l piano di Silicon Valley per impadronirsi dello stato. Una plutocrazia “armata” ed estremista sta per assumere il controllo della maggiore superpotenza mondiale.
Luca Celada (il manifesto, 17/12/24)
Questa settimana Jeff Bezos di Amazon, Sam Altman di Open AI e Mark Zuckerberg hanno annunciato donazioni di un milione dollari a testa come contributo alla cerimonia di insediamento di Donald Trump il 20 gennaio. I magnati del digitale sono stati spesso attaccati da Trump, che ancora qualche settimana affermava che Zuckerberg in particolare, sarebbe dovuto “andare in prigione” per aver censurato opinioni di destra sulle sue piattaforme. Dopo la sua vittoria c’è praticamente stata una processione da Silicon Valley per fare atto di sottomissione. La scorsa settimana il padrone di Meta era volato a Mar a Lago per un incontro con Trump, Bezos ha un appuntamento per i prossimi giorni.
Molti altri plutocrati sono una presenza fissa alla corte girevole che, dalle elezioni di novembre, ruota attorno al rientrante presidente. Molti dei numerosi magnati che hanno lautamente contribuito alla sua
rielezione sono stati puntualmente ricompensati con nomine a dicasteri governativi. Fra questi il consuocero Charles Kushner, prima graziato poi omaggiato con la posizione di ambasciatore in Francia.(Un’altra nomina “dinastica” è quella della (forse ex) fidanzata del primogenito, Donald Jr., Kimberley Guilfoyle, a nuova ambasciatrice in Grecia, mentre la nuora, Lara Trump, dovrebbe passare dal comitato centrale GOP al Senato).
Fra i ministri con lauto portafoglio (ognuno con un patrimonio stimato sopra il miliardo di dollari), vi sono Linda McMahon all’istruzione pubblica, Scott Bessent, al tesoro, Doug Burgum agli interni, Howard Lutnick al commercio, Jared Isaacman, direttore della NASA e Steve Witkoff, inviato speciale in Medio Oriente – oltre che socio di affari di Trump in una nuova società di criptovaluta, la World Liberty Financial.
Oltre a creare un altro lampante conflitto di interessi per il neo presidente, l’entrata della famiglia nella produzione di “Trump coin” è l’ultimo indizio di un sodalizio crescente fra Trump e il nuovo capitalismo incubato a Silicon Valley. I tycoon del silicio sono fantasticamente ricchi, e per Trump la ricchezza è sempre stato un ostentato simbolo di successo. Stando ad un recente articolo del New York Times, nella sua reggia kitsch, ama sfoggiare i nuovi soci politici come trofei. “Ho portato due degli uomini più ricchi del mondo,” avrebbe detto di recente, secondo il Times, presentandosi ad un incontro con lo staff in compagnia di Elon Musk e di Larry Ellison, AD della Oracle. “Voi chi avete portato?”.
Ad incarnare l’influenza degli accelerazionisti di Silicon Valley nella restaurazione di Trump è proprio Musk che, come è noto, è stato insignito, assieme ad un altro miliardario, Vivek Ramaswami, di un incarico centrale come amministratore del “dipartimento di efficienza governativa” (DOGE). Musk avrebbe però libertà di azione più ampia, compresa sulla composizione degli stessi quadri di governo, alla quale, in Florida, starebbero lavorando numerosi collaboratori “prestati” dalle sue aziende.
Fra i personaggi chiave vi sarebbe Jared Birchall, amministratore della Neuralink, la società preposta agli impianti neurologici, ma anche amministratore delle finanze personali e generalmente braccio destro del magnate, incaricato degli affari di famiglia, della fondazione, oltre che dei beni immobili, viaggi e sicurezza di Musk. A queste mansioni si sono aggiunti ora i colloqui con potenziali funzionari del dipartimento di stato. Il fatto che Birchall non abbia esperienza in affari internazionali non è evidentemente ritenuto un problema in una selezione che, come per gli altri dicasteri, sembrerebbe vertere soprattutto su affinità ideologica e sulla lealtà dei candidati al presidente.
