giovedì 21 agosto 2014

pc 21 agosto - 50 ANNI FA MORIVA IL CAPO DEL REVISIONISMO ITALIANO, TOGLIATTI

Dalle Tesi del PCm Italia:
"...il divorzio strategico tra classe operaia e PCI si realizza nel dopoguerra, con il salto e cambio di natura, (in questo) fondamentale è l’affermarsi della “via italiana al socialismo” nel ‘56; è dalla metà degli anni ‘60, e in particolare col biennio rosso 68/69, che si realizza un divorzio anche di massa pratico tra il partito che la classe aveva come riferimento e il movimento della classe per il partito. Nell’autunno caldo, nel ciclo di lotte dei primi anni 70, si dimostrava definitivamente che il PCI non era più arma della classe in nessuna misura, nè sul piano strategico nè dei suoi interessi immediati, ma che anzi vi si contrapponeva...".

E' Togliatti il capo del cambio di natura del Pci, da partito comunista, più grande partito a livello europeo che diresse la più grande Resistenza, guerra di popolo antifascista, al più "grande" partito revisionista.

Pubblichiamo uno dei capitoli più illuminanti della trasformazione del Pci dell'importante testo del PCC "Sulle divergenze tra il compagno Togliatti e noi" scritto nel dicembre 1962; testo fondamentale per la critica al revisionismo a livello nazionale e internazionale.

Sulle divergenze tra il compagno Togliatti e noi

"Essi nutrono le più grandi illusioni circa l’imperialismo, essi negano il fondamentale antagonismo tra i due sistemi mondiali del socialismo e del capitalismo e il fondamentale antagonismo tra l’oppressore e le nazioni oppresse; in luogo della lotta di classe internazionale e della lotta antimperialista essi sostengono la collaborazione di classe internazionale e la creazione di un “nuovo ordine mondiale”. Essi hanno profonde illusioni circa i capitalisti monopolisti in patria, essi confondono due tipi di dittatura di classe largamente differenti: la dittatura borghese e la dittatura proletaria e predicano il riformismo borghese, o “riforme di struttura” come essi le chiamano, quale sostituto della rivoluzione proletaria. Essi affermano che i principi fondamentali del marxismo-leninismo sono diventati antiquati e manomettono le teorie marxiste-leniniste sull’imperialismo, la guerra e la pace, lo Stato e la rivoluzione, la rivoluzione proletaria e la dittatura proletaria....

