CON QUESTA ULTIMA PARTE DE IL CAPITALE DI
MARX CONCLUDIAMO IL 4° CICLO DELLA
FORMAZIONE OPERAIA. ARRIVEDERCI AL 2016!
BUON ANNO A TUTTI!
Il “mistero” dell'accumulazione originaria del capitale.
MARX CONCLUDIAMO IL 4° CICLO DELLA
FORMAZIONE OPERAIA. ARRIVEDERCI AL 2016!
BUON ANNO A TUTTI!
Il “mistero” dell'accumulazione originaria del capitale.
“Abbiamo visto” dice
Marx, “come il denaro viene trasformato in capitale, come col capitale si fa il
plusvalore, e come dal plusvalore si trae più capitale. Ma l’accumulazione del
capitale presuppone il plusvalore, e il plusvalore presuppone la produzione
capitalistica, e questa presuppone a sua volta la presenza di masse di capitale
e di forza-lavoro di una considerevole entità in mano ai produttori di merci.
Tutto questo movimento sembra dunque aggirarsi in un circolo vizioso dal quale
riusciamo ad uscire soltanto supponendo un’accumulazione
«originaria» che precede l’accumulazione capitalistica: una accumulazione
che non è il risultato, ma il punto di
partenza del modo di produzione capitalistico.”
“Nell’economia politica”
continua Marx “quest’accumulazione originaria fa all’incirca la stessa parte
del peccato originale nella teologia: Adamo dette un morso alla mela e con ciò
il peccato colpì il
genere umano. Se ne spiega l’origine raccontandola come aneddoto del passato. C’era una volta, in una età da lungo tempo trascorsa, da una parte una élite diligente, intelligente e soprattutto risparmiatrice, e dall’altra c’erano degli sciagurati oziosi che sperperavano tutto il proprio e anche più.” Ma “la leggenda del peccato originale teologico ci racconta come l’uomo sia stato condannato a mangiare il suo pane nel sudore della fronte; invece la storia del peccato originale economico ci rivela come mai vi sia della gente che non ha affatto bisogno di faticare.” Ma tant’è! Così l’élite diligente ha accumulato ricchezza e “gli altri non hanno avuto all’ultimo altro da vendere che la propria pelle.
E da questo peccato originale data la povertà della gran massa che, ancor sempre, non ha altro da vendere fuorché se stessa, nonostante tutto il suo lavoro, e la ricchezza dei pochi che cresce continuamente, benché da gran tempo essi abbiano cessato di lavorare.” E Marx ci riporta anche come la raccontano i potenti di allora, un politico di alto rango francese: “Il signor Thiers per esempio sminuzza ancora ai francesi che una volta erano così intelligenti, tali insipide bambinate con tutta la serietà e solennità dell’uomo di Stato, allo scopo di difendere la p r o p r i é t é.” Oggi di insipide bambinate a proposito dell’economia ne sentiamo ancora parecchie ma nessuno parla più di questa origine del capitale. “Nella storia reale” afferma Marx: “la parte importante è rappresentata, come è noto, dalla conquista, dal soggiogamento, dall’assassinio e dalla rapina, in breve dalla violenza.” Invece “Nella mite economia politica ha regnato da sempre l’idillio. Diritto e «lavoro» sono stati da sempre gli unici mezzi d’arricchimento, facendosi eccezione, come è ovvio, volta per volta, per «questo anno». Di fatto i metodi del l’accumulazione originaria sono tutto quel che si vuole fuorché idillici.”
genere umano. Se ne spiega l’origine raccontandola come aneddoto del passato. C’era una volta, in una età da lungo tempo trascorsa, da una parte una élite diligente, intelligente e soprattutto risparmiatrice, e dall’altra c’erano degli sciagurati oziosi che sperperavano tutto il proprio e anche più.” Ma “la leggenda del peccato originale teologico ci racconta come l’uomo sia stato condannato a mangiare il suo pane nel sudore della fronte; invece la storia del peccato originale economico ci rivela come mai vi sia della gente che non ha affatto bisogno di faticare.” Ma tant’è! Così l’élite diligente ha accumulato ricchezza e “gli altri non hanno avuto all’ultimo altro da vendere che la propria pelle.
E da questo peccato originale data la povertà della gran massa che, ancor sempre, non ha altro da vendere fuorché se stessa, nonostante tutto il suo lavoro, e la ricchezza dei pochi che cresce continuamente, benché da gran tempo essi abbiano cessato di lavorare.” E Marx ci riporta anche come la raccontano i potenti di allora, un politico di alto rango francese: “Il signor Thiers per esempio sminuzza ancora ai francesi che una volta erano così intelligenti, tali insipide bambinate con tutta la serietà e solennità dell’uomo di Stato, allo scopo di difendere la p r o p r i é t é.” Oggi di insipide bambinate a proposito dell’economia ne sentiamo ancora parecchie ma nessuno parla più di questa origine del capitale. “Nella storia reale” afferma Marx: “la parte importante è rappresentata, come è noto, dalla conquista, dal soggiogamento, dall’assassinio e dalla rapina, in breve dalla violenza.” Invece “Nella mite economia politica ha regnato da sempre l’idillio. Diritto e «lavoro» sono stati da sempre gli unici mezzi d’arricchimento, facendosi eccezione, come è ovvio, volta per volta, per «questo anno». Di fatto i metodi del l’accumulazione originaria sono tutto quel che si vuole fuorché idillici.”