Altro consulente, stavolta per selezionare l’organico dell’intelligence, è Shaun Maguire, un fisico di Caltech diventato miliardario come partner della Sequoia, uno dei principali fondi di investimento di Silicon Valley e (ça va sans dire) amico di Elon Musk, con cui condivide il culto, così in voga nella Valley, del genio sregolato e disadattato, forse persino un po’ misantropo, ma pur sempre brillante.
In altre parole, molte delle decisioni destinate a plasmare il governo Trump bis, sono in mano ad una fazione ideologica di “meritocrati” oltranzisti, per non dire teorici “darwinisti” del trionfo dei migliori sui mediocri. Un altro “consulente” fisso a Palm Beach, ad esempio, è Marc Andreesen, il miliardario fondatore di Netscape e ideologo di spicco dell’oligarchia neoreazionaria, fautore convinto di un liberismo radicale e della minima interferenza dello stato negli affari delle corporation.
Grazie all’alleanza strategica stretta con Trump, un sodalizio davvero maturato solo nelle ultime fasi della campagna elettorale, questo ristretto gruppo di imprenditori radicalizzati dal successo degli oligopoli di Silicon Valley, ha ora l’opportunità di traghettare le filosofie di management (e di eugenetica) all’apparato dello stato. Musk ha, ad esempio, ripetutamente espresso l’idea che l’immigrazione debba essere gestita come una campagna acquisti di “una società sportiva”, tenuta a selezionare i giocatori migliori e scartare i perdenti, i “loser” tanto invisi, come è noto anche a Trump.
Ma l’ossessione principale di Musk è il taglio della spesa pubblica, contro la quale inveisce incessantemente nei post su X come fonte di inflazione ed insostenibili deficit di bilancio. Sono i temi classici della filosofia economica conservatrice che la destra silicon ha imbevuto però di uno zelo quasi religioso. E impressiona come una fazione che sarebbe stata fino a poco fa considerata fanaticamente estremista, è assurta ad una posizione di tale potere in modo quasi estemporaneo. La stessa creazione del super ministero di Musk è avvenuta “in diretta” durante il live registrato dai due uomini su X, dopo l’attentato fallito di luglio.
“Per abbattere l’inflazione occorre tagliare a fondo la spesa pubblica,” ha sentenziato in quella conversazione il titolare di Space X (che incassa miliardi in contratti spaziali pubblici). “Cosa ne dici, Donald, di una commissione speciale sull’efficienza governativa? Io sarei disposto a presiederla”. “Ottimo avrei proprio bisogno di una persona come te che non le mandi a dire, come quella volta che in quella tua azienda hanno scioperato e tu li hai licenziati tutti in tronco!” (Risate).
E sia Musk che Ramaswamy non perdono occasione per specificare che le principali fonti di spese superflue sono programmi come l’assistenza alimentare alle famiglie indigenti, pensioni e sanità. “Inizialmente potrà provocare qualche disagio,” ha perfino ammesso Musk della paventata cura (il taglio di 2000 miliardi di dollari dalla spesa pubblica, pari a più di un terzo del bilancio dello stato), “ma alla lunga sarà meglio per tutti”.
“Vedremo quel che accadrà,” ha affermato a riguardo Trump. “Saranno mesi interessanti. Ma il paese è intasato di regolamenti e di persone non necessarie, che potrebbero essere più produttive nel settore privato”. Ora, con un’influenza senza precedenti, i “broligarchi” di Silicon Valley stanno per mettere le mani sull’apparato del welfare come si farebbe con una consociata recentemente acquisita, con l’intenzione di implementare una colossale riforma “aziendalista”.
Le fortune accumulate dall’attuale plutocrazia invitano paragoni con la Gilded age dell’inizio del ventesimo, quando la stratosferica ricchezza dei Rockefeller, Vanderbilt e le grandi famiglie industriali e bancarie, sottolineava l’abissale disuguaglianza con i ceti economici subordinati. Ma l’influenza politica, pur notevole, di quei “robber barons” impallidisce di fronte alla situazione odierna.
