissioni delle fabbriche rovinano le culture agricole circostanti, inquinano le acque sotterranee e l’aria. Questo ha portato a un aumento delle malattie, in particolare quelle respiratorie, degli occhi e il cancro.

IL NOSTRO APPELLO

Mettere fine alla complicità internazionale verso l’apartheid.

I lavoratori palestinesi di Yamit fabbricano componenti che sono utilizzati da Netafim (marchio specializzato nel “goccia a goccia” e nei sistemi di irrigazione) e esportati in diverse parti del mondo. Netafim è stata creata nel 1965 nel Kibboutz Hatzerim, una colonia agricola israeliana nel Negev, poco tempo dopo che Israele aveva concluso l’espulsione della maggior parte delle comunità beduine palestinesi della regione. Collabora con numerose colonie della valle del Giordano, da Hebron e oltre, per sviluppare tecnologie che gli permettano di trarre il massimo dalle terre rubate.

Netafim ha potuto vendere il suo marchio come leader dell’agricoltura durevole in 25 paesi del mondo, mentre di fatto mantiene un ruolo chiave nella sopravvivenza delle colonie agro-commerciali illegali sulle terre rubate ai palestinesi e alimentate con l’acqua sottratta ai palestinesi. La società gode di contratti con municipalità e imprese di tutto il mondo.

Molti Palestinesi non hanno altra scelta che lavorare nelle imprese israeliane a causa del sistematico boicottaggio dell’economia palestinese da parte degli israeliani. Perciò una parte del sostegno allo sciopero dei Palestinesi e ai loro diritti contro le aziende israeliane consiste nel boicottare Netafim, e chiedere a tutte le multinazionali di metter fine ai loro affari con Yamit e altre società operanti nelle zone industriali delle colonie in Cisgiordania, afferma il segretario generale della Nuova federazione dei sindacati di Palestina. Boicottare queste aziende dovrebbe far parte di una visione più larga mirante a smantellare il sistema di apartheid israeliano, con la azienda Yamit come micro-modello di questo sistema in modo che i lavoratori palestinesi non siano costretti a lavorare in primo luogo per imprese israeliane.”