“Denaro e merce” continua Marx “non sono capitale fin da principio, come non lo sono i mezzi di produzione e di sussistenza.” Occorre invece “che siano trasformati in capitale. Ma anche questa trasformazione può avvenire soltanto a certe condizioni” che in sintesi sono queste: “debbono trovarsi di fronte, e mettersi in contatto due specie diversissime di possessori di merce, da una parte proprietari di denaro e di mezzi di produzione e di sussistenza, ai quali importa di valorizzare mediante l’acquisto di forza-lavoro altrui la somma di valori posseduta; dall’altra parte operai liberi, venditori della propria forza-lavoro e quindi venditori di lavoro. Operai liberi nel duplice senso che essi non fanno parte direttamente dei mezzi di produzione come gli schiavi, i servi della gleba ecc., né ad essi appartengono i mezzi di produzione, come al contadino coltivatore diretto ecc., anzi ne sono liberi, privi, senza. Con questa polarizzazione del mercato delle merci si hanno le condizioni fondamentali della produzione capitalistica. Il rapporto capitalistico ha come presupposto la separazione fra i lavoratori e la proprietà delle condizioni di realizzazione del lavoro. Una volta autonoma, la produzione capitalistica non solo mantiene quella separazione, ma la riproduce su scala sempre crescente. Il processo che crea il rapporto capitalistico non può dunque essere null’altro che il processo di separazione dalla proprietà delle proprie condizioni di lavoro, processo che da una parte trasforma in capitale i mezzi sociali di sussistenza e di produzione, dall’altra trasforma i produttori diretti in operai salariati.” E quindi: “la cosiddetta accumulazione originaria non è altro che il processo storico di separazione del produttore dai mezzi di produzione. Esso appare «originario» perché costituisce la preistoria del capitale e del modo di produzione ad esso corrispondente.”
E in breve Marx riepiloga
il lungo processo storico che ha portato a questo, dice Infatti: “La struttura
economica della società capitalistica è derivata
dalla struttura economica della società feudale.” E la dissoluzione della
società feudale ha liberato gli elementi della società capitalistica.
L’operaio, spiega Marx, è
stato libero di “disporre della sua persona soltanto dopo aver cessato di
essere legato alla gleba” cioè alla terra che lavorava come servo del padrone
feudale. E ancora: “Per divenire libero
venditore di forza-lavoro, che porta la sua merce ovunque essa trovi un
mercato, l’operaio ha dovuto inoltre sottrarsi al dominio delle corporazioni,
ai loro ordinamenti sugli apprendisti e sui garzoni e all’impaccio delle loro
prescrizioni per il lavoro. Così il movimento storico che trasforma i
produttori in operai salariati si presenta, da un lato, come loro liberazione
dalla servitù e dalla coercizione corporativa; e per i nostri storiografi borghesi esiste solo questo lato. Ma
dall’altro lato questi neo affrancati diventano venditori di se stessi soltanto
dopo essere stati spogliati di tutti i loro mezzi di produzione e di tutte le
garanzie per la loro esistenza offerte dalle antiche istituzioni feudali. E la storia di questa espropriazione degli
operai è scritta negli annali dell’umanità a tratti di sangue e di fuoco.”
Ma anche i capitalisti
hanno dovuto lottare: “I capitalisti industriali, questi nuovi potentati, hanno
dovuto per parte loro non solo soppiantare i maestri artigiani delle
corporazioni, ma anche i signori feudali possessori delle fonti di ricchezza.
Da questo lato l’ascesa dei capitalisti si presenta come frutto di una lotta
vittoriosa tanto contro il potere feudale e contro i suoi rivoltanti privilegi,
quanto contro le corporazioni e contro i vincoli posti da queste al libero sviluppo della produzione e al libero sfruttamento dell’uomo da parte
dell’uomo. Tuttavia, i cavalieri dell’industria riuscirono a soppiantare i
cavalieri della spada soltanto sfruttando avvenimenti dei quali erano del tutto
innocenti. Essi si sono affermati con mezzi altrettanto volgari di quelli usati
un tempo dal liberto romano per farsi signore del proprio patrono.”
Perciò “Il punto di partenza dello sviluppo che
genera tanto l’operaio salariato quanto il capitalista, è stata la servitù del lavoratore. La sua continuazione è consistita in un cambiamento di forma di tale asservimento, nella trasformazione dello sfruttamento feudale
in sfruttamento capitalistico.”
“Per comprenderne il corso”
dice Marx non bisogna andare molto indietro. È vero che “i primi inizi della
produzione capitalistica” si trovano sporadicamente fin dal 1300 e 1400 in
alcune città del Mediterraneo, ma “l’era
capitalistica data solo dal 1500”. In questa “storia dell’accumulazione
originaria fanno epoca dal punto di vista storico tutti i rivolgimenti che
servono di leva alla classe dei capitalisti in formazione; ma soprattutto i momenti nei quali grandi
masse di uomini vengono staccate improvvisamente e con la forza dai loro mezzi
di sussistenza e gettate sul mercato del lavoro come proletariato eslege” cioè
non sottoposto più alle leggi di allora. Infine il fondamento di tutto il processo è costituito dalla “espropriazione
dei produttori rurali, dei contadini e dalla loro espulsione dalle terre. La
sua storia ha sfumature diverse nei vari paesi e percorre fasi diverse in
successioni diverse e in epoche storiche diverse. Solo nell’Inghilterra, che perciò prendiamo come esempio, essa possiede forma classica.”
IL PUNTO 2 entra nel
merito di questa espropriazione della
popolazione rurale e della sua espulsione
dalle terre attraverso la storia.
Intorno alla fine del
1300 l’enorme maggioranza della popolazione consisteva di liberi contadini
autonomi, sotto qualunque insegna feudale potesse esser nascosta la loro
proprietà. Questi contadini, cui veniva assegnato terreno arabile e una casa
(cottage), lavoravano per se e nel loro tempo libero in parte come salariati
per i grandi proprietari fondiari. “Inoltre” aggiunge Marx “essi godevano
assieme ai contadini veri e propri, dell’usufrutto
delle terre comunali, sulle quali pascolava il loro bestiame e che
offrivano loro anche il materiale per il fuoco: legna, torba, ecc.” il paese si
presentava quindi “disseminato di piccoli poderi di contadini, interrotti solo
qua e là da fondi signorili di una certa entità.” Intorno alla fine del 1400
inizia “il rivolgimento che creò il fondamento del modo di produzione
capitalistico” e cioè la messa in liberà di tutte quelle persone che erano al
servizio dei feudatari che, segnala Marx “come nota esattamente Sir James
Steuart, «dappertutto riempivano inutilmente casa e castello»,” e che gettò sul mercato del lavoro una massa di
proletari eslege.” I grandi signori feudali in particolare scacciarono con la forza i contadini dalle
terre sulle quali essi avevano lo
stesso titolo giuridico feudale, usurpando
le loro terre comuni.