Quell’epoca fu il preludio ad una stagione di enorme conflitto sociale nel paese, ed alla creazione, con Franklin Roosevelt, della rete sociale (sanità e pensioni) tuttora in vigore. Oggi però, le tensioni prodotte da globalizzazione e dilagante disuguaglianza sociale, hanno all’apparenza prodotto un governo direttamente controllato dai più mastodontici monopolisti generati dal capitalismo neoliberista, i quali, in alleanza con un demagogo populista, e le parti più retrive della destra ideologica, quel patto sociale si apprestano a smantellarlo.
Tutto questo in barba a lampanti conflitti di interesse delle corporation che di fatto si trovano incaricate di smantellare le agenzie federali preposte a regolarle. Le prime teste che l’industria tech vorrebbe vedere rotolare sono quelle di Lina Kahn, architetta alla Federal trade commission (FTC), della campagna antitrust che ha di recente portato in tribunale Google e Amazon, e di Elizabeth Warren, la senatrice del Massachusetts che da presidente dell’authority per la protezione dei consumatori, è fra le voci più invariabilmente di sinistra contro lo strapotere delle imprese (Andreesen ha specificamente auspicato che venga “cancellata”).
Non si tratta però solo di assicurarsi i servigi di un’amministrazione amica (anche se con un affarista come Trump, questi saranno virtualmente assicurati). La decimazione dello “stato profondo” promessa da Trump come congegno di aggregazione populista antisistema, è per la plutocrazia militante di Silicon Valley un obiettivo ideologico che Musk persegue con particolare foga.
Nel loro recente libro, “Character Limit”, Kate Conger e Ryan Mac ripercorrono ciò che è avvenuto nei giorni successivi all’acquisto di Twitter da parte di Musk. Un susseguirsi di licenziamenti in tronco, esoneri comunicati via email, responsabili di reparto convocati a sorpresa ed invitati a giustificare l’utilità del loro impiego in 60 secondi, liquidazioni trattenute. Una “ristrutturazione” economica resa teatro di crudeltà, a base di umiliazioni rituali e punitive. Un terreno di forte affinità fra Musk e Trump, già titolare di un reality il cui slogan era “You’re Fired!” (Sei licenziato!).
La liquidazione di 80% degli impiegati “senza conseguenze” per l’azienda (a meno di non voler contare la distruzione di una piattaforma ridotta a megafono di disinformazione e propaganda), ha fatto di Musk una sorta di eroe anarco capitalista per una nutrita schiera di follower. Ed è questa stessa ricetta che molti si attendono da lui per decimare una volta per tutte lo “stato profondo”. In queste settimane Musk è stato visto spesso in compagnia di un altro consociato, Steve Davis, uno dei manager nella Boring Company (la società di scavi del gruppo Musk). Secondo il Times, anche Davis, specializzato in taglio di costi, sarebbe stato impegnato in colloqui con altri esperti per “ottimizzare il bilancio federale”. Anche lui probabilmente avrà un ruolo di spicco nel nuovo ministero DOGE.
Non sarà forse possibile replicare i tagli dell’80% di Twitter, ma anche la paradossale riduzione di quasi il 50% della spesa pubblica che Musk va ventilando, rappresenterebbe una catastrofica apoteosi della guerra dei ricchi contro i poveri. Per preparare il terreno, su “X” è già partita la campagna, amplificata da Musk, per vilificare gli “scrocconi” dei sussidi pubblici, e per la “liberazione” delle aziende dalle “soffocanti burocrazie”.
L’altro impeto è quello delle privatizzazioni con delega ad un altro manager del Team Musk: Shervin Pishevar, direttore e cofondatore della Hyperloop (l’azienda di capsule supersoniche con diversi progetti in fase sperimentale). Pishevar ha scritto della “opportunità di re-immaginare le funzioni di governo alla luce degli sviluppi economici e tecnologici senza precedenti”. Una frase che sintetizza gli interessi economici e il messianesimo tecnologico prevalenti a Silicon Valley. Secondo Pishevar, servizi come le poste, la NASA ed il sistema penitenziario potranno “giovare immensamente dell’ingegno del settore privato”. Tutto nell’interesse di creare un “futuro allineato con la proprietà e la prosperità”. Una caratteristica degli ultra capitalisti è come facciano disinvoltamente vanto pubblico di ciò che fino a poco fa, e ancora durante il primo mandato Trump, i partiti padronali avrebbero taciuto e pubblicamente negato.
