Manca ancora l’ufficialità, ma è certo che le elezioni che gli imperialisti – e tra questi l’imperialismo italiano in prima linea – volevano imporre alla Libia non si terranno. Invece che elezioni-farsa, blocco dei pozzi e scontri armati tra le varie fazioni libiche. Alcuni uomini armati affiliati alle Guardie delle strutture petrolifere (Pfg) in Libia hanno annunciato la chiusura forzata di quattro giacimenti di idrocarburi (Wafa, El Feel, Sharara e Hamada) e di due raffinerie (Zuara e Mellitah). Il giacimento di Wafa, nella Libia centro-occidentale (gestito dalla Mellitah Oil and Gas Company, società compartecipata paritariamente dall’italiana ENI e da Noc), è collegato al gasdotto Green Stream che rifornisce l’Italia del gas libico. Il Green Stream, composto da una linea di 520 chilometri, realizza l’attraversamento sottomarino del Mar Mediterraneo collegando l’impianto di trattamento di Mellitah sulla costa libica con Gela, in Sicilia, punto di ingresso nella rete nazionale di gasdotti.
Ora il Noc (National Oil Corporation, la compagnia petrolifera della Libia) ha applicato la clausola di “forza maggiore” ai campi di Sharara e Wafa, secondo l’Agenzia Nova, “l’azienda libica statale guidata da Mustafa Sanallah ha comunicato di non potere adempiere ai propri obblighi contrattuali “relativamente alla produzione di petrolio greggio nei giacimenti petroliferi”, cessando “le operazioni di esportazione ai terminal di Zawia e Mellitah”. La Noc spiega che l’annuncio è causato da “circostanze non prevenibili e al di fuori del suo controllo”….. La produzione petrolifera nel Paese nordafricano membro del Cartello petrolifero Opec dovrebbe essere scesa da 1,2 milioni a circa 920-950 mila barili al giorno, dal momento che Sharara (gestito dalla joint venture Akakus, che riunisce la libica National Oil Corporation, la spagnola Repsol, la francese Total, l’austriaca Omv e la norvegese Statoil) da solo vanta una produzione di circa 280 mila barili al giorno.
Nei
giorni scorsi, in prossimità della data delle elezioni, le milizie armate hanno
circondato il palazzo del governo. La ribellione è scoppiata dopo che il
Consiglio aveva licenziato il comandante del Distretto militare. La
"Brigata Al-Samoud" aveva avvertito: "Non ci saranno
elezioni". A Sebha, nel sud della Libia, ci sono stati pesanti scontri a
fuoco tra le forze del Governo di unità nazionale e l’autoproclamato Esercito
nazionale libico (Lna) che fa capo al generale Khalifa Haftar.
Conferenze
di “pace”, dichiarazioni dei governi imperialisti, dell’ONU….sono il castello
di carte puntualmente sbaragliato dalle varie fazioni che decidono sul campo quando
chiudere i pozzi di petrolio e gas, quando ridurre la produzione approfittando
anche dell’aumento dei prezzi, quando bloccare la confluenza di migliaia di
dollari nelle casse dello Stato libico e decidere quando accendere i piccoli
fuochi della guerra civile sempre latente dopo l’aggressione della NATO. Come
sempre sono il piano internazionale con Italia, Francia, Russia e in misura
minore gli USA e quello regionale con il ruolo dei regimi reazionari di
Turchia, Egitto, Quatar, EAU a mantenere la destabilizzazione della Libia per il
petrolio e per il controllo dei principali porti e vie marittime.
Un sonoro schiaffo alle pretese di stabilizzazione imperialista per il controllo su petrolio e gas e per i respingimenti delle ondate migratorie verso l’Italia e l’Europa.
L’Italia, con l’ENI, ha forti interessi per i profitti legati all’estrazione
del petrolio (che tuttavia non riceverà grosse perdite da quest’ennesimo blocco
perché si tratta di greggio onshore
mentre quelle offshore e di gas sarebbero ancora in produzione), così come fiumi di denaro pubblico l’imperialismo
italiano – oggi rappresentato dal governo Draghi – fa confluire alle bande
criminali che costituiscono la famigerata Guardia costiera libica e arricchiscono
le mafie nostrane. La Libia per l’Italia è strategicamente importante perché nel
quadro degli interessi imperialisti del Mediterraneo Allargato. Dalle elezioni sarebbe
dipeso il ruolo dell’Italia di Draghi nel realizzare una nuova conferenza
internazionale sulla Libia, dopo quella di Parigi e Berlino che ad oggi sembra
un’ipotesi sfumata.
Intanto
l’Italia contribuisce ad alimentare la criminale, razzista, politica dei
respingimenti che ha trasformato la Libia nell’inferno per i migranti. “Il Viminale ha un nuovo partner per i
programmi di formazione, addestramento e riarmo della Guardia costiera libica
contro migranti e migrazioni: l’AID - Agenzia Industrie Difesa, l’ente che
gestisce gli stabilimenti del Ministero della Difesa e che fornisce mezzi e
sistemi bellici alle forze armate. E per addolcire la pillola un po’ di soldi e
di servizi verranno affidati in Libia all’OIM, l’Organizzazione internazionale
per le Migrazioni delle Nazioni Unite” (fonte Antonio Mazzeo).
Ma
non basta. Il quotidiano Avvenire e IrpiMedia (Investigative Reporting Project
Italy) hanno pubblicato un’inchiesta chiamata “Libyagate, il sistema di interessi che ha cambiato il volto del
Mediterraneo coinvolgendo faccendieri, trafficanti di uomini, capi milizia,
signori della guerra, governi di numerosi Paesi ed esponenti delle principali
organizzazioni mafiose internazionali… In Sicilia agiscono infatti i clienti
dei contrabbandieri, coloro che secondo le ipotesi di diverse procure
distribuiscono il carburante in tutta Europa. E che con gli incassi favoriscono
anche l’organizzazione mafiosa siciliana. Sono un anello fondamentale affinché
il traffico funzioni, perché le autorità maltesi possono lasciar perdere solo
se il traffico porta fuori dalla giurisdizione maltese. ..le mosse di alcuni
acquirenti del gruppo di contrabbandieri conducono fino a Mazara del Vallo, feudo
di Matteo Messina Denaro…..Dal 2016, dunque, il gruppo dei “catanesi” si
approvvigiona di gasolio presso il deposito mazarese con il favore di Francesco
Burzotta, il cui fratello fu legato al boss di Cosa nostra Mariano Agate, morto
nel 2013, noto anche per essere stato iscritto alla loggia massonica “Iside 2”
di Trapani e considerato l’uomo di riferimento di Totò Riina a Trapani. Nel
2004 Agate venne intercettato mentre, dal carcere al 41 bis, ordinava al figlio
Epifanio di comunicare gli sviluppi dei traffici illeciti al superlatitante
Matteo Messina Denaro, capo indiscusso di Cosa nostra in provincia di Trapani”.
Di
tutto questo è responsabile l’imperialismo italiano. Le denunce, gli appelli,
non bastano. Per i proletari e le masse si tratta di rovesciarlo come assoluta
necessità perchè epicentro di una fogna che riversa i suoi liquami sui
lavoratori, sulle masse, sui migranti in fuga dall’inferno libico che l’Italia,
assieme agli altri paesi imperialisti, ha creato.
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