In Inghilterra l’impulso
a questa cacciata fu dato dalla fioritura
della manifattura laniera e dal corrispondente aumento dei prezzi della
lana. La nuova nobiltà feudale per la quale “il denaro era il potere dei
poteri” per poter allevare pecore trasformò i campi in pascoli.
“La legislazione” di
allora, dice Marx “era spaventata dinanzi a questo rivolgimento.” E si cercò di
arginare il fenomeno con delle leggi. Diversi re cercarono così di bloccare lo
spopolamento delle campagne, la “decadenza della popolazione e di conseguenza
un declino delle città, delle chiese, delle decime” come ricordano le cronache
di allora. Ma per circa 150 anni i
nuovi padroni dei fondi e i fittavoli riuscirono ad eludere queste leggi.
La Riforma protestante a
sua volta con il suo “colossale furto dei beni ecclesiastici” della chiesa
cattolica, dice Marx, con la soppressione dei conventi ecc. gettò gli abitanti
nel proletariato. La situazione era così grave che la regina Elisabetta dopo
aver fatto il giro dell’Inghilterra disse “Ci sono poveri dappertutto”! E “nel
quarantatreesimo anno del suo regno, si fu costretti a riconoscere ufficialmente il pauperismo mediante l’introduzione della tassa dei poveri.”
Intorno al 1750 i contadini indipendenti erano quasi scomparsi “e negli ultimi
decenni del secolo XVIII era scomparsa
l’ultima traccia di proprietà comunale dei coltivatori.”
“Sotto la restaurazione
degli Stuart” continua Marx, “i proprietari fondiari riuscirono a imporre in forma legale” l’usurpazione delle
terre.” Essi abolirono la costituzione feudale del suolo, cioè scaricarono
sullo Stato gli obblighi di servizio che essa comportava, «indennizzarono» lo
Stato per mezzo di tasse sui contadini e sulla restante massa della
popolazione, rivendicarono la proprietà privata moderna su quei fondi, sui
quali possedevano soltanto titoli feudali.”
Con la “rivoluzione gloriosa”, sotto Guglielmo
III di Orange 1688, arrivano al potere “i
facitori di plusvalore, fondiari e
capitalistici, che inaugurarono l’era nuova esercitando su scala colossale
il furto ai danni dei beni demaniali che fino a quel momento era stato
perpetrato solo su scala modesta. I capitalisti borghesi favorivano
l’operazione, fra l’altro allo scopo di trasformare i beni fondiari in un puro
e semplice articolo di commercio, di estendere il settore della grande impresa
agricola, di aumentare il loro approvvigionamento di proletari eslege
provenienti dalle campagne, ecc. Inoltre, la nuova aristocrazia fondiaria era
alleata naturale della nuova bancocrazia, dell’alta finanza, allora appena
uscita dal guscio, e del grande manifatturiero che allora si appoggiava ai dazi
protettivi.”
Ora, quindi “la legge stessa diventa veicolo di rapina
delle terre del popolo … La forma parlamentare del furto è quella dei Bills
for Inclosures of Commons (leggi per la
recinzione delle terre comuni), in altre parole, decreti per mezzo dei
quali i signori dei fondi regalano a se stessi, come proprietà privata, terra
del popolo; sono decreti di
espropriazione del popolo.”
Di fatto la condizione
degli operai agricoli peggiorò tanto che “fra il 1765 e il 1780 il loro salario
cominciò a scendere al di sotto del minimo e ad esser integrato mediante
l’assistenza ufficiale ai poveri.”
Nel 1800, dice Marx, “s’è
perduta naturalmente perfino la memoria del nesso fra agricoltura e proprietà comune. Per non parlare
neppure di periodi posteriori” quale risarcimento
ha mai ricevuto la popolazione rurale per le terre rubate?
Marx riporta tra gli
altri uno di questi episodi di cacciata dalle terre, quello della “duchessa di
Sutherland. Costei, istruita nell’economia, appena iniziato il suo governo,
risolse di applicare una cura economica radicale e di trasformare in pastura
per le pecore l’intera contea, la cui popolazione si era già ridotta attraverso
precedenti processi del genere a 15.000 abitanti. Dal 1814 al 1820 questi
15.000 abitanti, all’incirca 3.000
famiglie, vennero sistematicamente cacciati e sterminati. Tutti i loro villaggi furono distrutti e rasi al
suolo per mezzo del fuoco, tutti i
loro campi furono trasformati in praterie. Soldati britannici vennero comandati a eseguire quest’impresa e
vennero alle mani con gli abitanti. Una
vecchia morì fra le fiamme della capanna che si era rifiutata di abbandonare.
Così quella dama si appropriò 794.000 acri di terra che da tempi immemorabili
apparteneva al clan…”
Alla fine però una parte
dei pascoli per le pecore viene ritrasformata in riserva di caccia, dato che i
nuovi ricchi sborsano un sacco di soldi per il loro divertimento.
Il
furto dei beni ecclesiastici, l’alienazione fraudolenta dei beni dello Stato,
il furto della proprietà comune, la trasformazione usurpatoria, compiuta con un
terrorismo senza scrupoli, della proprietà feudale e della proprietà dei clan
in proprietà privata moderna: ecco altrettanti metodi idillici
dell’accumulazione originaria. Questi metodi conquistarono il campo
all’agricoltura capitalistica, incorporarono la terra al capitale e crearono
all’industria delle città la necessaria fornitura di proletariato eslege.
IL PUNTO 3 esamina la legislazione sanguinaria contro gli
espropriati dalla fine del 1400 in poi e le leggi per l’abbassamento dei salari.
