La Cisl non aspettava altro e non solo lo ha firmato ma lo sponsorizza, la Uil segue a ruota; la Cgil della Camusso ‘se la tira’, in realtà non può essere veramente contraria visto che questo accordo è in sintonia con l’intesa firmata tra Confindustria e OO.SS., compresa la Cgil, il 28 giugno 2011, che affermava essere comune obiettivo “favorire lo sviluppo e la diffusione della contrattazione collettiva di secondo livello” facendo del CCNL solo una cornice sempre più inutile e demandando alla contrattazione aziendale le stesse questioni ora oggetto dell’accordo sulla produttività (gestione orari, organizzazione del lavoro, aumenti salariali, ecc.).
Pertanto, il NO – momentaneo della Camusso – è legato essenzialmente alla richiesta che in questo accordo venga inserito subito anche la questione dei criteri per misurare la rappresentatività delle organizzazioni sindacali, per far rientrare la Fiom ai Tavoli di trattativa. Se questo avvenisse, la Cgil firmerebbe.
Il
cuore di questo accordo è aumentare la
produttività per favorire una miglioramento delle condizioni di competitività
delle aziende, cioè per favorire l’aumento dei profitti capitalisti.
Per questo
si deve derogare a vincoli ancora posti da norme contrattuali e leggi su orario,
prestazione lavorativa, organizzazione del lavoro, salario e delegare queste
materie alla contrattazione aziendale per legare più strettamente le sorti dei
lavoratori alle esigenze dei padroni.
Per
i lavoratori vuol dire il venir meno, dopo anni passati di lotte e sacrifici
per conquistarlo, di un salario unico e di un contratto unico, dal nord al sud
e in tutti i posti di lavoro, che, comunque, al di là della sua deriva, stabiliva
un principio di uguaglianza della condizione salariale degli operai, e l’unità
dei lavoratori.
Ora,
con questo accordo sulla produttività si vogliono dividere i lavoratori
tra di loro e unirli alle proprie aziende, cancellare anche l’idea della difesa
delle condizioni salariali come frutto della forza collettiva stabilendo invece
uno stretto legame tra i loro interessi e gli interessi e difesa dei profitti
padronali.
L’effetto
immediato, generale e prevalente non sarà affatto un aumento del salario, ma
una diminuzione generalizzata dei salari, una differenziazione salariale,
comunque al ribasso, sia tra lavoratori di diverse aziende sia tra lavoratori della
stessa azienda, dato che gli elementi
retributivi da collegarsi ad incrementi di produttività non seguiranno neanche
criteri oggettivi ma saranno pattuiti tra azienda e OO.SS., che potranno anche
stravolgere il rapporto stabilito nella contrattazione nazionale tra mansioni e
livello, dando – come è scritto nell’accordo - alla
contrattazione di secondo livello “piena autonomia negoziale rispetto alle
tematiche relative all'equivalenza delle mansioni”.
Nessuno
si può illudere di ottenere attraverso l’aumento della produttività più salario.La questione a fondo di questo accordo soprattutto in questa fase di crisi è il taglio del costo del lavoro e l’estorsione di maggiore pluslavoro con aumento, flessibilità di orario di lavoro, peggioramento delle condizioni di lavoro.
Si
chiama gli operai a farsi sfruttare di più per permettere ai padroni – come si
legge nell’accordo – “di rispondere alle diverse dinamiche temporali della
produzione e dei mercati”.
In
questo quadro, l’accordo pone, in termini di fatto ricattatori, la questione
che “queste soluzioni contrattuali di secondo livello, peraltro, possono anche
rappresentare un'alternativa a processi di delocalizzazione, divenire un
elemento importante di attrazione di nuovi investimenti anche dall'estero,
concorrere alla gestione di situazioni di crisi per la salvaguardia
dell'occupazione”.
In
sostanza, si dice ai lavoratori e alle lavoratrici: se volete che l’azienda non
chiuda e vada in piazze dove il costo del lavoro è più basso e i diritti dei
lavoratori maggiormente calpestati, accettate voi di lavorare di più e di rinunciare
ai diritti su orari, pause, riposi, rispetto delle mansioni, ecc.; se volete
che aziende estere investano in Italia diventate “attrattivi” per gli appetiti famelici
dei capitalisti; se volete che i padroni non vi licenzino accettate che
scarichino su di voi la loro crisi, fatevi abbassare salari, diritti mentre
aumentate il lavoro.
L’accordo
sulla produttività, quindi, se passa è una corda al collo degli operai che si
stringerebbe sempre di più..
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