Pubblichiamo oggi, in giornata diversa dal solito giovedì, per riuscire a completare entro questo mese la parte più importante del 1° libro de Il Capitale.
Questo capitolo, 22 del Capitale di Marx, tratta della trasformazione del plusvalore in capitale, del PROCESSO DI PRODUZIONE CAPITALISTICO SU SCALA ALLARGATA, e di come le leggi della proprietà della produzione delle merci si trasformano in leggi dell’appropriazione capitalistica
Questo capitolo, 22 del Capitale di Marx, tratta della trasformazione del plusvalore in capitale, del PROCESSO DI PRODUZIONE CAPITALISTICO SU SCALA ALLARGATA, e di come le leggi della proprietà della produzione delle merci si trasformano in leggi dell’appropriazione capitalistica
“In precedenza”, inizia
Marx, “avevamo da considerare come il
plusvalore nasca dal capitale, ora dobbiamo vedere come il capitale nasce dal plusvalore.” E spiega come questo
plusvalore, usato come capitale, significa accumulazione
del capitale.
Dunque, il plusvalore,
prodotto dall’operaio e di cui si appropria il capitalista, se deve produrre
ancora capitale, non può essere tutto speso in consumi dal capitalista, ma deve
essere a sua volta in parte impiegato nella compera dei mezzi di produzione e
nei mezzi di sostentamento, cioè si deve dividere in capitale costante e in capitale
variabile, e in parte viene consumato dal capitalista come suo reddito.
Abbiamo visto che il plusvalore
si presenta, alla fine del processo produttivo, come una massa in più di
prodotti, plusprodotto, che per essere ritrasformato in denaro deve essere
venduto. Una volta venduto e una volta che avviene questa ritrasformazione in
denaro, “valore capitale e plusvalore
sono l’uno e l’altro somme di denaro, e la loro ritrasformazione in
capitale avviene del tutto alla stessa maniera”. Insomma adesso si ha una sola
somma di denaro ma più alta di prima.
Con questa nuova somma il
capitalista trova al mercato le merci necessarie per la nuova produzione che
sono state prodotte durante l’anno da tutti gli altri rami della produzione. Il
mercato, ricorda Marx, è il luogo della circolazione delle merci, ma la circolazione,
come sappiamo, non può “né ingrandire la produzione annua complessiva, né
cambiar la natura degli oggetti prodotti”, perché
questo ingrandirsi della produzione avviene appunto all’interno del processo produttivo. La produzione annua complessiva contiene dunque sia gli elementi che reintegrano il capitale anticipato che il di più, gli elementi per la nuova produzione allargata, cioè ci sono più merci nella forma sia di mezzi di produzione che nella forma di mezzi di sostentamento.
questo ingrandirsi della produzione avviene appunto all’interno del processo produttivo. La produzione annua complessiva contiene dunque sia gli elementi che reintegrano il capitale anticipato che il di più, gli elementi per la nuova produzione allargata, cioè ci sono più merci nella forma sia di mezzi di produzione che nella forma di mezzi di sostentamento.
Per una nuova produzione si
richiede più lavoro, dice Marx, e, quindi, se il capitalista non fa lavorare di
più e più intensamente gli operai che già ci sono, allora “debbono essere
assunti operai supplementari. Il
meccanismo della produzione capitalistica ha già provveduto anche a questo,
riproducendo la classe degli operai come
classe dipendente dal salario lavorativo, il cui salario abituale è
sufficiente non solo ad assicurarne il sostentamento, ma anche la
moltiplicazione. Queste forze-lavoro addizionali, che gli vengono fornite
annualmente dalla classe operaia in differenti stadi di età, debbono ormai soltanto essere incorporate
dal capitale ai mezzi di produzione addizionali già contenuti nella
produzione annua, e la metamorfosi del
plusvalore in capitale è fatta. Considerata in concreto, l’accumulazione si risolve in riproduzione
del capitale su scala progressiva. Il ciclo
della riproduzione semplice si scambia e si trasforma, per dirla con il
Sismondi, in una spirale.”
A questo punto mentre il capitale iniziale continua a
riprodursi e a produrre plusvalore, il nuovo plusvalore, e quindi il nuovo
capitale aumentato, si divide ancora una volta e ne produce a sua volta altro,
e così via…
Sì, ma come ha avuto il
capitalista il primo capitale? Ci si chiede. A questa domanda i paladini dell’economia
politica rispondono “con il suo lavoro e quello dei suoi antenati”. E questa
ipotesi, dice Marx, sembra l’unica che si accordi con le leggi della produzione
delle merci. (Da dove arriva questo “capitale originario” lo vedremo nel
capitolo 24).
