Guardando i video provenienti da Gaza si rimane colpiti dalla ferocia dell’esercito israeliano; è percepibile in ogni gesto, persino nell’irrisione gratuita dei bambini. Non c’è alcuna giustizia in essa, alcuna coscienza etica o azione giustificata; c’è soltanto una gigantesca volontà di annichilire i palestinesi.
Ferocia, crudeltà, terrore. Qualsiasi termine si usi per descrivere il comportamento dell’esercito israeliano, anche il più preciso, non sarà mai in grado di rappresentare compiutamente quello che sta accadendo realmente a Gaza. Che è qualcosa di eccezionale; stra-ordinario, proprio.
Diventa sempre più chiaro che quello che sta accadendo in quella striscia di terra è, insieme, una ferocia
già vista, che si riallaccia ad altre pulsioni genocidarie, e una ferocia di tipo nuovo, che si distingue per l’alta capacità tecnologica utilizzata contro un popolo sostanzialmente inerme. Una ferocia penosa e vigliacca.È evidente che il fine dell’esercito israeliano non è “la distruzione di Hamas”, bensì l’allontanamento dei palestinesi dalla Striscia di Gaza, prima tappa per una nuova colonizzazione. Non esiste – ne è possibile, vista la storia di quel conflitto – nessun obiettivo diverso.
Se non si tratterà di un allontanamento totale, lo si dovrà agli equilibri – fragili – di quella zona di mondo, più che al risveglio etico degli occidentali o dei paesi arabi. Per l’impatto fortemente simbolico che ha sempre avuto nelle popolazioni arabe, la “questione palestinese” non è risolvibile con una semplice eliminazione fisica dei palestinesi; qualcuno dovrà restare in vita, magari confinato in qualche deserto, così che gli equilibri si mantengano a un livello di guardia. Bisogna che il genocidio non sia completo affinché l’obiettivo di Israele venga raggiunto.
Dunque, no; per quanto possa essere accolta positivamente la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, non c’è niente da applaudire. Il fuoco cesserà sempre troppo tardi.
A Gaza non è soltanto naufragata l’etica dei paesi occidentali, ormai palesemente privata del suo intrinseco “senso umanistico e liberatorio”, ma si è confermata l’incapacità delle liberal-democrazie di fermare un genocidio in corso. Tutte le superstizioni derivanti dall’eccesso di confidenza con la “democrazia” israeliana, dalla propensione a tollerarne gli eccessi e i crimini, hanno consegnato i palestinesi all’eccidio.
Negli ultimi due anni ci siamo ubriacati di retorica, demonizzando le autocrazie e glorificando il sistema liberal-democratico; ma lo spettacolo penoso offerto dall’Occidente di fronte al genocidio dei palestinesi dimostra – ancora una volta e inequivocabilmente – che ciò che contano non sono i “valori”, i diritti “universali” o il diritto internazionale, ma solo e solamente le alleanze strategiche.
Lo “spirito” profondo delle liberal-democrazie non è molto diverso da quello delle autocrazie: YOU MAKE HISTORY WHEN YOU DO BUSINESS. Di conseguenza, ogni posizionamento diverso da quello che porta un vantaggio strategico è nefasto e deve essere accuratamente evitato. Fino a quando Israele contribuirà a difendere le ambizioni occidentali di egemonia, fino a quando sarà degno di questo ruolo nello scacchiere medio-orientale, non si screditerà il suo valore.
Non è certo un caso che la mistificazione maggiore si sia palesata proprio nei più squallidi rappresentanti del liberalismo militarizzato, i fanatici dell’atlantismo che non hanno esitato ad accusare di antisemitismo chiunque abbia criticato Israele. Coloro i quali, per intenderci, non mancano di affiancare la bandiera ucraina con quella di Israele, incuranti del cortocircuito logico e di ogni decenza intellettuale.
Questi liberali da operetta sono l’avanguardia cialtrona dell’egemonia occidentale; si pongono al di là di ogni valore realmente universale, perorando la causa di una forma odiosa di suprematismo. La difesa di Israele rientra in questa gabbia ideologica. Hanno eluso la loro stessa retorica, combinando calcolo cinico e istinto di conservazione di un’egemonia che è già persa; mistificazione e senso di superiorità: il peggio, davvero.
Questi non sono che la rappresentazione più grottesca di uno “spirito” che è costitutivo delle liberal-democrazie, i cui interessi vitali non coincidono con quelli dei popoli, bensì con l’esclusivismo di classe. L’aggettivo “liberale” domina sul sostantivo “democrazia”.
L’essenza, ecco; della democrazia. C’è la democrazia del privilegio, e c’è quella dell’equità. Nella prima, ciò che ha più valore è il mercato, il profitto, il business, tutte dimensioni che producono diseguaglianze e povertà; nella seconda, il superamento delle iniquità è il fulcro di ogni azione, sua unica finalità.
La prima, quella dei privilegi, è la democrazia della borsa, del colonialismo, dell’accentramento della ricchezza in poche mani, del connubio tra politica e industria militare; la seconda è la democrazia dei “senza proprietà”, dei popoli, della pace.
Per la prima, il furto di risorse serve al mantenimento dei privilegi; è la democrazia che vuole esportare se stessa, non esitando a bombardare altre nazioni, invadere terre non sue, violare il diritto internazionale. Per la seconda, solo l’uguaglianza dei popoli ha valore positivo, qualsiasi parte della terra abitino.
C’è la democrazia degli interessi imperiali, e c’è quella dei popoli. Se la prima rende il mondo un posto meno libero e sicuro, la seconda ha un’unica ragione di esistere: liberarsi delle forze che promuovono la prima, facendo diventare la democrazia lo spazio dell’uguaglianza e della pace.
In fondo, anche nella “questione palestinese” è in gioco una diversa idea di democrazia. L’idea di una democrazia che non può coincidere con il colonialismo, l’occupazione militare o la pulizia etnica. Proprio per questo, oggi, la democrazia si difende contrastando l’attitudine genocidaria di Israele.
Ogni discorso che difende le istanze di Israele e che ne giustifica i comportamenti non è solo complicità con il genocidio, ma è anche – e forse soprattutto – un modo di svuotare dal di dentro l’idea stessa di democrazia.
* da Facebook
Nessun commento:
Posta un commento