La “via pacifica e democratica al socialismo”
Nei fatti, non solo il compagno Togliatti e alcuni altri compagni italiani chiamano alla collaborazione di classe in luogo che alla lotta di classe sul piano internazionale, ma estendono il loro concetto di “pacifica coesistenza” alle relazioni tra le classi oppresse e gli oppressori all’interno dei paesi capitalisti. Togliatti ha detto: “Tutta la nostra azione nell’ambito della situazione interna del nostro paese non è altro che la traduzione in termini italiani di quella grande lotta per rinnovare le strutture del mondo intero”. Qui la frase “tutta la nostra azione” significa quello che essi chiamano “avanzata verso il socialismo nella democrazia e nella pace”, o la via al socialismo mediante “riforme di struttura”, com’essi la descrivono.
Sebbene a nostro parere l’attuale linea del Partito comunista italiano sulla questione della rivoluzione socialista sia sbagliata, noi non abbiamo mai cercato d’interferire perché, naturalmente, si tratta di una cosa sulla quale solo i compagni italiani devono decidere. Ma ora, poiché il compagno Togliatti proclama che questa teoria delle “riforme di struttura” è una “linea comune all’intero movimento comunista internazionale” e dichiara unilateralmente che la transizione pacifica è “diventata un principio di strategia mondiale del movimento operaio e del movimento comunista” e poiché tale questione coinvolge non solo la fondamentale teoria marxista-leninista della rivoluzione proletaria e della dittatura proletaria, ma anche il problema fondamentale dell’emancipazione del proletariato e del popolo in tutti i paesi capitalisti, come membri del movimento comunista internazionale e come marxisti-leninisti non possiamo non esprimere le nostre opinioni al riguardo.
Il problema fondamentale in ogni rivoluzione è quello del potere dello Stato. Nel Manifesto del partito comunista, Marx ed Engels dichiararono: “Il primo passo nella rivoluzione della classe operaia è di elevare il proletariato alla posizione di classe dominante”. Questa idea si ritrova in tutte le opere di Lenin. In Stato e rivoluzione Lenin pose l’accento sulla necessità di spezzare e infrangere la macchina dello Stato borghese e di instaurare la dittatura del proletariato. Egli disse: “La classe operaia deve spezzare, infrangere la ‘preconfezionata macchina statale’ e non limitarsi semplicemente a impossessarsene” e che “un marxista (è uno) che estende il riconoscimento della lotta di classe al riconoscimento della dittatura del proletariato”. Egli disse inoltre: “Tutto è illusione, fuorché il potere”.
Illustrando le leggi comuni della rivoluzione socialista, la Dichiarazione di Mosca del 1957 comincia con l’affermare che per imboccare la strada del socialismo è necessario che la classe operaia, il cui centro è il partito marxista-leninista, guidi le masse lavoratrici a effettuare una rivoluzione proletaria, in una forma o nell’altra, e a creare una forma o l’altra di dittatura del proletariato.
Non esiste il minimo dubbio che le fondamentali teorie del marxismo-leninismo e le leggi comuni della rivoluzione socialista enunciate nella Dichiarazione di Mosca del 1957 sono applicabili universalmente e, naturalmente, anche all’Italia.
Ma il compagno Togliatti e alcuni altri compagni del Partito comunista italiano sostengono che l’analisi di Lenin in Stato e rivoluzione “non è più sufficiente” e che il contenuto della dittatura proletaria è ora differente. Secondo la loro teoria delle “riforme di struttura”, non c’è bisogno nell’Italia di oggi di una rivoluzione proletaria, non c’è bisogno d’infrangere la macchina dello Stato borghese e non c’è bisogno di instaurare la dittatura del proletariato; essi possono arrivare al socialismo “gradualmente” e “pacificamente”, semplicemente mediante una “successione di riforme”, mediante la nazionalizzazione delle grandi imprese, mediante la pianificazione economica e mediante l’estensione della democrazia nell’intelaiatura della Costituzione della Repubblica italiana. In realtà essi affermano che lo Stato è uno strumento al di sopra delle classi e credono che lo Stato borghese, anch’esso, possa condurre una politica socialista, essi affermano che la democrazia borghese è una democrazia al di sopra delle classi e credono che il proletariato possa elevarsi a “classe dirigente” dello Stato facendo affidamento su tale democrazia. 
Questa teoria delle “riforme di struttura” è un completo tradimento delle teorie marxiste-leniniste sulla rivoluzione proletaria e sulla dittatura proletaria.
L’Italia di oggi è un paese capitalista governato dalla classe capitalista monopolista. Sebbene la Costituzione della Repubblica italiana incorpori alcune delle conquiste ottenute dalla classe lavoratrice italiana e dal popolo italiano mediante le loro eroiche lotte di molti anni, essa è tuttavia una costituzione borghese che ha al suo centro la protezione della proprietà capitalista. Come la democrazia praticata in tutti gli altri paesi capitalisti, la democrazia praticata in Italia è una democrazia borghese, cioè una dittatura borghese. La nazionalizzazione praticata in Italia non è un capitalismo di Stato nel sistema socialista, ma un capitalismo di Stato che serve gli interessi della classe capitalista monopolista. Allo scopo di mantenere il suo sfruttamento e il suo dominio, la classe capitalista monopolista può talvolta adottare certe misure di riforma. È del tutto necessario per la classe operaia nei paesi capitalisti condurre quotidiane lotte economiche e lotte per la democrazia. Ma lo scopo di queste lotte è di conseguire miglioramenti parziali nelle condizioni di vita della classe operaia e del popolo lavoratore e, ciò che è più importante, di educare le masse e organizzarle, elevare la loro coscienza e accumulare la forza rivoluzionaria per la conquista del potere dello Stato quando i tempi sono maturi. I marxisti-leninisti favoriscono la lotta per le riforme, ma si oppongono risolutamente al riformismo.
