- Tariq Dana*
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La causa palestinese è sempre stata sfruttata come giustificazione per la sopravvivenza di regimi dittatoriali nella regione. La maggior parte degli Stati arabi era solito esprimere un disonesto sostegno alla causa palestinese e allo stesso tempo mantenere relazioni diplomatiche, economiche e di sicurezza con Israele. Tali politiche sono valide ancora oggi e chiaramente fatte proprie da molti paesi, come Arabia Saudita, Egitto e Emirati Arabi tra gli altri, e mostrano un crescente allineamento con Israele, nella palese speranza che Israele distrugga definitivamente Hamas e ogni altra forza di resistenza e restituisca all’Autorità Palestinese il controllo di Gaza.
Se l’Egitto appare l’attore chiave di questa rete – visto il suo storico peso regionale, il controllo dei confini con Gaza, le proposte di cessate il fuoco e il suo ruolo di mediatore tra palestinesi e israeliani – è di fatto l’Arabia Saudita che guida, finanzia e promuove questo asse anti-resistenza. Nonostante il suo ruolo cruciale, l’Egitto non è più una forza regionale leader capace di imporre il proprio volere nella regione. Al contrario, la leadership militare ha apparentemente trasformato il sistema politico egiziano in un regime fantoccio al servizio degli interessi strategici dei sauditi e dei paesi del Golfo, andando ovviamente contro i reali interessi degli egiziani. Riguardo Gaza, l’Egitto è divenuto il canale attraverso il quale i sauditi impongono i loro diktat volti a danneggiare le infrastrutture della resistenza nella Striscia e a indebolire la loro capacità di deterrenza delle aggressioni israeliane.
Sono molte le ragioni per credere che il crescente allineamento tra Israele e Arabia Saudita sia ben organizzato. Tra tutte, i due paesi sono ideologicamente compatibili perché entrambi sfruttano, manipolano e soggiogano le rispettive religioni per fini fascisti. Il risultato è l’emergere di ideologie politiche razziste e violente che sono linfa vitale per omicidi e bagni di sangue nella regione. L’implicito accordo tra il wahabismo saudita e il sionismo israeliano nella distruzione della regione è il naturale risultato storico delle loro ideologie.
Sebbene i legami tra Israele e i sauditi non siano stati formalizzati in un trattato di pace, negli anni recenti si è assistito ad un’intensificazione delle relazioni tra i due, in particolare nel campo della sicurezza, del commercio e di regolari incontri tra funzionari politici. L’avvio delle relazioni commerciali risale al 2005 quando i sauditi annunciarono la fine del divieto di importare beni e servizi israeliani. La normalizzazione economica saudita con Israele giunse mentre la società civile palestinese iniziava la campagna globale di boicottaggio (BDS) per fare pressione internazionale su Israele dal punto di vista economico.
Tuttavia, fu la paranoica ossessione israeliana e saudita della sicurezza che portò alla luce gli interessi comuni e solidificò la loro alleanza dietro le quinte. All’inizio degli anni Settanta, sauditi, israeliani e americani cooperarono per formare e sostenere i gruppi afghani e i mujahidin arabi contro l’Unione Sovietica. Più tardi gli stessi gruppi hanno dato vita ad Al Qaeda e, oggi, al Fronte al-Nusra e all’Isil.
Israele e Arabia Saudita hanno anche svolto ruoli cruciali nel sostenere l’aggressione statunitense contro l’Iraq negli anni Novanta e l’occupazione e la distruzione dello Stato iracheno e della sua società nel 2003. gli interessi comuni tra israeliani e sauditi sono diventati ancora più evidenti nell’azione contro la crescente influenza regionale dell’Iran. Entrambi hanno regolarmente espresso le stesse posizioni e tentato di spingere l’amministrazione Usa verso un attacco contro l’Iran. Come parte di questa guerra indiretta all’Iran, Israele e Arabia Saudita, sotto l’ombrello statunitense, hanno fondato, finanziato e equipaggiato insieme gruppi terroristi per destabilizzare e dividere la Siria, il Libano e l’Iraq secondo linee settarie e religiose.
L’ambiguo sostegno saudita all’aggressione di Israele contro Gaza ha assunto forme differenti. Come al solito, il primo passo dell’oligarchia saudita è stato il reclutamento della rete wahabita perché offrisse una giustificazione religiosa. Il gran Mufti ha emesso una fatwa contro le marce pro-Gaza, definendole “azioni inutili e demagogiche”. Secondo, i sauditi hanno pubblicamente accusato la resistenza palestinese di incoraggiare i massacri israeliani a Gaza. Il loro re analfabeta è andato così oltre da dire che Hamas e le forze di resistenza “hanno allontanato l’immagine dell’islam dalla sua purezza e la sua umanità e lo hanno sporcato con ogni sorta di brutte qualità con le loro azioni, la loro ingiustizia e i loro crimini”. Non ci sorprende leggere rapporti che riportano di incontri regolari tra le intelligence saudita, israeliana e egiziana per discutere dei progressi della guerra e decidere le prossime mosse. Non da ultimo, la confessione da parte di funzionari israeliani per cui Israele, come mai prima, ha incrementato la sua presenza in una necessaria coalizione regionale.
La crescente capacità della resistenza di Gaza di ottenere un alto livello di deterrenza è il segno della sconfitta di Israele e dei suoi alleati nella regione. Chi appoggia Israele per distruggere la resistenza palestinese è rimasto ancora una volta deluso, come avvenne con la vittoria della resistenza libanese nel 2006. L’Arabia Saudita in particolare è diventata il principale sostenitore regionale dell’aggressione israeliana. Nessuna sorpresa, visto che l’ideologia wahabita saudita e il sionismo israeliano sono le due facce della stessa medaglia.
*Tariq Dana è un professore e ricercatore palestinese. È analista politico di Al-Shabaka.
L'articolo è stato pubblicato dall'Alternative Information Center- Traduzione e diffusione in italiano a cura della redazione di Nena News
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