Ma se per “capitale
originario”, dice Marx, possiamo lasciare per il momento questa ipotesi: “In
tutt’altro modo vanno le cose per il capitale
addizionale…. Noi conosciamo con
estrema precisione il suo processo di formazione: esso è plusvalore capitalizzato. Fin
dall’origine esso non contiene neppure
un solo atomo di valore che non derivi da lavoro altrui non retribuito. Tanto i mezzi di produzione ai quali
viene incorporata la forza-lavoro addizionale, quanto i mezzi di sussistenza coi quali questa si mantiene, non
sono altro che parti costitutive integranti del plusprodotto, cioè del tributo strappato anno per anno alla classe
degli operai da parte della classe dei capitalisti. Quando poi, con una
parte del tributo, questa classe compera dall’altra classe forza-lavoro
addizionale, sia pure a prezzo pieno, cosicché si ha scambio di equivalente con
equivalente, si ha pur sempre l’antico
procedimento del conquistatore che acquista merci dai vinti pagandole con il
denaro loro, ad essi rubato.”
“Considerando la cosa come transazione fra la classe dei capitalisti e
la classe operaia, non cambia niente il fatto che col lavoro non retribuito
degli operai fino allora occupati si occupino operai supplementari. Forse il
capitalista trasformerà anche il capitale addizionale in una macchina che
getterà sul lastrico il produttore del capitale addizionale e lo sostituirà con
un paio di ragazzini. In tutti i casi la
classe operaia ha creato, col proprio plus-lavoro di quell’anno, il capitale
che nell’anno successivo occuperà lavoro supplementare. Questo è quel che
si chiama: generare capitale mediante
capitale.”
Il primo capitale addizionale viene dunque dal “lavoro originario”.
Presupposto del secondo capitale
addizionale … non è invece altro che la
precedente accumulazione del primo …, del quale esso costituisce il
plusvalore capitalizzato. “Adesso unica
condizione per appropriarsi, nel presente, lavoro non retribuito vivente in misura sempre crescente sembra
essere la proprietà di lavoro non
retribuito passato. Quanto più il capitalista ha accumulato, tanto più egli
può accumulare.”
Ma come siamo passati,
quindi, dalla legge dello scambio tra equivalenti che metteva sullo stesso
piano di parità il compratore e il venditore di forza-lavoro ad una situazione
diversa?
Marx così spiega il
passaggio: “la legge dell’appropriazione poggiante sulla produzione e sulla
circolazione delle merci ossia legge
della proprietà privata si converte
evidentemente nel proprio diretto opposto, per la sua propria, intima, inevitabile dialettica.” Infatti,
prosegue: “Lo scambio di equivalenti che pareva essere l’operazione originaria
si è rigirato in modo che ora si fanno
scambi solo per l’apparenza in quanto, in primo luogo, la parte di capitale scambiata con forza-lavoro è essa stessa solo una parte del prodotto
lavorativo altrui appropriato senza equivalente, e, in secondo luogo, essa non solo deve
essere reintegrata dal suo produttore, l’operaio, ma deve essere reintegrata
con un nuovo sovrappiù. Dunque, il
rapporto dello scambio fra capitalista ed operaio diventa soltanto una parvenza
pertinente al processo di circolazione, pura forma, estranea al contenuto
vero e proprio, semplice mistificazione di esso.” Perché il processo che si
rinnova, cioè “La compravendita costante
della forza-lavoro è la forma.” Il contenuto
consiste nel fatto che “il capitalista
torna sempre a permutare contro sempre maggiore quantità di lavoro altrui
vivente una parte del lavoro altrui già oggettivato che egli si appropria
incessantemente senza equivalente.” E allora che fine fa il diritto di
proprietà? “Originariamente” dice Marx, “il
diritto di proprietà ci si è presentato come fondato sul proprio lavoro ...
Adesso la proprietà si presenta,
dalla parte del capitalista come il
diritto di appropriarsi lavoro altrui non retribuito ossia il prodotto di
esso, e dalla parte dell’operaio
come impossibilità di appropriarsi il
proprio prodotto.” Prima “proprietà e lavoro” erano una cosa identica, adesso una legge interna al modo di produzione ne
sancisce la separazione.
Per chiarire ancora una
volta Marx ripercorre i passaggi che portano all’accumulazione capitalistica.
“La
trasformazione originaria del denaro in capitale si compie dunque in accordo
esattissimo con le leggi economiche della produzione delle merci e con il
diritto di proprietà che ne deriva. Ma ciò malgrado essa ha per risultato:
1.
che il prodotto appartiene al
capitalista e non all’operaio;
2.
che il valore di questo prodotto include,
oltre il valore del capitale anticipato,
un plusvalore, che all’operaio è
costato lavoro, ma al capitalista non è
costato nulla, e che tuttavia diventa proprietà
legittima del capitalista;
3.
che l’operaio ha conservato la sua
forza-lavoro e la può vendere di nuovo, se trova un compratore.
