Le motivazioni della sentenza con cui il Tribunale ha condannato 18 imputati, (ma per episodi singoli): è anche escluso che il sodalizio sia stato in grado di «esercitare un'egemonia negli scontri di piazza e gli attacchi al cantiere Tav»
Tra i militanti di Askatasuna c’è chi coltiva «idee rivoluzionarie», si ispira a Hezbollah e cova «astio verso le istituzioni», ma questo non significa fare parte di un’associazione a delinquere. Inoltre le attività culturali, sociali e sportive portate avanti dal 1996 non sono — come sostenuto dalla Procura — «una mera operazione di cosmesi, volta al proselitismo a fini criminali». È quanto osserva il Tribunale di Torino nelle motivazioni della sentenza del processo «Sovrano», in cui erano imputate ventotto persone tra militanti della galassia antagonista ed esponenti del movimento No Tav. Lo scorso marzo i giudici hanno inflitto diciotto condanne per episodi specifici (resistenze, danneggiamenti, lesioni personali), ma hanno cancellato l’accusa di associazione a delinquere.
«Nessuna associazione a delinquere»
Sedici di loro erano accusati di aver «promosso, costituito, organizzato e partecipato» a un’associazione «diretta a sovvertire violentemente gli ordinamenti economici e sociali dello Stato e a sopprimere violentemente l’ordinamento politico e giuridico dello Stato» dal quartier generale di corso Regina Margherita 47 (occupato abusivamente, ma oggi oggetto di un patto di collaborazione con il Comune). In questa chiave la Procura aveva letto gli assalti al cantiere Tav «fin dal 2010» e le «iniziative di protesta violenta poste in essere in occasione di manifestazioni pubbliche contro le politiche del Governo».
I giudici si soffermano sul contenuto di una conversazione intercettata fra
tre militanti, che i pm indicavano come prova del loro coinvolgimento
in un sodalizio criminale. «Il tribunale — si legge — ritiene che tale
conversazione dimostri sicuramente l’inclinazione degli interlocutori a
coltivare idee rivoluzionarie e la loro ambizione a una trasformazione
degli assetti istituzionali, indugiando anche esplicitamente su scenari
informati a metodi non democratici (come si ricava dai riferimenti a Hezbollah, all’Eta,
ad altre organizzazioni latino-americane). E dimostra altresì che i tre
interlocutori coltivano sentimenti di astio verso le istituzioni e
contemplino come utile anche il ricorso agli scontri con gli operatori
di pubblica sicurezza, laddove funzionale ai loro propositi». I giudici
però continuano osservando che «la conversazione contiene anche un’analisi della situazione generale» (analisi definita dai magistrati piuttosto «confusa») con «riferimenti generici ad altre esperienze di protesta» come i Fridays for future e i Black lives matter. Per quanto emerga con chiarezza «l’impronta ideologica» degli intercettati, non si può dire altrettanto dell’esistenza di una vera e propria associazione per delinquere.
Le attività collaterali
Sotto accusa c’erano anche le attività collaterali come lo sportello Prendocasa, che offre sostegno contro gli sfratti, le iniziative sportive e sociali. Ma per il Tribunale non è dimostrato «che le persone beneficiarie delle attività sociali promosse dalla galassia che ruota attorno ad Askatasuna siano poi state effettivamente coinvolte in attività illecite dell’associazione», né «che vi sia stato anche solo un tentativo di coinvolgimento di alcuni di questi in attività illecite». Piuttosto, suggerisce o che gli spazi e le iniziative siano stati usati per fare legittima «propaganda politica»: «Del resto l’ambizione di coinvolgere il maggior numero di persone possibile in una comune progettualità politica o sociale - anche quando dissidente o antagonista - è tratto connaturale a ogni aggregazione politica». In definitiva, il centro sociale non è «stato utilizzato a fini di proselitismo per il compimento di attività illecite». E manca la prova della presenza di «capi» e di strutture organizzate gerarchicamente: «la prassi era prendere le decisioni sempre all’esito di un percorso assembleare».
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