La graduale privatizzazione dei servizi è parte integrante dei programmi di molti governi liberisti occidentali. Ma i giga capitalisti intravedono ora l’opportunità di completare l’opera in tempi molto brevi, adottando lo slogan “move fast and break things”. Il motto di Mark Zuckerberg, prediletto dai taumaturghi del tech, verrebbe dunque applicato all’apparato dello stato da “reinventare”. Dopotutto anche il famigerato Project 2025 è predicato su di una “blitzkrieg” per sopraffare la resistenza delle istituzioni (o degli argini costituzionali) e blindare l’apparato senza lasciare tempo alla resistenza per organizzarsi.
Il progetto di “sfondamento” promette di investire ogni campo, a partire dalla ricerca, la sanità e l’istruzione pubblica, ed in alcuni casi, per la verità, è già buon punto. La rete di CPR, ad esempio (oltre 200 nel paese, e che la deportazione di massa promette di incrementare sostanzialmente), è già appaltata dal governo ad aziende del complesso “penale-industriale,” società come Corrections Corporation of American e Geo Group, pagate per detenuto, e i cui titoli in borsa sono schizzati alle stelle il giorno dell’elezione di Trump.
Ma la riverita “disruption” dovrà, nel progetto dei “broligarchi”, estendersi all’intera società. Quella che Pishevar eufemisticamente definisce la “ristrutturazione rivoluzionaria delle istituzioni pubbliche”, seguirà il noto copione del loro sabotaggio e definanziamento in vista della sostituzione con imprese di “management” e, quindi, un mastodontico trasferimento di fondi pubblici in casse private. Molto verrà presumibilmente attuato per decreto, ma all’occasione Trump ed i suoi sponsor, dispongono di entrambe le camere del parlamento e di una super maggioranza reazionaria sulla Corte suprema – una convergenza di proposito e potere che non ha precedenti.
Sempre nel quadro dell’“innovazione,” è stata significativa una nomina che è passata in parte sotto al radar, quella di David Sachs alla carica inventata di “zar per le criptovalute e l’intelligenza artificiale”. Venture capitalist, e vecchia conoscenza di Musk dai tempi della PayPal, Sachs è fra i Sudafricani con un ruolo fuori misura nell’ala silicon-reazionaria. Roelof Botha (nipote dell’ultimo ministro degli esteri del regime di apartheid, Pik Botha) è un investitore con la Sequoia (la stessa di Shaun Maguire), Patrick Soon-Shiong è il proprietario del Los Angeles Times che ha vietato l’editoriale pro Kamala Harris della propria redazione e ha da poco annunciato un algoritmo AI per “correggere” i pregiudizi progressisti dei suoi redattori.
Fra tutti i digital tycoon con legami all’emisfero australe, è pero sicuramente Peter Thiel ad avere il profilo maggiore. Legato al think-tank anarco-capitalista, Property & Freedom Conference ed al gruppo Bilderberg, il magnate cresciuto in Namibia da famiglia tedesca, non è solo sostenitore di Trump, ma è stato finanziatore e mentore della carriera di JD Vance, della cui nomina a vice presidente è stato sponsor e garante diretto.
Anche lui membro originario della PayPal mafia, Thiel ha studiato a Stanford dove fondò il giornale dei giovani conservatori. Famigerato per aver teorizzato che “la democrazia non è più compatibile con la libertà,” è oggi eminenza grigia del culto neoreazionario di Silicon Valley.
Il mese scorso, in un’intervista con Bari Weiss, ha paragonato gli ultra capitalisti tecnologici che hanno portato Trump alla vittoria, ai partigiani della resistenza che in Guerre stellari abbattono l’Impero (un’analogia in cui presumibilmente Biden ricoprirebbe la parte di Darth Vader).