All’inizio la produzione
manifatturiera non riusciva ad assorbire la quantità di proletari con la stessa
velocità con cui venivano cacciati dalle terre. E d’altra parte, neppure era
facile per quegli uomini “lanciati all’improvviso fuori dall’orbita abituale
della loro vita adattarsi con altrettanta rapidità alla disciplina della nuova
situazione. Si trasformarono così, in
massa, in mendicanti, briganti, vagabondi … Alla fine del secolo XV e
durante tutto il secolo XVI si ha perciò in
tutta l’Europa occidentale una legislazione sanguinaria contro il vagabondaggio.
I padri dell’attuale classe operaia furono puniti, in un primo tempo, per la
trasformazione in vagabondi e in miserabili che avevano subito. La legislazione
li trattò come delinquenti «volontari» e partì dal presupposto che dipendesse
dalla loro buona volontà il continuare a lavorare o meno nelle antiche
condizioni non più esistenti.”
In Inghilterra questa
legislazione cominciò sotto Enrico VII. Riportiamo solo qualche passo del lungo
elenco che prevede carcere, torture, tagli di orecchi, marchi a fuoco, impiccagioni
ecc. ecc.
“Enrico VIII, 1530: i mendicanti vecchi e incapaci di lavorare
ricevono una licenza di mendicità. Ma per i vagabondi sani e robusti frusta
invece e prigione. Debbono esser legati dietro a un carro e frustati finché il
sangue scorra dal loro corpo; poi giurare solennemente di tornare al loro luogo
di nascita oppure là dove hanno abitato gli ultimi tre anni e « mettersi al lavoro » ... Edoardo VI: uno statuto del suo primo
anno di governo, 1547, ordina che se
qualcuno rifiuta di lavorare dev’essere aggiudicato come schiavo alla persona
che l’ha denunciato come fannullone ... Elisabetta,
1572: i mendicanti senza licenza e di più di 14 anni di età debbono essere
frustati duramente e bollati a fuoco al lobo dell’orecchio sinistro, se nessuno li vuol prendere a servizio per
due anni; in caso di recidiva e quando siano al di sopra dei diciotto anni
debbono esser giustiziati, se nessuno li vuol prendere a servizio per due anni;
ma alla terza recidiva debbono essere giustiziati come traditori dello Stato,
senza grazia. Statuti simili: 18, Elisabetta, c. 13.”
“Così
la popolazione rurale espropriata con la
forza, cacciata dalla sua terra,
e resa vagabonda, veniva spinta con leggi fra il grottesco e il terroristico a sottomettersi, a forza di frusta, di
marchio a fuoco, di torture, a quella disciplina che era necessaria al sistema
del lavoro salariato.”
Ma nemmeno tutto questo
basta a costringere questi uomini a vendersi volontariamente. Nel tempo
subentra un altro fatto fondamentale. Dice Marx. “Man mano che la produzione
capitalistica procede, si sviluppa una
classe operaia che per educazione, tradizione, abitudine, riconosce come leggi
naturali ovvie le esigenze di quel modo di produzione. L’organizzazione del
processo di produzione capitalistico sviluppato spezza ogni resistenza; la costante produzione di una
sovrappopolazione relativa tiene la legge dell’offerta e della domanda di
lavoro, e quindi il salario lavorativo, entro un binario che corrisponde ai
bisogni di valorizzazione del capitale; la silenziosa coazione dei rapporti
economici appone il suggello al dominio del capitalista sull’operaio. Si
continua, è vero, sempre ad usare la forza extraeconomica, immediata, ma solo
per eccezione. Per il corso ordinario delle cose l’operaio può rimanere
affidato alle «leggi naturali della produzione», cioè alla sua dipendenza dal
capitale, che nasce dalle stesse condizioni della produzione, e che viene
garantita e perpetuata da esse.” In tutt’altro modo invece “vanno le cose durante la genesi storica della produzione
capitalistica. La borghesia, al
suo sorgere, ha bisogno del potere dello
Stato, e ne fa uso, per «regolare»
il salario, cioè per costringerlo entro limiti convenienti a chi vuol fare
del plusvalore, per prolungare la giornata
lavorativa e per mantenere l’operaio stesso a un grado normale di
dipendenza. È questo un momento
essenziale della cosiddetta accumulazione originaria.”
“La
legislazione sul lavoro salariato, che fin dalla nascita mira allo sfruttamento
dell’operaio e gli è sempre egualmente ostile man mano che progredisce”
dice Marx “viene inaugurata in Inghilterra
dallo Statute of Labourers di
Edoardo III 1349.” Che cosa prevedeva questo Statuto dei Lavoratori?
Esso fu richiesto dai
deputati della Camera dei Comuni, perché “«Prima», dice ingenuamente un tory,
«i poveri esigevano un salario così alto da minacciare l’industria e la
ricchezza. Ora il salario è così basso da minacciare ancora l’industria e la
ricchezza, ma in maniera diversa e forse più pericolosa di prima».” E così “Venne
stabilita una tariffa legale dei salari per la città e per la campagna, per il
lavoro a cottimo e per quello a giornata. Gli operai rurali devono impegnarsi
per un anno, quelli di Città «a mercato aperto». Viene proibito, pena la prigione, di pagare un salario più alto di
quello statutario, ma è punito più
gravemente chi riceve il salario più alto che non chi lo paga. Così, ancora
nelle sezioni 18 e 19 dello statuto degli apprendisti di Elisabetta viene
punito con dieci giorni di prigione chi paga un salario più alto, ma è punito
con ventuno giorni chi l’accetta. Uno
statuto del 1360 aggravava le pene e autorizzava addirittura il padrone a
estorcere lavoro alla tariffa legale mediante costrizione fisica. Tutte le combinazioni, i contratti,
giuramenti ecc. coi quali muratori e falegnami si vincolavano reciprocamente
vengono dichiarati nulli.” E sentiamo come venivano trattati gli operai se si organizzavano: “La coalizione fra operai viene trattata come
delitto grave a partire dal secolo XIV fino al 1825, anno dell’abolizione
delle leggi contro le coalizioni. Lo spirito dello statuto operaio del 1349 e
dei suoi rampolli risplende chiaro nel fatto che viene imposto in nome dello Stato un massimo di salario, ma non, per carità!, un minimo.” E infatti, continua Marx: “Nel
secolo XVI la situazione degli operai era, come si sa, molto peggiorata. Il
salario in denaro saliva, ma non in proporzione del deprezzamento del denaro e
del corrispondente aumento del prezzo delle merci. In realtà dunque il salario
calava. Tuttavia le leggi miranti a
tenerlo basso perduravano, e perdurava il taglio dell’orecchio e il bollo a
fuoco per coloro «che nessuno voleva prendere a servizio». Con lo statuto degli
apprendisti 5, Elisabetta, c. 3, i giudici di pace ebbero il potere di
stabilire certi salari e di modificarli a seconda delle stagioni e dei prezzi
delle merci. Giacomo I estese questo regolamento del lavoro anche ai tessitori,
filatori e a tutte le possibili categorie di operai … Giorgio II estese le
leggi contro le coalizioni operaie a
tutte le manifatture.”