I fatti hanno provato che quando le rivendicazioni politiche ed economiche della classe operaia e del popolo lavoratore abbiano ecceduto i limiti permessi dai capitalisti monopolisti, il governo italiano, che rappresenta gli interessi del capitale monopolista, è ricorso alla repressione. Non hanno forse innumerevoli fatti storici provato che questa è una legge inalterabile della lotta di classe? Com’è concepibile che la classe capitalista monopolista abbandoni i suoi interessi e il suo dominio ed esca volontariamente dalla scena della storia?
Togliatti stesso non è completamente ignaro di ciò. Sebbene egli abbia energicamente sostenuto la possibilità di “spezzare il potere dei grandi gruppi monopolisti” entro l’intelaiatura della costituzione borghese, la sua risposta alla questione: “Come si può fare ciò?” è: “Non lo sappiamo”. Si può così vedere che la teoria delle “riforme di struttura”, sostenuta da Togliatti e da alcuni altri dirigenti del Partito comunista italiano, procede non dal materialismo storico e dallo studio scientifico della realtà obiettiva, ma dall’idealismo e dall’illusione. Tuttavia essi sono andati propagando energicamente vedute che essi stessi sanno essere inattendibili e le hanno descritte come una “linea comune all’intero movimento comunista internazionale”. Una tale pratica da parte loro serve solo a viziare e attenuare la lotta rivoluzionaria proletaria, preservare il dominio capitalista e negare radicalmente il ruolo della rivoluzione socialista. Non è forse questa una nuova specie di tendenza socialdemocratica?
Recentemente, nei paesi capitalisti, alcuni comunisti che erano politicamente degenerati e alcuni socialdemocratici di destra hanno propagandato successivamente la teoria delle “riforme di struttura”, usandola per attaccare i partiti comunisti. Questo fatto è di per se stesso sufficiente a mostrare quale stretta somiglianza la teoria delle “riforme di struttura” abbia con la socialdemocrazia e quanto lontana sia dal marxismo-leninismo!
La prima e la seconda Dichiarazione di Mosca pongono in rilievo che la rivoluzione socialista può essere realizzata con mezzi pacifici o non pacifici. Alcuni hanno cercato invano di usare questa tesi per giustificare la teoria delle “riforme di struttura”. È anche errato citare la transizione pacifica unilateralmente come ”un principio di strategia mondiale del movimento comunista”.
Dal punto di vista marxista-leninista sarebbe naturalmente nell’interesse del proletariato e dell’intero popolo se potesse essere realizzata la transizione pacifica. Qualora appaia la possibilità di una transizione pacifica in un dato paese, i comunisti devono lottare per la sua realizzazione. Alla fin fine, possibilità e realtà, il desiderio e la sua realizzazione, sono due cose differenti. Finora la storia non è stata mai testimone di un solo esempio di transizione pacifica dal capitalismo al socialismo.
I comunisti non dovrebbero riporre tutte le loro speranze per la vittoria della rivoluzione nella transizione pacifica. La borghesia non uscirà mai volontariamente dalla scena della storia. Questa è una legge universale della lotta di classe. I comunisti non devono neanche in minima misura indebolire la loro preparazione alla rivoluzione. Essi devono essere preparati a respingere gli assalti della controrivoluzione e a rovesciare la borghesia con la forza armata, nel momento critico della rivoluzione, quando il proletariato sta prendendo possesso del potere dello Stato e la borghesia ricorre alla forza armata per reprimere la rivoluzione.
Ciò vale a dire che i comunisti devono essere preparati a impiegare la doppia tattica: cioè mentre si preparano al pacifico sviluppo della rivoluzione, essi devono essere pienamente preparati per il suo sviluppo non pacifico. Solo in questo modo essi possono evitare di essere presi alla sprovvista quando emerga una situazione favorevole alla rivoluzione e quando la borghesia ricorre alla violenza per reprimere la rivoluzione. Anche quando è possibile assicurarsi il potere dello Stato con mezzi pacifici, si deve essere preparati ad avere immediatamente a che fare con l’intervento armato degli imperialisti stranieri e con le ribellioni armate controrivoluzionarie appoggiate dagli imperialisti. I comunisti devono concentrare la loro attenzione sull’accumulazione della forza rivoluzionaria mediante instancabili sforzi e devono essere pronti a combattere contro gli attacchi armati della borghesia, quando sia necessario. Essi non devono porre unilateralmente l’accento sulla transizione pacifica e concentrare la loro attenzione su quella possibilità; altrimenti essi necessariamente sopiranno lo spirito rivoluzionario del proletariato, si disarmeranno ideologicamente, saranno completamente passivi e politicamente e organizzativamente impreparati e finiranno col seppellire la causa della rivoluzione proletaria.
Le tesi del compagno Togliatti e di alcuni altri dirigenti del Partito comunista italiano sull’“avanzata verso il socialismo nella democrazia e nella pace” ricordano alcune delle affermazioni del vecchio revisionista Kautsky. Kautsky disse, oltre quarant’anni fa: “Io prevedo [...] che sarà possibile attuarla (la rivoluzione sociale del proletariato) con mezzi pacifici, economici, legali e morali, invece che con la forza fisica, in tutti i posti dove sia stata instaurata la democrazia” (da La dittatura del proletariato di Kautsky). Non dovrebbero forse i comunisti tirare una chiara linea di demarcazione tra se stessi e socialdemocratici come Kautsky?"

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