Un altro dei cambiamenti che
avviene nel capitale si può vedere non nei fatti considerati isolatamente “Ma nel flusso della produzione” in cui “ogni capitale anticipato in origine diventa, in genere, una grandezza infinitesimale (magnitudo
evanescens in senso matematico) a
confronto del capitale accumulato direttamente, cioè del plusvalore ossia
plusprodotto riconvertito in capitale, tanto che funzioni nella mano che l’ha
accumulato che in mano altrui.”
Al punto 2 di questo
capitolo Marx tratta della concezione
errata della riproduzione su scala allargata da parte dell’economia politica.
Questo equivoco o errore
consiste, al contrario di quanto esposto fin qui da Marx, nel considerare che tutto il plusvalore che viene convertito in capitale diventerebbe capitale variabile, cioè verrebbe trasformato in salari, cioè in operai produttivi,
dato che non concepivano come si potesse spendere in qualcosa di
improduttivo. Invece, dice Marx “questo
plusvalore si divide, come il valore originariamente anticipato, in capitale
costante e capitale variabile, in mezzi di produzione e in forza-lavoro. La
forza-lavoro è la forma nella quale il capitale variabile esiste all’interno
del processo di produzione. In questo processo il capitalista consuma la
forza-lavoro stessa, e quest’ultima consuma mezzi di produzione per la sua
stessa funzione che è il lavoro. Allo stesso tempo il denaro pagato
nell’acquisto della forza-lavoro si trasforma in mezzi di sussistenza, che non
vengono consumati dal «lavoro produttivo», ma dal «lavoratore produttivo».”
Il capitalista può
decidere di comprare, con una parte del suo plusvalore, lavoro per soddisfare i
propri bisogni, e questo non è impiego produttivo.
Nel terzo punto Marx
tratta della Divisione del plusvalore in
capitale e reddito.
Il plusvalore, e
rispettivamente il plusprodotto, dice Marx, sono sia fondo di consumo individuale del capitalista, che fondo di accumulazione.
Infatti, come sappiamo, i
motivi che lo spingono a non “mangiarsi
tutto” per non uccidere la sua gallina dalle uova d’oro “non sono il valore
d’uso o il godimento, bensì il valore di
scambio e la moltiplicazione di quest’ultimo. Come fanatico della valorizzazione del valore egli costringe senza
scrupoli l’umanità alla produzione per la produzione, spingendola quindi a uno sviluppo delle forze produttive sociali e
alla creazione di condizioni materiali di produzione che sole possono
costituire la base reale d’una forma superiore di società il cui principio
fondamentale sia lo sviluppo pieno e libero di ogni individuo. Il
capitalista è rispettabile solo come personificazione del capitale; in tale
qualità condivide l’istinto assoluto per l’arricchimento proprio del
tesaurizzatore. Ma ciò che in costui si presenta come mania individuale, nel capitalista è effetto del meccanismo
sociale, all’interno del quale egli non è altro che una ruota
dell’ingranaggio.” Questo ingranaggio prevede che “lo sviluppo della produzione
capitalistica rende necessario un
aumento continuo del capitale investito in un’impresa industriale, e la concorrenza impone a ogni capitalista
individuale le leggi immanenti del modo di produzione capitalistico come leggi
coercitive esterne. Lo costringe ad espandere continuamente il suo capitale
per mantenerlo, ed egli lo può espandere soltanto per mezzo dell’accumulazione
progressiva.” Questa accumulazione, dice Marx, “è la conquista del mondo della ricchezza sociale. Essa estende, oltre
la massa del materiale umano sfruttato, anche il dominio diretto e indiretto
del capitalista.”
Ma con lo sviluppo
storico anche lo “sperpero” è entrato a far parte del modo di essere del
capitale, come afferma Marx: “A un certo livello di sviluppo un grado convenzionale di sperpero, che è
allo stesso tempo ostentazione della
ricchezza e quindi mezzo di credito,
diventa addirittura necessità di mestiere per il «disgraziato» capitalista. Il lusso rientra nelle spese di
rappresentanza del capitale. Inoltre, il capitalista non si arricchisce come il
tesaurizzatore in proporzione del suo lavoro personale e della sua frugalità
personale, ma nella misura nella quale
succhia forza-lavoro altrui e impone all’operaio la rinuncia a tutti i piaceri
della vita.”