“Finalmente nel 1813
vennero abolite le leggi sulla regolamentazione dei salari. Esse erano
un’anomalia ridicola, da quando il
capitalista regolava la fabbrica con la sua legislazione privata e faceva integrare
con la tassa dei poveri il salario dell’operaio agricolo fino al minimo
indispensabile.”
“Le
atroci leggi contro le coalizioni sono cadute nel 1825 di fronte all’atteggiamento minaccioso del
proletariato. Però caddero solo in parte. Alcuni bei residui dei vecchi
statuti sono scomparsi solo nel 1859. E finalmente l’Atto del parlamento del 29
giugno 1871 pretende di eliminare le ultime tracce di quella legislazione di classe con il
riconoscimento legale delle Trades’ Unions. Ma un Atto del parlamento della
stessa data (An act to amend the criminal law relating to violence, threats and
molestation) ristabiliva di fatto la
vecchia situazione in nuova forma. Con questo giuoco di prestigio
parlamentare i mezzi dei quali gli operai possono servirsi in uno sciopero o in
un lock-out (sciopero dei fabbricanti coalizzati con contemporanea chiusura
delle fabbriche) venivano di fatto sottratti al diritto comune e posti sotto
una legislazione penale eccezionale, la cui interpretazione spettava ai
fabbricanti stessi nella loro qualità di giudici dì pace. La stessa Camera dei
Comuni e lo stesso signor Gladstone avevano con la nota onestà presentato due
anni prima un disegno di legge per l’abolizione
di tutte le leggi penali d’eccezione contro la classe operaia. Ma il
disegno non fu fatto arrivare oltre la seconda lettura. … Si vede dunque che il
parlamento inglese ha rinunciato solo di controvoglia e sotto la pressione
delle masse alle leggi contro gli scioperi e le Trades’ Unions, dopo aver tenuto esso stesso, per cinque
secoli, con egoismo spudorato, la posizione di una Trade Union permanente dei
capitalisti contro gli operai.”
IL PUNTO 4 tratta della
GENESI DEI FITTAVOLI CAPITALISTI.
Abbiamo
visto come nascono gli operai, ma di dove vengono originariamente i
capitalisti? Si tratta di un processo lento che si svolge
attraverso molti secoli.
Il fittavolo sfrutta una
maggiore quantità di lavoro salariato. Poi diventa mezzadro. “Egli fornisce una
parte del capitale agricolo, il landlord ne fornisce l’altra, ed entrambi si
spartiscono il prodotto complessivo in una proporzione fissata per contratto.
In Inghilterra questa forma scompare rapidamente per far posto al vero e
proprio fittavolo, che valorizza il proprio capitale adoperando operai
salariati e paga al landlord una parte del plusprodotto in denaro o in natura
quale rendita fondiaria.”
La rivoluzione agricola
della fine del 1400 e che dura per quasi tutto il 1500 aiuta questo nuovo
padrone ad arricchirsi “con la stessa rapidità con la quale impoverisce la
popolazione rurale. L’usurpazione dei pascoli comunali ecc, gli permette di
ottenere un grande aumento del proprio bestiame quasi senza spese, mentre il
bestiame gli fornisce più abbondante concime per la lavorazione della terra.” Nel
1500 si aggiunge inoltre un elemento d’importanza decisiva. La svalutazione del
denaro abbassò il salario lavorativo e l’aumento dei prezzi agricoli fece
arricchire ancora di più il capitalista agrario.
Nel PUNTO 5 Marx parla
della ripercussione della rivoluzione
agricola sull’industria e della creazione
del mercato interno per il capitale industriale.
I miglioramenti nell’agricoltura
e gli altri fenomeni, come la distruzione dell’industria domestica rurale, che
abbiamo visto fornivano all’industria operai e materia prima in abbondanza. I
proletari cacciati dalle terre dovevano adesso comprare dall’industriale i
propri mezzi di sostentamento. L’insieme di questi fatti creano adesso il
mercato interno.
“Tuttavia” dice Marx, “il
periodo della manifattura in senso proprio non conduce a una trasformazione
radicale … Solo la grande industria
offre, con le macchine, il fondamento costante dell’agricoltura capitalistica,
espropria radicalmente l’enorme maggioranza della popolazione rurale e porta a
compimento il distacco fra agricoltura e industria domestica rurale strappando
le radici di quest’ultima... la filatura e la tessitura. Quindi solo essa
conquista al capitale industriale tutto il mercato interno.”
NEL PUNTO 6 vediamo come
nasce il CAPITALISTA INDUSTRIALE.