Oltre che guidare la santa alleanza contro “l’establishment,” Thiel è titolare della Palantir, azienda di data analytics ed intelligenza artificiale dalle molteplici applicazioni militari (la società prende il nome dalle pietre divinatorie del mago Sauron nei libri di JRR Tolkien.) Il controllo dell’intelligenza artificiale, come è noto, sarà cruciale per la prossima fase capitalista e geopolitica ed il connubio Trump-giga oligarchi si è dunque consumato anche nell’ottica di una nuova corsa agli armamenti AI, soprattutto con l’arcirivale cinese.
Fondata nel 2003 la Palantir ha inizialmente fornito reti neurali e algoritmi per l’analisi di dati ad agenzie di intelligence e poi reparti speciali dell’esercito. Oggi è leader delle applicazioni militari della AI che fornisce anche a molti clienti globali. Sempre, si intende, quelli dalla parte “giusta”. L’AD della società, Alex Karp, è un agguerrito sostenitore di Israele e fautore del nuovo manicheismo globale a guida americana. “Dobbiamo spiegare agli Americani che il mondo è diviso in due parti e che una di queste è dominata da terroristi che hanno mire per il dominio dell’Occidente,” ha affermato in una recente conferenza del Reagan institute.
Nel Karp pensiero la supremazia tecnologica si accompagna senza soluzione di continuità alla superiorità morale dell’occidente americano. Ed il suprematismo è inscindibile dalla logica della guerra permanente (che corrisponde dopotutto al business model aziendale). Karp afferma che “gli Americani sono il popolo più timorato, equanime, meno razzista e ben disposto al mondo. Allo stesso tempo vogliono far sapere che se tu ti svegli la mattina pensando di farci del male, catturarci come ostaggi o spedirci il Fentanyl per ucciderci a casa nostra, qualcosa di molto brutto succederà a te o a tuo cugino, alla tua amante o la tua famiglia”.
Le farneticazioni da dr. Stranamore degli algoritmi per Karp sono una consuetudine. “Abbiamo la tecnologia migliore e così deve rimanere,” dice in un altro video. “Non possiamo permetterci l’equivalenza con nessuno perché i nostri avversari non hanno i nostri scrupoli morali. I nostri nemici devono svegliarsi impauriti e andare a dormire terrorizzati”, Sionista convinto e sostenitore di Netanyahu, Karp ha messo la “superiorità morale” della sua azienda a servizio del IDF nella campagna contro Gaza, ed ha sperimentato la propria intelligenza artificiale nel teatro ucraino. Nella nuova “pax americana digitale” di Karp il dr. Stranamore incontra Terminator in uno scenario in cui i cieli “nemici” sono perennemente solcati da satelliti Starlink (la consociata Musk ne ha in orbita già 6500) e molti altri armati di missili.
Due settimane fa 166 membri dell’ONU hanno votato una risoluzione auspicando un trattato sulle armi “intelligenti”, i cosiddetti robot assassini, dotati di “autonomia decisionale”. Il trattato è solo “auspicato” perché gli Stati uniti sono contrari a qualunque limitazione obbligatoria. In realtà la proliferazione di armi intelligenti è già a buon punto e, e rimarrà una principale priorità della prossima Casa bianca.
Nei quartieri generali del nuovo complesso militare industriale digitale a Silicon Valley, è già a buon punto il lavoro per assicurare la supremazia USA anche nello spazio e negli oceani, dove incrociano già “sciami” di robot-sommergibili autonomi, prodotti da un’altra azienda leader del settore, la Anduril (anche questo nome preso dal Signore degli anelli, stavolta la spada di Aragorn). Scenari sempre più frequenti in cui il transumanesimo dei giga-capitalisti sconfina nel post-umano.
Il modello potrà ora venire definitivamente consolidato da una Casa bianca in cui ideologia reazionaria ed interessi industriali saranno infine sovrapposti senza distinzione, un governo composto in parti uguali di ideologhi apocalittici e costruttori di armi che nello studio ovale avranno un socio di affari a pieno titolo.
Da gennaio si profilano stati di emergenza, rastrellamenti e modifiche costituzionali per decreto (la fine dello ius soli, per cominciare, poi radicali restrizioni al dissenso.) Dietro al progetto c’è una fazione che oltre alla certezza delle proprie ragioni, avrà ora il potere di applicarle col pieno sostegno di una presidenza imperiale.
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