pena di morte:altri 683
Il
pianto disperato di madri, mogli, sorelle sembra non potere nulla di
fronte alla decisione della Corte di Minya che sentenzia morte.
Seicentottantatre volte. . Chi decide
l’ennesima condanna di massa per 683 egiziani, colpevoli (tutti?) di
aver ucciso uno o dieci agenti di polizia, durante la carneficina subìta
il 14 agosto 2013 da parte delle forze della repressione, segue un
preciso copione politico. Un programma stilato e pattuito da mesi che va
a incasellarsi negli eventi precedenti e in quelli che seguiranno.
Questi processi al capro espiatorio di ogni male, delle sciagure, delle
molte carenze dell’attuale Egitto hanno un nome unico: fratello
musulmano. Tale nome, il credo politico che lo circonda, gli ideali e
gli errori, le contraddizioni e le sue storture devono scomparire
dall’orizzonte del Paese che militari e tradizionalisti vogliono
rilanciare. Coi petrodollari di Riyad e il benestare dell’ondivaga
Washington che abbraccia e soffoca alleati a ritmi schizofrenici.
E’ il modello d’Egitto dell’ultimo trentennio che torna potente, riproponendo l’ingombrante bagaglio di terrore interiore, seminato nella misera vita dei sobborghi rurali che si rincorrono fin dentro al cuore del Cairo. E’ un Paese - la più grande nazione araba - che sotterra ogni afflato di libertà e dignità, che assieme alla richiesta di pane e lavoro, aveva scatenato la rabbia e le speranze di Tahrir. Tutto, ormai da tempo, disperso nel vento, assieme alle migliaia di martiri, alle decine di migliaia di arrestati, ai divieti e alle minacce tornati imperiosi per il bene della patria. Che s’allargano, avvinghiano nella rete giornalisti, oppositori d’ogni sorta, non risparmiando quelli della prim’ora come il movimento “6 Aprile”, ferreo avversario della Fratellanza, finito anche lui fuorilegge. Della legge che la magistratura sta scrivendo per nostalgici desideri d’un passato a misura d’imperialismo..... E il nuovo raìs da neopresidente, magari dispenserà grazie ai condannati, portando la pacificazione in un Egitto politicamente desertificato.
E’ il modello d’Egitto dell’ultimo trentennio che torna potente, riproponendo l’ingombrante bagaglio di terrore interiore, seminato nella misera vita dei sobborghi rurali che si rincorrono fin dentro al cuore del Cairo. E’ un Paese - la più grande nazione araba - che sotterra ogni afflato di libertà e dignità, che assieme alla richiesta di pane e lavoro, aveva scatenato la rabbia e le speranze di Tahrir. Tutto, ormai da tempo, disperso nel vento, assieme alle migliaia di martiri, alle decine di migliaia di arrestati, ai divieti e alle minacce tornati imperiosi per il bene della patria. Che s’allargano, avvinghiano nella rete giornalisti, oppositori d’ogni sorta, non risparmiando quelli della prim’ora come il movimento “6 Aprile”, ferreo avversario della Fratellanza, finito anche lui fuorilegge. Della legge che la magistratura sta scrivendo per nostalgici desideri d’un passato a misura d’imperialismo..... E il nuovo raìs da neopresidente, magari dispenserà grazie ai condannati, portando la pacificazione in un Egitto politicamente desertificato.
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