“La
genesi del capitalista industriale non è avvenuta nella stessa maniera graduale
di quella del fittavolo” dice Marx “il passo di lumaca di questo metodo
non corrispondeva in nessun modo ai bisogni commerciali del nuovo mercato
mondiale, creato dalle grandi scoperte della fine del secolo XV. Il Medioevo
però aveva tramandato due forme di capitale, che maturano nelle più svariate
formazioni sociali economiche e che prima dell’era del modo di produzione
capitalistico sono considerate come capitale quand même — il capitale usurario e il capitale commerciale. «Oggi tutta la
ricchezza della società va per prima cosa in possesso del capitalista... è lui
che paga il fitto al proprietario fondiario, il salario all’operaio, al
collettore delle imposte e delle decime quel che loro è dovuto; e serba per sè
la parte maggiore, che cresce di giorno in giorno, del prodotto annuo del
lavoro. Ora il capitalista può essere
considerato come proprietario di prima mano di tutta la ricchezza sociale,
benché nessuna legge gli abbia trasferito il diritto su questa proprietà… e per
mezzo di quale legge o di quale serie di leggi è stata attuata questa
rivoluzione?»” si chiedeva uno studioso dell’epoca, e Marx risponde: “L’autore avrebbe dovuto dirsi che le
rivoluzioni non si fanno con le leggi.”
“La scoperta delle terre
aurifere e argentifere in America, lo sterminio e la riduzione in schiavitù
della popolazione aborigena, seppellita nelle miniere, l’incipiente conquista e
il saccheggio delle Indie Orientali, la trasformazione dell’Africa in una
riserva di caccia commerciale delle pelli nere, sono i segni che
contraddistinguono l’aurora dell’era della produzione capitalistica. Questi procedimenti idillici sono momenti
fondamentali dell’accumulazione originaria. Alle loro calcagna viene la
guerra commerciale delle nazioni europee, con l’orbe terracqueo come teatro. La guerra commerciale si apre con la
secessione dei Paesi Bassi dalla Spagna, assume proporzioni gigantesche nella
guerra antigiacobina dell’Inghilterra e continua ancora nelle guerre dell’oppio
contro la Cina, ecc.”
“I vari momenti
dell’accumulazione originaria si distribuiscono ora, più o meno in successione
cronologica, specialmente fra Spagna, Portogallo, Olanda, Francia e
Inghilterra. Alla fine del secolo XVII quei vari momenti vengono combinati
sistematicamente in Inghilterra in sistema coloniale, sistema del debito
pubblico, sistema tributario e protezionistico moderni. I metodi poggiano in
parte sulla violenza più brutale, come per esempio il sistema coloniale. Ma
tutti si servono del potere dello Stato, violenza concentrata e organizzata
della società, per fomentare artificialmente il processo di trasformazione del
modo di produzione feudale in modo di produzione capitalistico e per accorciare
i passaggi. La violenza è la levatrice
di ogni vecchia società, gravida di una società nuova. È essa stessa una
potenza economica.”
Marx cita altri studiosi
che hanno analizzato il sistema: “Un uomo che si è fatto una specialità del
cristianesimo, W Howitt, così parla del sistema coloniale cristiano: «Gli atti
di barbarie e le infami atrocità delle razze cosiddette cristiane in ogni
regione del mondo e contro ogni popolo che sono riuscite a soggiogare, non
trovano parallelo in nessun’altra epoca della storia della terra, in
nessun’altra razza, per quanto selvaggia e incolta, spietata e spudorata» ….
Dove gli olandesi mettevano piede, seguivano la devastazione e lo spopolamento.
Banjuwangi, provincia di Giava, contava nel 1750 più di ottantamila abitanti,
nel 1811 ne aveva ormai soltanto ottomila. Ecco il doux commerce!”
“La colonia assicurava
alle manifatture che sbocciavano il mercato di sbocco di un’accumulazione
potenziata dal monopolio del mercato. Il tesoro catturato fuori d’Europa
direttamente con il saccheggio, l’asservimento, la rapina e l’assassinio rifluiva nella madre patria e qui si
trasformava in capitale. L’Olanda, che è stata la prima a sviluppare in
pieno il sistema coloniale, era già nel 1684 all’apogeo della sua grandezza
commerciale. Era «in possesso quasi esclusivo del commercio delle Indie
Orientali e del traffico fra il sud-ovest e il nord-est europeo. Le sue imprese
di pesca, la sua marina, le sue manifatture superavano quelle di ogni altro
paese. I capitali della repubblica erano forse più importanti di quelli del
resto d’Europa nel loro insieme». Il Gillich dimentica” afferma Marx “di
aggiungere che la massa popolare
olandese era già nel 1648 più logorata dal lavoro, più impoverita e più
brutalmente oppressa di quella del resto d’Europa nel suo insieme.”
“Oggigiorno la supremazia
industriale porta con sé la supremazia commerciale. Invece nel periodo della
manifattura in senso proprio è la supremazia commerciale a dare il predominio
industriale.”
“Il sistema del credito
pubblico, cioè dei debiti dello Stato, le cui origini si possono scoprire fin
dal Medioevo a Genova e a Venezia, s’impossessò di tutta l’Europa durante il
periodo della manifattura, e il sistema coloniale col suo commercio marittimo e
le sue guerre commerciali gli servì da serra. … Il debito pubblico, ossia l’alienazione
dello Stato — dispotico, costituzionale o repubblicano che sia — imprime il suo
marchio all’era capitalistica. L’unica parte della cosiddetta ricchezza
nazionale che passi effettivamente in possesso collettivo dei popoli moderni è
il loro debito pubblico. Di qui, con piena coerenza, viene la dottrina moderna
che un popolo diventa tanto più ricco quanto più a fondo s’indebita. Il credito pubblico diventa il credo del capitale.
E col sorgere dell’indebitamento dello Stato, al peccato contro lo spirito
santo, che è quello che non trova perdono, subentra il mancar di fede al debito pubblico.”
“Il debito pubblico
diventa una delle leve più energiche dell’accumulazione originaria: come con un
colpo di bacchetta magica, esso conferisce al denaro, che è improduttivo, la
facoltà di procreare, e così lo trasforma in capitale, senza che il denaro
abbia bisogno di assoggettarsi alla fatica e al rischio inseparabili
dall’investimento industriale e anche da quello usurario. In realtà i creditori
dello Stato non danno niente, poichè la somma prestata viene trasformata in
obbligazioni facilmente trasferibili, che in loro mano continuano a funzionare
proprio come se fossero tanto denaro in contanti.”