Ma periodicamente anche
gli operai fanno sentire la loro voce e mostrano la propria forza e allora
anche le chiacchiere degli economisti borghesi e dei loro padroni devono cambiare
registro. Marx qui ricorda uno di questi eventi: “La dotta contesa sul come
fosse da dividere fra capitalista industrioso e proprietario fondiario
ozioso, nel modo più adatto a favorire l’accumulazione, il bottino spremuto all’operaio, ammutolì
con la rivoluzione di luglio. [1830
in Francia – ndr] Poco dopo il proletariato cittadino suonò la campana a
martello a Lione, e il proletariato agricolo in Inghilterra fece spiccare il
volo al «gallo rosso». Al di qua della Manica imperversava l’owenismo, al di là
il sansimonismo e il fourierismo.” Come si vede è dall’inizio della lotta di
classe che ogni volta che i borghesi hanno paura, provano ad escogitare metodi per
“offrire” ai proletari “condizioni migliori” di esistenza e di lavoro!
Nel punto 4 Marx
riepiloga le “Circostanze che
determinano il volume dell’accumulazione indipendentemente dalla divisione
proporzionale del plusvalore in capitale e reddito: grado di sfruttamento della
forza-lavoro; forza produttiva del lavoro; differenza crescente fra capitale
impiegato e capitale consumato; entità del capitale anticipato.”
Una delle “circostanze”,
dice Marx, è “la riduzione dei salari al di sotto del valore della forza-lavoro”
che “ha una parte troppo importante nel movimento pratico ... Questa riduzione
trasforma di fatto, entro certi limiti, il fondo
necessario di consumo dell’operaio in un fondo d’accumulazione di capitale.”
Anche qui c’è la polemica
contro gli economisti come J. St. Mill che dice che “i salari non
contribuiscono alla produzione delle merci assieme al lavoro, più che non
contribuisca il prezzo delle macchine stesse. Se si potesse avere lavoro senza
acquistarlo, i salari sarebbero superflui».” Marx lo prende in giro dicendo: “Ma
se gli operai potessero vivere d’aria, non si potrebbero neanche comprare a
nessun prezzo.” E il capitalista è sempre alla ricerca di un salario minimo! “La gratuità degli operai è dunque un
limite in senso matematico, sempre
irraggiungibile, benché sempre più approssimabile. È tendenza costante del capitale di abbassare gli operai fino a questo
punto nichilistico.”
Di questi “metodi” Marx
ne elenca alcuni, sia in Francia che Olanda e Inghilterra e come quello di un
americano che aveva inventato perfino delle ricette che sostituissero gli
alimenti genuini con surrogati. E poi questa: “Alla fine del secolo XVIII e
durante i primi decenni del secolo XIX i fittavoli e i landlords inglesi imposero il salario minimo assoluto, pagando ai giornalieri agricoli meno del
minimo nella forma del salario, e il resto nella forma di sussidio parrocchiale.”
Poi: il lavoro aggiuntivo “generato con una più
elevata tensione della energia lavorativa può aumentare, senz’aumento
proporzionale della parte costante del capitale, il plusprodotto e il
plusvalore, cioè la sostanza
dell’accumulazione.” “Nell’industria
estrattiva, per esempio nelle miniere, le materie prime non costituiscono
alcuna parte costitutiva dell’anticipo di capitale. Nell’agricoltura … È ancora l’azione diretta dell’uomo sulla natura
che diviene fonte immediata di un aumento di accumulazione senza intervento di
un nuovo capitale.” “Infine nell’industria
in senso proprio ogni spesa aggiuntiva in lavoro presuppone una
corrispondente spesa aggiuntiva in materie prime, ma non presuppone
necessariamente anche una spesa aggiuntiva in mezzi di lavoro. E poiché l’industria estrattiva e l’agricoltura
forniscono all’industria di fabbrica le materie prime dell’industria stessa
e quella dei suoi mezzi di lavoro, torna a suo vantaggio anche quel supplemento
di prodotti generato dalle altre due senza anticipo aggiuntivo di capitale.”
“Risultato
generale: il capitale, incorporandosi i due creatori originari
della ricchezza, forza-lavoro e terra, acquista una forza d’espansione che gli
permette di estendere gli elementi della propria accumulazione al di là dei
limiti apparentemente posti dalla sua propria grandezza, posti cioè dal valore
e dalla massa dei mezzi di produzione già prodotti, nei quali il capitale ha la
sua esistenza.”
Un altro fattore
importante nell’accumulazione del capitale è il grado di produttività del lavoro sociale.
“Dato il grado di
sfruttamento della forza-lavoro, la
massa del plusvalore è determinata dal numero degli operai che vengono
sfruttati in un medesimo momento e
questo numero corrisponde, benché in proporzione variabile, alla grandezza del capitale.” È per
questo che Marx afferma che il capitalista più ricco è quello che sfrutta più
operai.
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