lunedì 10 novembre 2025

pc 10 novembre - Il nuovo faraone: Musk e l’orrore del capitalismo globale

 

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Il premio da mille miliardi a Elon Musk da parte dei suoi azionisti rappresenta il culmine dell’ingiustizia economica globale: un culto del profitto che trasforma la disuguaglianza in valore e l’orrore in normalità. Il capitalismo appare così per ciò che è: una religione della ricchezza senza limiti morali.

Elon Musk e il capitalismo dell’orrore: quando la disuguaglianza diventa culto

Che un singolo individuo possa ricevere mille miliardi di dollari come compenso personale non è solo un’eccentricità economica: è il sintomo di una civiltà in decomposizione morale.

Il premio riconosciuto dagli azionisti di Tesla a Elon Musk supera il PIL di intere nazioni e rappresenta più di quanto possiedano, insieme, miliardi di persone. È una cifra che non appartiene al regno dell’impresa o del merito, ma a quello del mito: l’illusione che alcuni uomini siano superiori ad altri, degni di accumulare una ricchezza inconcepibile, mentre la maggioranza del pianeta lotta per sopravvivere.

Nemmeno nei tempi delle monarchie divine, quando i faraoni venivano adorati come incarnazioni degli dèi, le disuguaglianze avevano raggiunto un simile abisso. Il capitalismo contemporaneo ha superato ogni limite di concentrazione del potere, travestendo il privilegio da conquista tecnologica e la rapina

economica da progresso.

L’ideologia del “self-made man” funziona come un meccanismo di sedazione collettiva: invita a venerare chi accumula, anziché interrogarsi su chi viene spogliato.

L’assuefazione all’orrore

Ciò che più inquieta non è solo la sproporzione materiale, ma la sua accettazione. Le stesse logiche che hanno trasformato l’ingiustizia economica in normalità hanno reso tollerabile anche la barbarie politica, come dimostra la complicità occidentale di fronte al massacro palestinese. In entrambi i casi, la brutalità è stata ripulita e resa digeribile: un genocidio ribattezzato “difesa”, un privilegio smisurato chiamato “merito”.

Il capitalismo tardo-moderno non ha più bisogno di giustificarsi, perché ha trasformato la violenza in paesaggio quotidiano. Siamo abituati a vedere miliardi spostarsi in pochi click, fabbriche chiudere in nome dell’efficienza, lavoratori licenziati da algoritmi.

E, nel frattempo, si celebra chi incarna questo sistema come una sorta di profeta dell’innovazione. Ma dietro la retorica del progresso resta l’evidenza di un mondo che misura il valore umano in base alla capacità di accumulare.

Ribellarsi alla nuova religione del profitto

Quando le disuguaglianze diventano così estreme da apparire naturali, la società si trasforma in una gerarchia di caste invisibili. La ricchezza di Musk non è il trionfo dell’ingegno, ma il segno di una struttura economica che premia lo sfruttamento e punisce la solidarietà. È l’esito logico di un sistema che considera l’accumulo un fine in sé e la vita umana un mezzo sacrificabile.

Nel futuro, i nomi di Musk, Bezos e dei nuovi oligarchi saranno probabilmente ricordati non come pionieri, ma come i simboli di un’epoca di predazione.

Il loro dominio potrà apparire potente oggi, ma ogni impero fondato sull’ingiustizia genera la propria fine. La storia, prima o poi, presenterà il conto: e sarà allora che l’idea socialista di una società fondata sull’uguaglianza tornerà non come utopia, ma come necessità.

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