“Fin dalla nascita le
grandi banche agghindate di denominazioni nazionali non sono state che società
di speculatori privati che si affiancavano ai governi e, grazie ai privilegi
ottenuti, erano in grado di anticipar loro denaro. Quindi l’accumularsi del
debito pubblico non ha misura più infallibile del progressivo salire delle
azioni di queste banche, il cui pieno sviluppo risale alla fondazione della
Banca d’Inghilterra (1694).”
“Con i debiti pubblici è
sorto un sistema di credito internazionale che spesso nasconde una delle fonti
dell’accumulazione originaria di questo o di quel popolo. Così le bassezze del
sistema di rapina veneziano sono ancora uno di tali fondamenti arcani della
ricchezza di capitali dell’Olanda, alla quale Venezia in decadenza prestò forti
somme di denaro. Altrettanto avviene fra l’Olanda e l’Inghilterra. Già
all’inizio del secolo XVIII le manifatture olandesi sono superate di molto, e
l’Olanda ha cessato di essere la nazione industriale e commerciale dominante.
Quindi uno dei suoi affari più importanti diventa, dal 1701 al 1776, quello del
prestito di enormi capitali, che vanno in particolare alla sua forte
concorrente, l’Inghilterra. Qualcosa di simile si ha oggi fra Inghilterra e
Stati Uniti: parecchi capitali che oggi si presentano negli Stati Uniti senza
fede di nascita sono sangue di bambini che solo ieri è stato capitalizzato in
Inghilterra.”
“Poichè il debito
pubblico ha il suo sostegno nelle entrate dello Stato che debbono coprire i
pagamenti annui d’interessi, ecc., il
sistema tributario moderno è diventato l’integramento necessario del
sistema dei prestiti nazionali. I prestiti mettono i governi in grado di
affrontare spese straordinarie senza che il contribuente ne risenta
immediatamente, ma richiedono tuttavia in seguito un aumento delle imposte.
D’altra parte, l’aumento delle imposte causato dall’accumularsi di debiti
contratti l’uno dopo l’altro costringe il governo a contrarre sempre nuovi
prestiti quando si presentano nuove spese straordinarie. Il fiscalismo moderno,
il cui perno è costituito dalle imposte sui mezzi di sussistenza di prima
necessità (quindi dal rincaro di questi), porta perciò in se stesso il germe della
progressione automatica. Dunque, il sovraccarico d’imposte non è un incidente,
ma anzi è il principio. Questo sistema è stato inaugurato la prima volta in
Olanda, e il gran patriota De Witt l’ha quindi celebrato nelle sue Massime come
il miglior sistema per render l’operaio sottomesso, frugale, laborioso e...
sovraccarico di lavoro.”
“Il
sistema protezionistico è stato un espediente per fabbricare fabbricanti, per
espropriare lavoratori indipendenti, per capitalizzare i mezzi nazionali di
produzione e di sussistenza, per abbreviare con la forza il trapasso dal modo
di produzione antico a quello moderno. Gli Stati europei si sono contesi la
patente di quest’invenzione e, una volta entrati al servizio dei facitori di
plusvalore, non solo hanno a questo scopo imposto taglie al proprio popolo,
indirettamente con i dazi protettivi, direttamente con premi sull’esportazione,
ecc., ma nei paesi da essi dipendenti hanno estirpato con la forza ogni
industria; come per esempio la manifattura laniera irlandese è stata estirpata
dall’Inghilterra.”
Insomma: “Sistema coloniale, debito pubblico, peso
fiscale, protezionismo, guerre commerciali, ecc., tutti questi rampolli del
periodo della manifattura in senso proprio crescono come giganti nel periodo
d’infanzia della grande industria. La nascita di quest’ultima viene
celebrata con la grande strage erodiana degli innocenti. Le fabbriche reclutano
il proprio personale, come la regia marina, attraverso l’arruolamento forzoso.”
“Le belle e romantiche
vallate del Derbyshire, del Nottinghamshire e del Lancashire, lontane
dall’occhio del pubblico, divennero raccapriccianti deserti di tortura... e
spesso di assassinio!... I profitti dei fabbricanti erano enormi. Ma questo non
faceva che acuire la loro fame da lupi mannari, ed essi dettero inizio alla
prassi del «lavoro notturno», cioè dopo aver paralizzato col lavoro diurno un
gruppo di braccia, ne tenevano pronto un altro gruppo per il lavoro notturno;
il gruppo diurno entrava nei letti che il gruppo notturno aveva appena
lasciato, e viceversa. È tradizione popolare nel Lancashire che i letti non si
raffreddavano mai»”.
Con
lo sviluppo della produzione capitalistica durante il periodo della manifattura
la pubblica opinione europea aveva perduto l’ultimo resto di pudore e di
coscienza morale. Le nazioni cominciarono a vantarsi
cinicamente di ogni infamia che fosse un mezzo per accumulare capitale.”
“L’industria cotoniera,
introducendo in Inghilterra la schiavitù dei bambini, dette allo stesso tempo
l’impulso alla trasformazione dell’economia schiavistica negli Stati Uniti,
prima più o meno patriarcale, in un sistema di sfruttamento commerciale. In
genere, la schiavitù velata degli operai salariati in Europa aveva bisogno del
piedistallo della schiavitù sans phrase nel nuovo mondo.”
“Tantae molis erat (di
questa mole era) il parto delle «eterne
leggi di natura» del modo di produzione capitalistico, il portare a termine
il processo di separazione fra lavoratori e condizioni di lavoro, il
trasformare a un polo i mezzi sociali di produzione e di sussistenza in
capitale, e il trasformare al polo opposto la massa popolare in operai
salariati, in liberi «poveri che lavorano», questa opera d’arte della storia
moderna. Se il denaro, come dice
l’Augier, «viene al mondo con una voglia
di sangue in faccia», il capitale
viene al mondo grondante sangue e sporcizia dalla testa ai piedi, da ogni poro.”
7. TENDENZA STORICA
DELL’ACCUMULAZIONE CAPITALISTICA.
“A che cosa si riduce
l’accumulazione originaria del capitale, cioè la sua genesi storica?” a questo,
dice Marx: “l’accumulazione originaria
del capitale significa soltanto l’espropriazione dei produttori immediati, cioè
la dissoluzione della proprietà privata fondata sul lavoro personale.”
“La proprietà privata del
lavoratore sui suoi mezzi di produzione è il fondamento della piccola azienda…”
Ma “Questo modo di produzione presuppone uno
sminuzzamento del suolo e degli altri mezzi di produzione; ed esclude,
oltre alla concentrazione dei mezzi di produzione, anche la cooperazione, la
divisione del lavoro all’interno degli stessi processi di produzione, la
dominazione e la disciplina della natura da parte della società, il libero
sviluppo delle forze produttive sociali. Esso
è compatibile solo con dei limiti ristretti, spontanei e naturali, della
produzione e della società. Volerlo
perpetuare significherebbe, come dice bene il Pecqueur, «decretare la mediocrità generale».
Quando è salito a un certo grado, questo modo di produzione genera i mezzi
materiali della propria distruzione. A partire da questo momento, in seno alla
società si muovono forze e passioni che si sentono incatenate da quel modo di
produzione: esso deve essere distrutto,
e viene distrutto. La sua distruzione, che è la trasformazione dei mezzi di produzione individuali e dispersi in mezzi
di produzione socialmente concentrati, e quindi la trasformazione della
proprietà minuscola di molti nella proprietà colossale di pochi, quindi
l’espropriazione della gran massa della popolazione, che viene privata della
terra, dei mezzi di sussistenza e degli strumenti di lavoro; questa terribile e difficile espropriazione
della massa della popolazione costituisce la preistoria del capitale. Essa comprende tutt’una serie di metodi
violenti, dei quali noi abbiamo passato in rassegna solo quelli che fanno
epoca come metodi dell’accumulazione originaria del capitale. L’espropriazione dei produttori immediati
viene compiuta con il vandalismo più spietato e sotto la spinta delle passioni
più infami, più sordide e meschinamente odiose. La proprietà privata
acquistata col proprio lavoro, fondata per così dire sulla unione intrinseca
della singola e autonoma individualità lavoratrice e delle sue condizioni di
lavoro, viene soppiantata dalla proprietà privata capitalistica che è fondata
sullo sfruttamento di lavoro che è sì lavoro altrui, ma, formalmente, è libero.
“Appena questo processo
di trasformazione ha decomposto a sufficienza l’antica società in profondità e
in estensione, appena i lavoratori sono trasformati in proletari e le loro
condizioni di lavoro in capitale, appena il modo di produzione capitalistico si
regge su basi proprie, assumono una nuova forma la ulteriore socializzazione
del lavoro e l’ulteriore trasformazione della terra e degli altri mezzi di
produzione in mezzi di produzione sfruttati socialmente, cioè in mezzi di produzione collettivi, e quindi assume una forma
nuova anche l’ulteriore espropriazione dei proprietari privati. Ora, quello che deve essere espropriato non
è più il lavoratore indipendente che lavora per sè, ma il capitalista che
sfrutta molti operai.
“Questa espropriazione si
compie attraverso il giuoco delle leggi
immanenti della stessa produzione capitalistica, attraverso la
centralizzazione dei capitali. Ogni
capitalista ne ammazza molti altri. Di pari passo con questa
centralizzazione ossia con l’espropriazione di molti capitalisti da parte di
pochi, si sviluppano su scala sempre crescente la forma cooperativa del
processo di lavoro, la consapevole applicazione tecnica della scienza, lo
sfruttamento metodico della terra, la trasformazione dei mezzi di lavoro in
mezzi di lavoro utilizzabili solo collettivamente, la economia di tutti i mezzi
di produzione mediante il loro uso come mezzi di produzione del lavoro sociale,
combinato, mentre tutti i popoli vengono
via via intricati nella rete del mercato mondiale e così si sviluppa in
misura sempre crescente il carattere internazionale del regime capitalistico. Con la diminuzione costante del numero dei
magnati del capitale che usurpano e monopolizzano tutti i vantaggi di
questo processo di trasformazione, cresce
la massa della miseria, della pressione, dell’asservimento, della
degenerazione, dello sfruttamento, ma cresce
anche la ribellione della classe operaia che sempre più s’ingrossa ed è
disciplinata, unita e organizzata dallo stesso meccanismo del processo di
produzione capitalistico. Il monopolio
del capitale diventa un vincolo del modo di produzione, che è sbocciato
insieme ad esso e sotto di esso. La centralizzazione dei mezzi di produzione e
la socializzazione del lavoro raggiungono un punto in cui diventano incompatibili col loro involucro
capitalistico. Ed esso viene
spezzato. Suona l’ultima ora della proprietà privata capitalistica. Gli espropriatori vengono espropriati.
“Il modo di
appropriazione capitalistico che nasce dal modo di produzione capitalistico, e
quindi la proprietà privata capitalistica, sono la prima negazione della
proprietà privata individuale, fondata sul lavoro personale.
“Ma la produzione
capitalistica genera essa stessa, con l’ineluttabilità di un processo naturale,
la propria negazione. È la negazione della negazione. E questa non ristabilisce
la proprietà privata, ma invece la proprietà individuale fondata sulla
conquista dell’era capitalistica, sulla cooperazione e sul possesso collettivo
della terra e dei mezzi di produzione prodotti dal lavoro stesso.
“La trasformazione della
proprietà privata sminuzzata poggiante sul lavoro personale degli individui in
proprietà capitalistica è naturalmente un processo incomparabilmente più lungo,
più duro e più difficile della trasformazione della proprietà capitalistica,
che già poggia di fatto sulla conduzione sociale della produzione, in proprietà
sociale. Là si trattava
dell’espropriazione della massa della popolazione da parte di pochi usurpatori,
qui si tratta dell’espropriazione di pochi usurpatori da parte della massa del
popolo.”
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